Rosa~Capitolo 26

9 1 0
                                    

Spero di riguardare questi quaderni tra qualche anno e ridere di me stessa. Perché è per questo che siamo nati. Per ridere, fare esperienze, sbagliare e ridere sopra ai nostri errori più futili.

A Gio tremavano le mani. E gli tremavano anche le gambe mentre camminava a fianco di Brandon che stringeva saldamente i manici della sua bicicletta come fosse stato un ostaggio. E, in effetti, era così. Il ragazzo si era presentato davanti al cancello con la bici di Gio affianco e non l'aveva mollata nemmeno un secondo. Così Gio era stato "costretto" a farsi accompagnare a casa solo per riavere la sua amata bici. Era stato un viaggio molto silenzioso. Gli unici rumori che si potevano sentire erano quelli di sfondo: le macchine che passavano affianco a loro, il vento tra le foglie, uomini che parlavano al telefono, madri che si facevano raccontare la giornata scolastica dai figli appena usciti da scuola. Si fermarono entrambi davanti al condominio dove stava il ragazzo. Brandon legò la bici al solito palo della luce.

«Io...»

Provò a iniziare Gio ma Brandon lo bloccò quasi subito.

«Gio, tu non mi devi spiegare niente. Non voglio essere quello rompipalle che costringe gli altri a dire cose che non vogliono dire. Ok? Io...io voglio solo chiederti scusa. Non avrei dovuto correre. Non avrei dovuto veramente. Io ci tengo molto a te, e non voglio farti nessuna pressione. Capisco di aver sbagliato e capisco di aver corso un po' con le cose. Ma ti prego...perdonami.»

A Gio veniva da piangere. Si sentiva già gli occhi lucidi.

«Brandon...io...io vorrei veramente dirti quello che mi è passato per la mente. Ma non ci riesco. Scusa. Scusami tanto.»

«Te l'ho detto apposta Gio. Non devi chiedermi scusa, non hai fatto niente di male. È colpa mia.»

Sto facendo un casino Brandon. Un casino in cui tu sei dentro fino al collo. Tu non vuoi farmi del male...ma sarò io a fartene a te. Poco ma sicuro.

Pensò Gio mentre Brandon si avvicinava per abbracciarlo. Il ragazzo pensava che un abbraccio fosse la più grande dimostrazione d'amore che esisteva sulla terra. Non i baci, non il sesso, non le dichiarazioni fatte sotto forma di serenate. In un abbraccio erano nascosti molti altri significati. Un singolo abbraccio poteva significare tante cose.

"Non preoccuparti, sei al sicuro con me."

"Non ti abbandonerò."

"Ti voglio bene."

"Ti amo."

"Non piangere."

E Gio sperò che in quell'abbraccio ci fosse almeno uno di quei tanti significati che la sua mente gli suggeriva.

***

«Com'è andata?»

Suo padre si alzò dal divano appena lo vide rientrare in casa.

«Tutto sommato? Bene. È stato lui a chiedermi scusa per una colpa che non aveva e io non sono riuscito a dirgli niente. Lui, addirittura, ha detto che non mi vuole far del male e che non mi vuole nemmeno sforzare a dire qualcosa che non voglio raccontare. Favoloso vero?»

Chiese Gio con amarezza mentre suo padre lo guardava fare i suoi soliti gesti: buttare lo zaino vicino alla scarpiera, togliersi le scarpe, riporle nella scarpiera, togliersi la giacca, appenderla all'appendiabiti. L'unica pecca in quelle azioni tutte ordinate erano le lacrime che scorrevano sul viso quasi sorridente del ragazzo.

Ettore fece per abbracciarlo ma Gio lo fermò mettendo davanti a sé una mano.

«Va tutto bene. Ora passa.»

Blu o Rosa?Onde as histórias ganham vida. Descobre agora