22. Not yet corpses, still we rot

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Mi accorsi subito, nell'allungare la mano, che Davil non era disteso dietro di me. Ma ero io invece che nel sonno mi ero avvinghiata a lui e la mia guancia era poggiata sul suo petto nudo, dalla parte del lato sano.

Un sospiro profondo mi sconquassò i polmoni. Lui era lì, vestito dei suoi pantaloni. E il fatto che me lo fossi sentito dentro, intento a regalarmi piacere, era solo frutto della mia fantasia.

Ma il mio corpo stava reagendo agli stimoli di quel sogno proibito, la mia biancheria era cocente e la salivazione aveva raggiunto picchi inauditi. Non è successo davvero, mi ripetei a mente. Respira.

Così alzai la testa per guardarlo bene in viso e mi ricordai della ragione che mi aveva portata a dormire con lui quella notte. Sembrava essersi riposato e la febbre passata, ma io ero ancora troppo scossa da quel sogno per rendermene del tutto conto.

«Allora?» mi domandò, divertito. «Da come ti muovevi sembrava che stessi avendo un incubo».

Avvampai completamente a quelle sue parole. «Davil...» tentai di dire, ma il suo nome mi uscì di nuovo tra le labbra come una preghiera lasciva. Così cercai di ricompormi. «Come ti senti?»

Focalizzai la mia attenzione sulle medicazioni che gli avevo fatto la sera prima e il cuore mi si strinse al ricordo di ciò che era successo, solo in quel momento notai la mia mano aggrappata al suo torace e mi sentii ancora di più andare a fuoco all'idea che avessimo dormito così vicini.

La sua bellezza sapeva essere disarmante. Anche appena sveglio, reduce da una serata come quella che avevamo vissuto, si portava dietro un'attrazione calamitante. I capelli disordinati e gli occhi assonnati lo rendevano forse anche più attraente. E stargli vicino in quel modo, mentre lui era in quello stato, riusciva a elettrizzarmi a frequenze mai provate prima.

«Sto bene». La sua mandibola si contrasse mentre volgeva lo sguardo verso la vetrata che affacciava sul lago e sul bosco. «La febbre mi è passata».

Allora cercai di ricompormi, di scacciare via dalla mente il sogno che avevo appena fatto e di ritrovare contegno allontanandomi da lui. Non potevo restare un altro secondo appiccicata al suo corpo.

Dieci minuti più tardi, indossavo una delle sue camicie, perché il corpetto che avevo della sera prima non era per niente adatto a tornare in università di mattina. E attendevo che Davil si presentasse per riaccompagnarmi al campus.

Avevo sentito la doccia azionarsi ed ero sicura che si stesse rimettendo le bende sul torace, mentre io ero seduta sul tavolo del suo soggiorno ed esaminavo la sua libreria con estrema attenzione.

E mentre scorrevo tra manuali, thriller e collezioni di Shakespeare, il mio pensiero non poteva che andare al suo corpo. Mi chiesi cosa doveva pensare nel guardarsi allo specchio e vedere tutte quelle ferite su di sé.

Del tracciato del suo costato, magari non ne sarebbe rimasto poi molto una volta guarito completamente. Ma il marchio a fuoco che gli avevo lasciato, quello sarebbe rimasto fisso lì a ricordarmi ciò che gli avevo fatto.

Un moto di rabbia mi risalì la gola. Mi sentivo una stupida ad aver ceduto alle sue provocazioni, lui sapeva perfettamente cosa colpire di me e come indurmi a reagire secondo il suo volere. Questa era la cosa che mi spaventava di più.

L'idea che lui avesse il controllo su di me, sulle mie azioni, mi faceva girare la testa. Non poteva controllare i miei pensieri, ma lui era pur sempre un criminologo e conosceva gli aspetti più reconditi della mente meglio di chiunque altro.

UNREPENTAINTOpowieści tętniące życiem. Odkryj je teraz