La prigione era un lamento continuo, con gemiti di dolore, crisi di rabbia e singhiozzi continui, un luogo dove si potevano udire tutti i modi in cui degli esseri umani tentavano di affrontare la sofferenza.

E il peggio era sicuramente essere stati privati anche di questo, della possibilità di sfogarci, perché era stato nuovamente istituito un coprifuoco che segnava l'inizio di un silenzio totale che sarebbe dovuto durare fino all'alba della mattina dopo. Le punizioni corporali se avessimo disubbidito alle regole, soprattutto a quella, sarebbero state ben più gravi adesso che le "guardie buone" erano andate in ferie. In quelle due settimane non c'era nessuno che avrebbe preso le nostre difese, che avrebbe guardato i nostri interessi, ma c'era chi, di quella situazione temporanea, se ne era approfittato.

Lo ricordai quando mi voltai di lato, una volta terminata la colica, e venni colpito da una fitta acuta che partì dal fianco e si propagò fino alla spina dorsale. Cairo si era divertito parecchio quando mi aveva beccato mentre tentavo di consolare a distanza Rem, visto che le nostre due celle erano una di fronte all'altra, dopo aver sentito i suoi gemiti sofferenti soffocati dal cuscino. La punta di ferro del suo piede, fasciato da un paio di stivali di marca, si era scagliata più volte sul mio fianco e poi sulla mia schiena, creando delle ecchimosi dal colore violaceo che ancora, a distanza di un paio di giorni, mi facevano male.

Ricordavo di non essermi opposto alle percosse, di non aver alzato un dito per difendermi. Avevo accettato il mio crudo destino nel più totale silenzio, soffocando i miei gemiti di dolore tenendo la bocca sigillata, e distraendo il mio cervello con delle allucinazioni. Ogni volta che mi trovavo in quelle situazioni vedevo una bambina dalla coda bionda, corta e scombinata, che da lontano mi sorrideva e in qualche modo leniva il mio dolore. L'avevo vista anche quella volta.

Ricordavo bene di aver pensato soltanto "ti prego torna", solo questo. E di averlo scritto a ripetizione, di aver riempito due pagine del mio taccuino giallo con quelle tre parole. Ti prego, torna. 

Il rumore di una manganellata sul ferro della mia cella mi fece aprire gli occhi di scatto, puntandoli verso l'artefice. «Chi dorme non piglia pesci amico mio!».

Vedere i suoi luminosi occhi scuri e il suo sorriso ironico fu la cosa migliore della giornata, ma questo solo perché voleva dire che anche lei era tornata. «Agente Adams, è già tornato? Che peccato».

«E io che pensavo fossi felice di vedermi». Sospirò affranto, ma con la stessa luce ironica di sempre nello sguardo. «Puoi chiamarmi Salah, farmi dare del lei da te mi disgusta».

«C'è chi lo esige e ti riempie di botte se non lo fai. Abitudine».

I suoi occhi persero luminosità. «Non con me, con me non devi mai pensare neanche per un solo secondo che potrei usare quei modi barbari su di te. Né su di te, né su nessun altro. Mai».

«Non mi fido facilmente, anche in questo caso è abitudine, nulla contro di te. Vedremo con il tempo, Salah». Mi alzai lentamente, un capogiro era l'ultima cosa che volevo, e mi avvicinai alle sbarre per circondarle con le dita. «Che sei venuto a fare?».

Agguantò il mazzo di chiavi che aveva agganciato alla cintura, lì dove c'era la fondina della pistola, e aprì la cella. «C'è qualcuno che vuole vederti amico, ma se non vuoi posso sempre dirle-».

«Portami da lei». Non lo lasciai neanche finire, superai le sbarre e mi incamminai verso le scale.

Alle mie spalle sentii una risatina. «Ai suoi ordini».

Lo osservai mentre, con lo stesso mazzo di chiavi, apriva le sbarre che separavano l'esterno dall'ala dei detenuti. Era un bel ragazzo, i suoi occhi scuri esprimevano sicurezza e divertimento e quello che per alcuni era una minaccia velata, una sfida, per me era una manna dal cielo. Eppure molto spesso mi ero ritrovato a dover storcere il naso per via del nodo allo stomaco che mi si presentava quando lo vedevo vicino a Nicole.

The Not HeardWhere stories live. Discover now