CAPITOLO 2

12 5 0
                                    

Sono passati quasi due anni dall' incidente.

Sofia è sempre nei miei pensieri, tutte le volte che la accompagno a scuola o in qualsiasi momento nel quale dobbiamo separarci, ho una dannata paura di perderla.

Passo le giornate a divorarmi le unghie fino a quando sanguinano, mentre lacrime salate cercano invano di lavare via quel liquido rossastro.

Quando mi accorgo ormai di avere ormai le dita ricoperte di quel colore inizio a impazzire. Tremo, voglio urlare finché perdo la voce, non ce la faccio a sopportare tutto questo. Rosso ... rosso ... rosso.

"Il rosso. deve. Sparire" Questo è quello che riempie la mia mente mentre sul mio volto compaiono sorrisi malsani mentre faccio a pezzi qualsiasi oggetto di quel disgustoso colore. Perfino le rose del giardino, strappo ogni singolo petalo, mentre penso che facendo così avrei sradicato il male e la tristezza che celavo nel mio cuore.

Quel dannatissimo semaforo rosso. Ma perché lo odio tanto? La colpa era di mio marito che non l'aveva rispettato. Anzi no.

La colpa era mia, solo mia.

Sono sempre stata passiva a tutte le torture che quell'uomo infliggeva a me e i miei figli, mi sentivo impotente, avevo paura, ero debole e ora ho pagato la mia debolezza.

Quando mi accorgo di ciò che ho fatto alla casa e a tutto il giardino, ormai è troppo tardi.

-Poi quella che ti criticava ero io eh?- la mia voce esce come un sussurro spezzato a quella domanda destinata a una persona che non avrebbe mai risposto, che non è più qui, con me, con sua figlia.

Rimango in piedi a fissare l'orizzonte con sguardo vuoto, mentre ripenso a quei pochi bei momenti di quando eravamo una vera famiglia.

Stringo il gambo della rosa fino a farmi sanguinare il palmo della mano. Guardo il sangue scivolare lentamente solleticandomi la mano e lo guardo scendere a gocce che con l'impatto del suolo esplodono in chiazze rosso vivo. Sorrido amaramente pensando che il mio nemico più grande, la mia paura, il mio essere debole, mi avrebbe perseguitata fino alla fine.

A distrarmi dal mio apparente stato di trance è lo squillo di un telefono.

Mi precipito dentro casa e cerco il mio cellulare e rispondo quando lo trovo:

-Pronto?-

-Ciao Astrid!-

-Chi è?-

-Sono Adelaide, la mamma di una delle compagne di classe di Sofia!-

-E?-

-E, visto che mia figlia e tua nipote sono molto amiche che ne dici di organizzare insieme una pizzata?-

-No- Rispondo con aria scocciata e riattacco. Non mi importa se mia figlia resta sola, è per il suo bene. Le persone che ritieni amiche poi ti tradiscono e tu sei l'unica a rimanerci male. Le persone che chiamavo "amiche" non ci hanno pensato due volte ad abbandonarmi nel momento del bisogno. Non voglio che mia figlia provi questo tipo di esperienze.

Dopo aver guardato di sfuggita l'orologio capisco che è arrivato il momento di andare a prendere Sofia.

Chiudo a chiave la casa e mi avvio verso la sua scuola a pochi isolati dalla mia abitazione. Quando la raggiungo scruto attentamente la folla di genitori venuti a prendere i figli e tiro un sospiro di sollievo quando la vedo avvicinarsi verso di me con il suo solito sorriso stampato sul volto.

Riuscirei a distinguere quei suoi smeraldi brillanti, anche tra un milione di persone.

Non posso fare a meno di correre verso di lei con le braccia aperte e un sorriso a trentadue denti. Mi chino e quando raggiungo la sua altezza la stringo a me, come se fosse la prima volta, dopo anni, che la vedo.

-Z-z-zia ... mi soffochi- La lascio di scatto e lei mi sorride dolcemente creando due piccole fossette.

Mi ricompongo e tenendole stretta la sua piccola mano le prendo lo zainetto rosa e insieme ci avviamo verso casa.

Appena arriviamo a casa vedo il suo volto sorridente mutarsi in un'espressione tra lo spavento e l'orrore di fronte a quella casa piena di cose fatte a pezzi. Poi il suo sguardo si sposta sul gambo della rosa e sulle macchioline di sangue che lo circondano. In un movimento meccanico si volta nella mia direzione e abbozzo un sorriso nervoso mentre inizio a torturarmi delle ciocche di capelli.

-Ti prometto che la zia sistema tutto e tu sarai la bambina più felice di tutte e con la casa più bella di tutte!-

-Me lo prometti?- Chiede lei incerta.

-Si- Il mio sguardo si fa serio.

-Ti fidi di me?- Chiedo non spezzando quel contatto visivo che si è creato.

Lei si limita ad annuire e entra facendo un percorso slalom tra le varie sedie delle quali ora rimangono solo schegge.

Mi metto all'opera per ripulire quell'orrore e dopo aver dato una sistemata mi stendo stremata sul divano.

Per poi rialzarmi contro voglia per cucinare la cena.

-Cosa vuoi da mangiare?- Chiedo allora e vedo Sofia intenta a disegnare qualcosa seduta sul tavolo della cucina.

-Pizza- Mi risponde e io sorrido lievemente e dopo aver inforcato un paio di occhiali cerco il biglietto della pizzeria qui vicino e dopo aver chiamato e ordinato mi avvicino nella direzione di Sofia.

-Che disegni di tanto bello?- Chiedo cercando di sbirciare ma subito lei lo copre e mi guarda sorridente.

-Non te lo dico- Risponde in una cantilena che non fa altro che aumentare la mia curiosità.

-okay ... - Faccio finta di allontanarmi e quando sono sicura che ha tolto il braccio dal foglio, mi giro e guardo il suo disegno.

Il mio sorriso di soddisfazione per esserci riuscita, svanisce e viene sostituito da uno colmo di tristezza.

Quelle linee a zig zag che formano i volti di quattro persone con occhi ridotti a due buchini colorati, le bocche delle linee rette rosee, i capelli a piccole righette che si allungano verso l'alto.

Quando leggo sopra ogni personaggio : "Mamma", "io", "Papà", "zia", non posso fare a meno di trattenere a stento lacrime, lacrime che potrebbero riempire benissimo un oceano.

Più la guardo disegnare, più i miei occhi iniziano ad appannarsi.

Infine la vedo disegnare un arcobaleno, mentre al centro quello che doveva essere un aereo, molto accennato.

Quando si accorge di essere osservata si gira di scatto, io faccio appena in tempo ad asciugarmi le lacrime che lei mi lancia un occhiataccia.

Allora mi avvicino minacciosamente e inizio a farle il solletico mentre lei tra le risate si divincola e mi intima di smetterla. Alla fine la lascio e scoppiamo entrambe in una fragorosa risata.

-Zia, zia ti piace?- mi chiede poi facendomi vedere il disegno che aveva fatto.

-Certo, è bellissimo!- le rispondo sorridendo. In fondo era veramente molto bello.

-Non vedo l'ora di vedere mamma e papà!- Esclama mentre si volta a fantasticare sui suoi fantomatici genitori, scambiando occhiate entusiaste con me, che rispondo con sorrisi forzatati.

Continua a parlare, ma io non la ascolto più, non ci riesco. I miei sorrisi forzati si spengono completamente. Inizio a passarmi nervosamente le mani nei capelli e a tirarli, quasi a strapparli, cercando di trattenere le mie emozioni. Il suono del campanello mi fa sussultare, colgo l'occasione e corro verso la porta e dopo aver pagato il pizzaiolo e aver preso i due cartoni della pizza, mi riavvio verso la cucina.


Hai finito le parti pubblicate.

⏰ Ultimo aggiornamento: Jun 18, 2015 ⏰

Aggiungi questa storia alla tua Biblioteca per ricevere una notifica quando verrà pubblicata la prossima parte!

La Rosa BiancaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora