𝖁𝖊𝖓𝖙𝖎

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30 𝑔𝑖𝑢𝑔𝑛𝑜 1967

𝐼𝑛 𝑐𝑢𝑖 𝑠𝑖𝑎𝑚𝑜 𝑠𝑡𝑎𝑡𝑖 𝑝𝑖𝑐𝑐𝑜𝑙𝑖 𝑠𝑜𝑔𝑛𝑖...

«Torno presto, Conrad.», Clayton richiuse con soddisfazione il piccolo zaino, allontanando dalla vista la bianca copertina di un libro che ormai conosceva a memoria e si voltò verso quei due occhi gialli che dal letto lo stavano osservando con insistenza.

Sorrise al giovane gatto comodamente sdraiato sulle sue lenzuola e passò con tenerezza le dita sul morbido pelo nero, ascoltando le fusa che a occhi chiusi gli stava dedicando.

«È un giorno molto importante.», poggiò con delicatezza la fronte contro il piccolo muso dell'animale, ridacchiando del solletico che i suoi baffi gli provocarono, prima di alzarsi e sospirare con allegria.

Erano passati sei anni da quando Clayton era uscito da Bamoral Castle, sei anni da quando perse le uniche persone che gli avevano permesso di vivere, da quando perse Conrad. Erano passati sei anni, durante i quali Clay non aveva smesso di ricordare, rivivendo quei momenti ogni singola notte in apnea, le parole di quel libro che teneva sul comodino del suo piccolo appartamento a tormentarlo nei sogni, sei anni durante i quali aveva scritto – per convincersi di non aver perso la testa – la verità su quel posto, durante i quali aveva abbandonato gli studi e si era trovato un lavoro in una piccola libreria di quella grande città dove era scappato.

Clay adesso aveva un appartamento, un gatto che aveva salvato dalla strada e nessuno con cui parlare, perché le uniche persone che avrebbe mai potuto definire amiche lo avevano allontanato come un brutto ricordo e quello che gli fece ancora più male era che non riuscì a biasimarli nemmeno per un secondo.

A Krukrose, dunque, non era più rimasto nulla per Clay, se non la madre ad accoglierlo sempre a braccia aperte da quando ebbe il coraggio di separarsi dal marito. Si era allontanata da quel quartiere pieno di occhi e orecchie e Clayton non avrebbe potuto essere più orgoglioso di lei, del suo sorriso genuino.

Anche quel giorno prese un permesso per tornare a Krukrose, ma non per andare a trovarla, non questa volta, per qualcosa che faceva battere il suo cuore con ancora più forza. O, forse, per qualcuno.

Lasciò, quindi, il suo appartamento e il piccolo gatto a fargli da guardia già al mattino presto, scese le scale con lo zaino in spalla e raggiunse quella vecchia auto che la madre gli aveva lasciato. Aprì la portiera e ci si tuffò dentro con il fiato sospeso e un sorriso spaventato e incerto su quello che sarebbe stato il futuro, poi partì.

Il paesaggio iniziò a scorrere, indisturbato, quasi che Clay stesse facendo un viaggio nel tempo e le case presto lasciarono spazio alla campagna, mentre il vento prima appesantito dai vapori di città, si alleggerì e accarezzò con delicatezza i capelli chiari del ragazzo, mentre le sue dita stringevano il voltante così forte da credere che gli si fosse appiccicato alla pelle, da credere che avrebbe dovuto portarselo dietro anche una volta spenta la macchina. Non fu così, però, e le dita si separarono dal cuoio con una facilità tale da stupirlo.

Uscì dalla macchina con le mani che tremavano, sentiva il cuore urlare e il sudore raffreddargli la pelle. Clayton aveva paura, aveva così tanta paura che le lacrime gli punsero gli angoli degli occhi. Eppure, tornando indietro non avrebbe mai compiuto scelte diverse. Clayton aveva bisogno di Conrad, come Conrad aveva bisogno di Clayton e da quando lo aveva salvato non pensò ad altro che a un modo per liberarlo da quell'eterno tormento a cui era stato costretto per la sola colpa di essere nato.

Aveva fatto lunghe ricerche in quei sei anni, era tornato in biblioteca tante di quelle volte che lo conoscevano per nome, aveva letto articoli, racconti e saggi, qualsiasi minima cosa che potesse riportare a quell'incubo che era Bamoral e alla sua sovrannaturale esistenza. Aveva provato a presentarsi a ogni incrocio di Krukrose, supplicando Azren di mostrarsi mentre il demone osservava in silenzio i suoi tentativi con divertimento.

𝗕𝗮𝗺𝗼𝗿𝗮𝗹 𝗖𝗮𝘀𝘁𝗹𝗲Onde histórias criam vida. Descubra agora