In Sunlight and Shadows

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You are
Never coming home

My Chemical Romance, The Ghost of you

Raggi al tramonto, impigliandosi trai rami degli alberi, miniavano le foglie d'oro intenso e riversavano macchie di miele lucente sulla penombra del prato.
Semioscurità e frescura nella sera di maggio, il sole che declinava nella dolcezza della sera, la quiete del parco immobile nel silenzio dell'abbandono. Rade, le foglie secche rotolavano sull'erba al gioco capriccioso di una brezza fredda dimentica della primavera inoltrata.
Silenziose, le ombre della sera, allungavano sulla villa dita fumose che si impadronivano, gentili, delle pareti e dei tetti, dei balconi e delle terrazze, insinuandosi tra le colonne e accarezzando i fregi di stucco sulle cornici delle finestre.
La stanza dove si trovavano era rivolta a occidente, e il tramonto la investiva riversandosi dalle alte finestre, un'alluvione d'oro rosato e di ombre, che dilagavano sul pavimento, lente come acque scure che spandono da una caraffa incrinata.
Ombre che ammantavano i tappeti preziosi e i mobili intagliati, combattendo una silenziosa battaglia con gli ultimi scintillii di sole sui ninnoli di cristallo sparsi sui tavoli e sulla mensola del camino.
- Posso fare qualcosa? - domandò lei.
Il suo tono era sollecito e, senza voltarsi, lui ebbe la netta sensazione che si stesse torcendo le mani o che con le dita stesse tormentandosi il viso. Faceva sempre così quando era agitata.
- No, non puoi fare nulla. Però sei venuta a trovarmi -
Quanto potesse esserci di più simile a un ringraziamento, e la voce con cui pronunciò quelle parole era mite, quasi gentile.
- Oh - fece lei.
Il ragazzo a quella piccola esclamazione compiaciuta si voltò e gli parve che le sue guance si tingessero di una forte sfumatura d'argento, per il piacere e l'imbarazzo.
- Sono contenta di farlo ma sai che non posso fermarmi molto - disse lei, dispiaciuta, - Se venisse a saperlo il Comitato per la Regolamentazione delle Creature Magiche sarei nei guai. Ti ho raccontato che cosa è successo quando avevo deciso di tormentare Olive Hornby che mi prendeva in giro per via degli occhiali -
- Sì - una nota di impazienza nella voce di lui - Certo -
Aveva sentito quella storia forse cento volte, nei bagni di Hogwarts e in quell'ultimo periodo, nella sua casa.
Sua.
Non più. Non secondo loro.
Era disposto ad ascoltare di nuovo quella stupida storia patetica di una ragazzina congelata dalla morte nel momento più buio e meschino della sua adolescenza? Chiusa in un bagno a piangere, sopraffatta dallo scherno dei suoi compagni fino al punto di votarsi a una parvenza di vita per perseguitare la sua aguzzina.
Sì, era disposto.
Lo comprese, sopraffatto dal disgusto per se stesso, quando sentì che lei stava ricominciando a raccontare quella storia tediosa senza che cercasse di impedirglielo.
Olive Hornby. Comprenderla non era affatto una cosa difficile. La dura legge delle caste scolastiche: i sopraffatti, i sopraffattori e coloro che decidevano di non immischiarsi, in quella scuola invasa da creature patetiche che, in gran parte, erano soltanto bestie da macello. Spazzatura di vario genere, pezzenti e gente che non aveva davanti a sé un futuro degno di quel nome; Mezzosangue, figli di Babbani, Traditori del Sangue, semplici mezzacasta senza posizione sociale che non avevano nulla a cui aspirare se non un posto nel seguito di qualcuno di più importante, se fossero stati abbastanza furbi da guadagnarselo.
Un sorriso divertito sfiorò le labbra del giovane che dovette nasconderlo voltandosi verso la finestra, davanti all'elenco senza fine dei tormenti subiti da Mirtilla Malcontenta, al tono della sua voce querula e ferita nel rivangare una serie di noiosi eventi e insulti triti.
- Devo andare -
Stava quasi per dirle di tacere quando lei pronunciò quelle parole.
Una pausa; il sole che ormai sprofondava verso l'orizzonte dietro gli alberi, le ombre della sera che non trasudavano più oro, bensì buio, nel vuoto del parco.
- Capisco -
Una stretta allo stomaco, spasmo involontario nel sapere che ci sarebbe stato soltanto silenzio da lì a qualche istante.
Forse se fosse stato gentile sarebbe tornata, così si stampò sulle labbra un sorriso e si cacciò, disinvolto, le mani nelle tasche dei pantaloni.
La guardò diritta in faccia e continuò a sorridere, socchiudendo gli occhi perché lei avesse meno spazio per leggerne la freddezza.
- Torna quando vuoi - disse e la mano affusolata e pallida si mosse in un gesto indolente, giusta eco di quell'invito non troppo entusiasta, ma pervaso da una trepidazione vaga, quasi guardinga. Accorgendosene, lui lasciò ricadere di colpo la mano e rivolse il profilo alla finestra, il viso che si induriva, il bisogno cancellato dal sorriso che adesso si spegneva in un'espressione di superiorità.
- Tornerò -
Ignorò la sensazione di sollievo suscitata da quella parola e si concentrò sul fastidio.
Il piccolo fantasma che aveva accolto le sue confidenze disperate e i suoi singhiozzi nella sudicia e umida solitudine di un vecchio bagno, rimase a fissarlo con occhi adoranti; poi disparve e lui si ritrovò a fissare i fregi di un arazzo che andava lentamente scurendosi mentre le ombre prosciugavano le ultime tracce del giorno. Se voleva accendere una luce, doveva prendere la precauzione di scendere nelle stanze segrete dei sotterranei: la villa dall'esterno doveva sembrare disabitata come in realtà avrebbe dovuto essere.
Draco Malfoy si lasciò cadere su una poltrona e raccolse le gambe stringendosele al petto. Posò la fronte sulle ginocchia e lasciò finalmente andare il tremito che gli scuoteva le spalle, la durezza del viso che si incrinava in una smorfia, i denti che si serravano per trattenere quel nodo che gli faceva dolere la gola.
- A presto, Mirtilla -
Pronunciò quelle parole in tono bassissimo, angosciato dal pensiero di sentire soltanto la propria voce intorno a sé.

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