La Luna

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Seduta al tavolino di un bar sconosciuto, aspetto.

Nella borsa ho un mazzo di tarocchi e una tartaruga di legno e ametista, dello stesso colore della fiamma della lanterna nelle mani dell'uomo che l'ha creata, l'Eremita.

Prendo il mazzo ed estraggo una carta.

La Luna.

La osservo e penso che mi ha sempre disturbata un po'.

Mi osserva e sembra volermi dire qualcosa.

Capita, a volte, che le carte mi parlino.


(guarda quello che è nascosto)


Si avvicina una cameriera sconosciuta, ordino un dolce al cioccolato per me e uno per una persona che non c'è. Mi guarda senza capire e io le sorrido mentre mi rendo conto che vede solo la faccia che le sto mostrando. La osservo, cerco di capire cosa c'è dietro la faccia che lei mostra al Mondo, ma non sono sicura di vederla per quello che è realmente.

Oltre la cameriera una vetrata sconosciuta, filtro del cielo in cui appare lei, la Luna, che stasera mi mostra un'altra faccia. Un volto cancellato molto tempo fa, quello di mia sorella che non c'è più.

La sorella nascosta di cui non parlo mai.


Aveva nove anni più di me ed era malata di una malattia genetica molto rara che porta ad un grave e rapido deterioramento mentale.

Da piccola mi vergognavo di lei, è orribile, lo so. Mi sono sempre sentita sbagliata per questo. Dovevo volerle bene. Dovevo. Me lo ripetevo continuamente, ma non era quello che provavo, anche se non capivo cosa provavo. Non riuscivo a volerle davvero bene perché mi portava via le attenzioni dei miei genitori. Io ero quella piccola, ma lei era quella bisognosa. I miei bisogni erano poco importanti in confronto ai suoi.

La ricordo, iperattiva, mentre passava pomeriggi interi facendo il giro della casa. Girava, girava, girava, mia sorella, senza fermarsi mai. Proprio come la Luna. E mentre lei continuava a girare io crescevo sentendomi più grande di quello che ero, isolandomi tra libri e disegni, cercando di non disturbare perché non dovessero preoccuparsi anche per me. Ero una bambina brava, un po' strana e solitaria forse, ma buona. Così dicevano tutti, che ero buona.

Come se il non disturbare fosse sinonimo di bontà.


(nascondilo)


E' morta quando avevo Tredici anni, mia sorella, ma io non ho provato quello che avrei dovuto.

Un giorno a settimana mia madre mi portava con lei davanti alla sua tomba, e lì passavamo un tempo che sembrava infinito, scandito solo dalla nenia di una preghiera e dalle lacrime di mia madre. Ma io continuavo a non provare quello che avrei dovuto. Riuscivo solo a pensare che era innaturale, per una ragazzina di Tredici anni, guardare la Morte così da vicino una volta a settimana.

Poi, piano piano, quelle visite sono diminuite fino ad annullarsi completamente, e quella faccia di Luna, mia sorella, l'ho cancellata come se non fosse mai esistita.

L'ho fatto perché era più facile, ma mi sentivo una persona orribile per questo, una persona che non riusciva a provare i sentimenti sani e giusti che si dovevano provare.

Non ero così buona come pensavano tutti.


La cameriera sconosciuta si riavvicina al mio tavolo, portandomi il dolce al cioccolato, e in un attimo, di fronte a me, riappare l'Eremita. Sorride e i suoi occhi color miele si illuminano. Sorrido anche io, ripensando a quante volte abbiamo scherzato insieme su come i suoi occhi si illuminino guardando un dolce.

Avvicina la sua mano per prendere il cucchiaino e le luci del bar fanno brillare i bracciali di pietre che porta al polso. Li guardo, un arcobaleno di colori, e ricordo la notte in cui li abbiamo montati a casa mia. Un velo di malinconia mi annebbia la vista e l'Eremita scompare.

Senso di perdita.

Vuoto.


(guarda quello che è nascosto)


La mia testa comincia a girare come su una giostra e legato al mio polso rivedo un altro bracciale.

Di fronte a me, adesso, è seduto il Matto. Sembra avere ancora sedici anni e i suoi capelli rossicci sono illuminati dal Sole, ma il suo sguardo non è allegro e innocente come un tempo.

La sua bocca pronuncia l'accusa che gli vedo velata negli occhi.

"Ti sei comportata male con me."

Il mio cuore salta un battito. So che ha ragione.

Provo a scusarmi, ma a cosa serve ormai?

Abbasso lo sguardo.

Al polso il laccio che una sera di molti anni prima lui mi legò con un nodo da mozzo e non da marinaio.

Lo osservo per un attimo e poi, lentamente, comincio a scioglierlo.

L'Eremita e la PapessaDonde viven las historias. Descúbrelo ahora