𝕼𝖚𝖆𝖙𝖙𝖔𝖗𝖉𝖎𝖈𝖎

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𝐼𝑛 𝑐𝑢𝑖 𝑞𝑢𝑎𝑙𝑐𝑜𝑠𝑎 𝑑𝑖 𝑛𝑜𝑛 𝑑𝑒𝑡𝑡𝑜...

Clayton era in piedi, immobile, di fronte al ragazzo che piangeva consapevole di tutte le sue colpe e al suo stesso ritratto, glaciale, terrificante che lo sovrastava. Silenziose lacrime abbandonavano le sue lunghe ciglia scure, senza che lui distogliesse lo sguardo da quello di Clayton, come se volesse forzarsi a guardare quell'espressione e infliggersi la punizione che meritava.

Gli occhi di Clay, intanto, scivolavano veloci da lui alle pennellate sulla tela in cerca di una qualsiasi differenza tra le due figure. Sarebbe stato pronto ad aggrapparsi anche al minimo dettaglio insignificante pur di negare quello che stava accadendo, eppure, di differenza, sembrava non essercene alcuna.

Il viso di Conrad era sfuggente a un occhio distratto, pallido e senza tempo, ma Clayton aveva imparato a dedicargli la giusta quantità di attenzione per poter godere di quei dettagli che anche a occhi chiusi ormai riusciva a vedere, tatuati nella memoria come date importanti. Gli occhi grandi e tristi, le labbra sottili, i capelli dello stesso colore di una notte senza stelle, era tutto racchiuso in quello spettrale dipinto. Dipinto che, man mano che il tempo passava, man mano che l'occhio di Clay si concentrava sempre più, iniziò a riempirsi di sangue, macchie rosse si allargarono sul suo viso e grandi e viscose gocce scivolarono giù per quella guancia di colore a olio. Assassino, stavano urlando le sue vittime, mostro.

Clayton non riusciva a respirare e non era affatto colpa della notizia, nemmeno dell'angoscia che lo sguardo fermo del ritratto gli faceva provare. Clayton non respirava perché non riusciva a sentire alcun senso di stupore dentro di sé, come se avesse sempre saputo di quel suo grande segreto, come se Conrad lo avesse condiviso con lui più e più volte attraverso mille sguardi e come se Clayton stesso avesse tentato di nasconderlo, di cucirlo tra le loro labbra e di dimenticarlo.

Aggrottò le sopracciglia, sentendo la rabbia crescere, rabbia contro quel castello, contro se stesso e contro Conrad per aver messo in mezzo a loro quella spessa e pesante verità che adesso non poteva più ignorare, quella barriera impossibile da distruggere.

Conrad era rinato dalle ceneri dei corpi ai quali aveva tolto la vita e adesso aveva perso quel provvisorio nome, Bamoral, come sabbia portata via dalle onde che sfuggiva tra le dita di una mano e più si chiudevano a pugno per cercare di conservare almeno il più piccolo granello, più la sabbia scivolava via. Quel nome che tanto voleva tenere con sé, quel nome che era uscito dalle labbra di Clayton così tante volte da renderlo quasi concreto da fargli credere per un istante che Conrad non fosse mai esistito, adesso non era più suo ed era ritornato con cattiveria a quel vecchio e buio castello.

«Immaginavo.», sussurrò Clay distogliendo lo sguardo da quella figura che aveva toccato, stretto, baciato e morso, che ancora voleva sentire vicina ma che allo stesso tempo voleva allontanare.

«Da quanto lo sapevi?», i riflessi di luce brillavano lungo i percorsi delle sue lacrime, bianchi come fiocchi di neve posati sul suo candido viso.

«E tu quando avresti avuto intenzione di dirmelo?», rispose Clayton ritornando a guardarlo negli occhi, a sfidarlo.

Non era cambiato nulla nei sentimenti che aveva iniziato a provare per lui, voleva ancora sentire quell'alito di vento che era la sua voce narrargli storie, quelle labbra assaporare la sua pelle e quegli occhi vagare per la sua figura come se non ci fosse nient'altro intorno a loro da poter ammirare, sentiva ancora quella profonda gratitudine per avergli dato un motivo per cui combattere, eppure in un angolo della sua mente martellava quel rancore insistente che non avrebbe più potuto negargli. Gli aveva promesso che avrebbero salvato i suoi amici e invece lo aveva distratto con quelle sue storie, con quella sua voce, con quei suoi rari sorrisi.

𝗕𝗮𝗺𝗼𝗿𝗮𝗹 𝗖𝗮𝘀𝘁𝗹𝗲Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora