«Ha fatto cadere un secchio colmo di pittura e gli schizzi sono finiti sulle scarpe di Cairo. Invece di rimproverarlo e basta, come sempre ha sfogato la sua frustrazione sul suo corpo. Lo ha massacrato e io ero lì dietro, non potevo lasciare che gli spezzasse tutte le ossa del corpo senza fare niente!».

Ebbi un brivido al ricordo di chi era Cairo e di cosa era riuscito a fare a mio fratello. Non era frustrato, no, era maligno. «Cosa hai fatto?».

«L'ho tirato via dal colletto della divisa, ma questa ha peggiorato la situazione e abbiamo iniziato a picchiarci. La mia fortuna è stata che vicino a noi ci fosse l'agente Adams, che mi ha solo tirato via per le braccia e ha anche preso le nostre difese. Se fosse stato un altro mi avrebbe picchiato fino a farmi pentire di essere nato per aver reagito contro un'altra guardia». Ecco perché Lysander mi aveva spinto a salutarli prima di andare via, voleva che lo scoprissi da sola. Osservai il suo viso e poi quello di Rem.

Allontanarmi per le vacanze natalizie adesso mi sembrava un'idea ancora più sconclusionata, loro avevano bisogno di me, di noi. La lista delle terribile cose che, senza la nostra presenza, sarebbero potute accadere era spaventosamente lunga.

«Devo partire».

Il suo sguardo saettò verso di me. «Te ne vai?».

«Parto fra qualche ora insieme a Daneen, Vince e l'agente Adams, ci vengono a prendere on l'elicottero». La sua espressione preoccupata mi portò a specificare una cosa. «Per le vacanze natalizie ovviamente. Tornerò i primi di gennaio».

«Ne sono felice. Hai bisogno di un po' di relax fuori da qui».

Lo guardai. «E tu? Tu non ne hai bisogno?».

«Io sopravviverò come ho sempre fatto».

Mi spostai i ciuffi ribelli dal viso, incastrandoli dietro le orecchie sotto il suo sguardo indifferente. Fuori poteva anche sembrarlo, ma ero certa che dentro si fosse scatenata la stessa tempesta che si era scatenata dentro di me. «Sopravvivere non ha la stessa qualità del vivere. Quante volte te lo devo rammentare?».

«No, ma è già qualcosa. Preferiresti che non facessi neanche quello?».

La sola idea di non vederlo mai più, nello stesso senso in cui non mi era più possibile vedere mio fratello, mi colpì come un pugno allo stomaco. «Ti preferirei felice, Airton».

«Ci sto lavorando, nica». Mi accarezzò lo zigomo con il dorso della mano, osservandomi con uno sguardo vitreo frutto di qualcosa a cui stava pensando o che stava ricordando.

Dal lieve rumore di sottofondo del respiro pesante e regolare di Rem riuscii a capire che si era decisamente assopito, per cui invitai Airton ad uscire e a continuare la conversazione alla fine del corridoio, dove si trovava il magazzino dove tenevano i detersivi e utensili utili alla pulizia. Nessuno ci avrebbe disturbati visto che la pulizia generale della prigione c'era stata qualche ora prima.

Dopo aver attraversato il corridoio, creando dei piccoli tonfi a causa dei miei immancabili stivali, mi voltai verso di lui in tempo per intravedere un luccichio metallico dentro il pugno chiuso del braccio che teneva immobile lungo il fianco. Inclinai la testa di lato e inarcai un sopracciglio, mostrando apertamente la mia curiosità.

Il suo sguardo seguì il mio e un sorriso stranamente timido gli curvò gli angoli delle labbra. «Ho un regalo per te».

«Un regalo... per me?».

Annuì frettolosamente, spostando il peso da un piede all'altro come se si sentisse in imbarazzo. «Non aspettarti chissà cosa, qui non ci è permesso ricevere pacchi e a me non è possibile accedere al mio conto in banca perché lo gestisce mio padre. Sul serio, è una cavolata e-».

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