Smettila

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Questa storia è stata scritta per il concorso di Halloween indetto da Inc_books su Instagram. Sono felice perché, anche se non è il mio genere, ha vinto.
Quando ho dovuto pensare a quale fosse il mostro che mi spaventava, mi è venuto in mente il bambino a cui faccio ripetizioni, che mi ha chiesto: "Tu non hai paura del buio o dell'uomo nero?"
E no, io non ho mai avuto paura del buio, l'ho sempre trovato molto confortante. Quindi mi sono chiesta, quale è il mostro più spaventoso? Quale il predatore pià pericoloso?
Così è nata questa storia. Spero che vi piaccia, ma è una storia di Halloween, perciò... niente lieto fine, questa volta.

SMETTILA


Mi alzai a fatica. Ancora mi faceva male la testa, dopo la botta di ieri sera. Per fortuna non si era formato il livido, altrimenti chi li sentiva a lavoro?
Scesi le scale lentamente, anche le gambe mi facevano male. È normale, se cadi sul pavimento con tutto il tuo peso.
Entrai in cucina. «Buongiorno, Jeff» dissi gentile.
Non rispose. Pensai che non avesse voglia di parlare. Con Jeff era così, un minuto prima ti adorava, quello dopo ti urlava contro. Era un po' come un terno al lotto, la cosa migliore era stare in silenzio. Essere vigili. Anche se appena sveglia e con quella botta di ieri sera...
Mi misi a sedere, un po' dolorante. Jeff finse di non notare il mugolio sofferente che mi scappò di bocca.
Meglio così, Mary, meglio così - pensai.
«Vuoi anche tu il caffè? Sembri sveglio da parecchio. Un altro attacco di insonnia, eh? Ma non ti preoccupare, te ne riempio subito una tazza, ci pensa la tua Mary» mi alzai con un po' di fatica.
Avevo battuto l'anca contro il mobile, si può essere più sbadati?
Riempii la tazza e la posai davanti a Jeff, che non fece una piega. Santo cielo! Odiavo quando teneva il muso. Alla fine, diciamocela tutta, era lui quello in torto. Voglio dire, va bene un paio di schiaffi, ma buttarmi già dalle scale! Che modi sono? Oltretutto, se non vado a lavoro, qui non si mangia. Se mi rompo qualcosa, chi lo paga l'affitto?
Comunque. Alla fine tutto si era risolto bene, lui si era scusato, mi aveva medicato e poi mi ero messa a preparare la cena.
Finii il caffè e misi la tazza nell'acquaio.
«Vado a prepararmi, stamani faccio la mattina. Senti, Jeff, non che mi voglia lamentare, ma la prossima volta sta' più attento, d'accordo? Come li spiego un livido o una rottura da caduta a lavoro? E bada bene, non mi sto lamentando, è un suggerimento» precisai, non volendo litigare.
Il caffè era ancora lì e lui stava chiaramente fingendo che io non esistessi, ma non si poteva mai sapere. Ricordate? Terno al lotto.
Annuii, come se avessi ricevuto la risposta che aspettavo. Salii di sopra, mi preparai a fatica, mettendomi la pomata per le contusioni che Jeff mi aveva comprato, poi scesi e lo salutai.
Non ci fu risposta, ma forse fu meglio così. Voleva fare il sostenuto? Bene. Almeno non sarei caduta di nuovo.

Giunta a lavoro, salutai le colleghe e mi sbrigai a cambiarmi. Stamani ero di turno con Louise, la mia migliore amica. Avevamo iniziato insieme, quando ancora eravamo due infermiere alle prime armi. Il marito di Louise era il cugino di Jeff, anche se avevano caratteri molto diversi.
Jeff era un uomo forte, forse un po' brusco, certo, ma comunque aveva carattere. Norman era, tutto sommato, un brav'uomo, ma santo cielo! Non aveva proprio spina dorsale! Stava attento a qualsiasi cosa riguardasse Louise, la seguiva come un cagnolino, non alzava mai la voce (figurarsi le mani, che ogni tanto ci va anche, se proprio dobbiamo dirlo) e se lei lo guardava male... apriti cielo. Sorrideva e si scusava tutto timido.
Louise era felice, perciò a me andava bene. Diceva che Norman la rispettava, che viveva per lei, che fra loro c'era uguaglianza.
Uguaglianza. Ah! Macché uguaglianza, lei andava a lavoro, anche se sarebbe potuta stare a casa, per quanto guadagnava il marito.
Se il mio Jeff fosse riuscito a trovare un lavoro, mi avrebbe tenuto a casa, lo diceva sempre. Solo che Jeff aveva un carattere troppo forte, era troppo capace e si sa, i superiori non amano che i loro impiegati siano più bravi e così lo mandavano sempre via. Alla fine, il mio povero Jeff era caduto in depressione e io ero costretta a lavorare per entrambi. E, cielo, se lui non avrebbe voluto il contrario! Non sopportava di vedermi andare via. Odiava stare a casa e, inoltre, non era bravo a cucinarsi e non poteva fare lavori domestici, a causa di un vecchio incidente di football. Norman diceva sempre che "ci marciava", ma non era così. Lo vedevo che ogni tanto provava a fare qualcosa, ma subito il dolore lo fermava.
«Ehi, principessa» mi chiamò Louise.
«Ciao, tesoro! Come va? Sono proprio contenta di fare questo turno insieme, capita troppo di rado» annuii convinta.
«Hai proprio ragione, cara, ma con gli orari che fa Norman, devo cercare di fare più mattine possibili, almeno passiamo un po' di tempo insieme» sorrise sognante.
Sorrisi di rimando. Io e Jeff stavamo sempre insieme, in questo ero fortunata. Non vedevamo quasi mai nessuno, perché Jeff non amava troppo la compagnia. Per lo più venivano i suoi amici ogni tanto a cena. Io stavo in cucina a leggere o a fare qualcosa, mentre loro chiacchieravano o giocavano a carte. Sarei potuta uscire con le mie amiche, certo, ma poi chi avrebbe sistemato il loro casino? E poi, se Jeff avesse perso a carte, quando fossi tornata probabilmente avrei dovuto subirmi la sua frustrazione. E si sa, quando un uomo di carattere è frustrato, ci può scappare qualche schiaffo.
«Come va con Jeff?» chiese cauta Louise.
Alzai gli occhi al cielo. Questa sua fissazione...
"Va bene, Lou, va bene. Soliti alti e bassi, ma sai come è. Jeff è un uomo orgoglioso e mal sopporta le discussioni»
«Capisco» sorrise incerta.
«Va tutto bene, cara» la rassicurai, un po' intenerita da quella sua assurda preoccupazione «guarda che è normale che moglie e marito litighino. Certo, a volte Jeff perde le staffe, ma poi tutto si sistema, perciò non ti preoccupare.»
«Certo, certo» si affrettò a rispondere «solo che l'altra volta eri... caduta e ti eri fatta parecchio male, quindi chiedevo come stavi.»
«Sto bene, tranquilla. Jeff mi ha comprato una pomata che fa miracoli. È anche anestetizzante, è un vero toccasana.»
Continuammo a chiacchierare e, fra un'emergenza e l'altra, trovammo anche modo di fermarci a prendere un caffè.
«Senti, perché domani non venite a cena? È un po' che non stiamo insieme, a Norman farebbe piacere.»
Sospirai dispiaciuta. «Scusa, Lou, è che non sono molto in forma e Jeff... non so, stamani era di cattivo umore. Non mi ha rivolto la parola e onestamente, forse è meglio così. Se ha una delle sue giornate da montagne russe, preferisco mi ignori.»
Vidi che ci rimase male, ma che potevo farci? In definitiva non era il caso di portare Jeff a cena nelle condizioni in cui si trovava. Eh, la gente non lo capiva, il mio Jeff. A volte non lo capivo nemmeno io.
Il turno finì, salutai Louise con la promessa di risentirci quando Jeff sarebbe stato di buon umore.
A giudicare da quello che era successo ieri sera, sarebbe passato un po' di tempo.

Piccole Storie estemporaneeWhere stories live. Discover now