interludio: Alessandro

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Ho sempre avuto fiuto per i posti dove potermi divertire. Le serate normalissime dove però dopo una certa ora l'atmosfera cambia, i bar frequentati da chi aveva la mia stessa disposizione caratteriale, anche soltanto il momento giusto per andare al bancone e guardarsi intorno.

Tinder l'ho sentito nominare per la prima volta da due studenti prima di una lezione; poi anche un paio di amici e amiche me ne hanno parlato, lamentandosene per motivi diversi: i maschi perché non avevano abbastanza successo, le femmine perché ne avevano troppo ma con soggetti discutibili per cui non avevano interesse.

Io ho subito capito che poteva essere uno di quei luoghi interessanti dove intrufolarsi, mi ci sono iscritto senza farmi grandi aspettative. All'inizio avevo messo una foto neanche troppo ben riuscita di me a una conferenza, le luci al neon dell'auditorium non mi facevano grossi favori, ma ho collezionato più match di quanti non riuscissi a gestire.

La verità però è che le chat convenzionali in cui ci si scambiano informazioni mondane e tre-quattro chiacchiere di cortesia mi annoiano da morire, non amo stare incollato al cellulare, ho troppo da leggere, da fare. Per cui dopo qualche giorno ho capito che serviva un approccio meno banale, un minimo di selezione all'ingresso.

Così mi è venuta l'idea di mettere cinque foto completamente nere. La maggior parte delle donne su quell'app è subissata di maniaci e il profilo apparentemente senza foto è un campanello d'allarme. Non mi matchava più quasi nessuna. Se avessero avuto la pazienza di scorrere fino in fondo...

Ma poco male, tanto ho sempre trovato il mio divertimento anche nel mondo reale.

Finché la trappola su Tinder ha funzionato.

Elena, 22 - mi piace giocare

Di lei mi ha incuriosito la scelta delle foto, tutte senza mezze misure: una boccuccia rosa aperta e lucida che praticamente implora di ricevere un cazzo da venerare; una minigonna da scolaretta e le ginocchia perfettamente lisce e pallide che chiedono di sfregarsi a un tappeto mentre le riempi il culo di schiaffi e la fotti fino a farle dimenticare come si chiama.

Poi abbiamo cominciato a scriverci e sono rimasto folgorato dalla sua lingua, non solo in senso letterale – la sua lingua inteso come il suo modo di esprimersi, di esprimermi le sue voglie, i suoi desideri più depravati, il bisogno nudo e sincero di godere.

Tante donne mi hanno voluto, con intensità e passione e ossessione persino, ma nessuna è mai stata così esplicita come lei, senza freni, senza tabù: Elena è tutta voglia, è tutta desiderio.

Il rischio di perdere la testa è molto concreto e mi sono raccontato che, in fondo, la distanza fisica rende tutto più facile. Con un telefono nel mezzo le inibizioni cadono più facilmente, anche una foto porca o una videochiamata fanno meno paura di un incontro pelle su pelle. A parole sono tutte pronte a tutto, ma di persona?

Il piano era continuare questa deliziosa relazione virtuale finché, inevitabilmente, non mi fosse venuta a noia.

E invece me la sono ritrovata davanti a lezione, in prima fila, con quegli occhioni languidi e sul viso dipinta la preghiera di sbatterla sulla cattedra e battezzarla col mio sperma davanti a tutti.

È perfetta. 

Di persona è ancora più bella che in video: più rosea, più soda, profuma di fiori e di fica bagnata. Si vede che è pronta a fare tutto con me, per me. Stai tranquilla che ti accontento.

Con quella faccia impertinente da piccola peste che mi sogno la notte mi chiede se mi ha fatto una bella sorpresa, e l'unica risposta possibile sarebbe ribaltarmela su un ginocchio e sculacciarla per almeno tre quarti d'ora, ma non sono un novellino: so che è esattamente quello che vuole. E, per quanto mi prudano le mani, non la accontenterò. Non ancora.

Diario della mia LinguaWhere stories live. Discover now