Capitolo 6

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Iris

Ci avevano portato in caserma, gli unici genitori presenti qui erano quelli di Enea e Oliver, Noah era fuori. Non lo fanno entrare, gli stronzi.
I poliziotti stavano parlando con i genitori del moro e del biondo.

Il mio sguardo cadde su Enea, il corpo rigido come le corde di un violino, i boccoli biondi gli contornavano il viso con una delicatezza che contrastava i suoi lineamenti rigidi, lo sguardo nella direzione dei suoi genitori, cercava di ascoltare la conversazione ma era stanco, si vedeva, e la ferita che aveva sullo zigomo non era migliorata affatto. 

Oliver era appoggiato al muro, braccia incrociate e occhi chiusi, era in un mondo tutto suo come Ashley. Quest'ultima era seduta accanto a me e fissava le sue scarpe, i capelli neri le coprivano il viso, avvolta dai suoi pensieri. Non aveva una bella cera ma non dissi niente.
Alzai lo sguardo e una chioma rossa attirò la mia attenzione. Quella lurida troia.

Mi alzai di scatto attirando l'attenzione dei presenti su di me, mi avvicinai alla ragazza tirandogli un po' i capelli per farla voltare verso la mia direzione.
<<Ahia! Ma cosa->>
<<Ciao Marcie, colpa mia. Che ci fai qui?>> chiesi sorridendo.
<<Che ci fate voi quattro qui?>> chiese , mi voltai, i 3 moschettieri mi avevano raggiunto.
<<Omicidio, magari tu sarai la prossima>> sorrisi avvicinandomi a lei senza nascondere il mio astio verso i suoi confronti, la rossa fece un passo indietro ma Enea mi fermò e io gli pestai i piedi facendolo sussultare.
<<Quello che voleva dire è che siccome eravamo in punizione>> disse Enea.
<<Per colpa tua>> precisai, ed Enea sbuffò.
<<Abbiamo trovato il corpo della ragazza sparita, o meglio Ashley e Iris l'hanno trovata nello sgabuzzino dell'ala est>> disse Oliver seccato.
Inutile dire che Marcie rimase spiazzata dalla notizia.
<<Ho detto, che cazzo ci fai qui?>> richiesi
<<Mio padre è il commissario. Quindi è vero? E' davvero morta? Oddio>> disse sbiancando. La squadrai da capo a piedi e no, non stava recitando. Allora anche tu sotto sotto hai un cuore cara ribelle.
<<La conoscevi?>> chiese Ashley strappandomi le parole di bocca.
<<Sì, o meglio i nostri genitori sono molto legati, io con lei avevo perso i rapporti >> disse con la voce che le si ritorceva contro. Stava trattenendo il pianto.

Misi da parte l'astio e l'orgoglio per una volta, perché sapevo cosa voleva dire sentirsi portare via qualcuno e non poter fare niente, sentirsi impotenti.
Mi avvicinai e gli spostai una ciocca rossa dietro l'orecchio.
<<Non ti ho mai sopportato ma non voglio vederti in questo stato. Non puoi controllare il destino quindi non fartene una colpa. Io non la posso riportare indietro, nessuno può. Dobbiamo solo accettarlo e vivere anche per lei, okay?>> chiesi.
Non ero mai stata una persona che nasconde il proprio dolore, l'avevo sempre usato per aiutare gli altri, infatti era una delle mie armi migliori.
Quelle parole me le avevano sempre ripetute così tante volte che ormai le sapevo a memoria, ma io non le avevo mai ascoltate veramente perché quando sei sporco, sei sporco fino al midollo.

La porta principale si aprì e un suono di tacchi risuonò per l'aria, l'avrei riconosciuta in qualsiasi posto.
<<O-mio-Dio. >> disse Marcie facendoci voltare <<Ma quella è Amber, la stilista di moda più famosa di tutta New York, e suo figlio Noah che è il suo modello principale. Che diavolo ci fanno qui?>> chiese Marcie incantata dalla bellezza di quella donna.

Amber alzò gli occhiali da sole neri appoggiandoli sulla testa, i capelli castani tirati in una coda bassa e il rossetto rosso che spiccava insieme ai suoi gioielli perlati. Indossava un vestito lungo nero che gli arrivava fino alle caviglie, i tacchi del medesimo colore come la sua amata borsetta di pelle nera che non si staccava mai di dosso.

Sospirai rumorosamente, doveva farsi sempre notate.
<< Si quella è mia madre >> dissi indicando la donna alle mie spalle. 
<<Pensavo che Noah fosse figlio unico>> disse Marcie sorpresa. 
<<E invece non lo è>> risposi con nonchalance. Mia madre non mi aveva mai nominata o chiamata come modella, e a me andava bene.

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