• Oneshot •

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[I fiori di primavera che si addormentano al calar della notte

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[I fiori di primavera che si addormentano al calar della notte.
Un messaggio lasciato sulla sabbia di una spiaggia d'estate,
la pioggia d'autunno, le lacrime d'inverno.
Vorrei che queste manifestazioni d'amore potessero scaldarmi il cuore.
Quattro stagioni col tuo amore come in un sogno.]


Namie Amuro - Four Seasons


[Estate.] 15 Luglio 1999.

Ricordava ancora il giorno in cui la incontrò per la prima volta, era luglio e stava vagando per le strade di Tokyo con una grande stanchezza addosso.Si stava interrogando se passare quel che restava della sua serata libera, una delle rare che aveva, in uno dei molti locali dove la compagnia femminile non mancava mai; quando il cicaleccio di voci e il suono di tamburi fermarono il suo cammino.
Aveva ancora addosso la giacca grigia e la cravatta stretta al colletto nonostante il caldo e l'umidità dati dalla stagione, si mise in ascolto e per un bel minuto buono rimase fermo dov'era con grande disappunto di molti che, passandogli accanto, erano costretti a girargli attorno per raggiungere la grande scalinata incorniciata dai torii.
Ripenso' con amaro disappunto al suo lavoro, a come fosse stato pieno di carte giuridiche da controllare, appuntamenti con avvocati e vari rappresentanti d'azienda a causa delle decisioni del suo capo di inglobare le piccole strutture che a causa di investimenti sbagliati navigavano in acque torbide.
Sospiro' e si tolse la giacca e tenendola sotto braccio si arrotolo' le maniche della camicia, s'allento' la cravatta e sbottono' i primi tre bottoni. Il suono dei tamburi e il rumore sempre più forte delle voci gli fecero venire voglia di prendere parte al matsuri che stava svolgendosi nel tempio del buon Higurashi Soichiro, così con le suole che grattavano il terreno si decise a varcare la soglia del grande torii rosso e di salire i centocinquanta scalini che lo separavano dalla festa.
Durante la salita gli arrivarono alle narici un sacco di odori: il dolce dello zucchero filato, lo speziato dei vari ramen e degli spiedini che venivano preparati.
Sorrise, erano anni che non partecipava ad un matsuri; l'ultima volta gli parve di ricordare fosse ancora all'università e gli sembrava di stringere tra le mani tutta una serie di possibilità che non facevano che moltiplicarsi ogni giorno di più. Arrivato quasi in cima si mise a contemplare per un fugace momento il grande torii che si stagliava a fine del suo percorso, il rosso lievemente sbiadito e la struttura illuminata dalle varie torce infuocate davano alle colonne un ché di magico.
Quasi fossero un portale per un mondo sconosciuto.
Scosse la testa e giunto sul grande spiazzo d'ingresso assorbì con lo sguardo quella bolgia di persone: famiglie con bambini che correvano ovunque con i loro amici di giochi, adolescenti che ridacchiavano non appena si sollevava un argomento divertente e coppiette alle prime uscite che si guardavano con tenerezza.
Erano queste che si muovevano per l'enorme pianta che era il tempio Higurashi, le bancarelle di cibo erano quelle che si incontravano per prime nel percorso che Sesshomaru stava facendo; e per quanto avesse ardentemente agognato una tazza di sakè non si dispiacque di trovarsi in mezzo a tutta quella vita. Il tempio sorgeva su un'irta collina da più di cinquecento anni e aveva una pianta di ventimila metri quadri al cui centro si trovava il tempio e la sua sala di preghiera assieme ai chozuya (le piccole strutture che servono a purificarsi prima di entrare) delineate da serpenteschi viottoli in pietra grigia.
Poco distante dalla struttura del tempio vi erano un piccolo agglomerato di costruzioni: una era la casa data in dotazione ai vari custodi del tempio; una piccola struttura su due piani. Un'altra era il grande magazzino dove reliquie di ogni sorta andavano mantenute con rituali ben precisi ed infine un pozzo che era stato delimitato da una modesta pagoda.
E, quasi fosse stata la planimetria di una freccia, al di sopra e poco distante dalla casa del custode vi era un grande albero di canfora, che con ben oltre i suoi cinquecento anni vegliava i suoi abitanti e i fedeli.
Le bancarelle di cibo si inframmezzavano a quelle dei vari giochi e alle altre che vendevano maschere di cartapesta e si trovavano tutte nei pressi dei torii con le loro insegne sfavillanti, un reticolo di lanterne formava una scia luminosa che disegnava i vari percorsi che si potevano intraprendere, ai lati dei torii invece vi erano fiaccole di fuoco vivo che stavano a simboleggiare il vigore della festa.
Si mosse zigzagando tra la folla, la giacca sempre sotto al braccio, e in un impeto d'entusiasmo si comprò un kakigori gustandolo con piacere, il ghiaccio alleviava un po' quella calura in cui era immerso e provò uno dei giochi presenti: lo spara-tutto.
Vinse un piccolo portachiavi a forma di cane dal pelo bianco e gli occhi d'ambra, scosse la testa e con un movimento fluido mise la vincita di quella sera in tasca e buttò il contenitore del kakigori.
Continuò a seguire il flusso di persone che via via si faceva sempre più sgombro di giovani e più pieno di persone anziane, per poi trovarsi nella piazzola di fronte la sala di preghiera.
Alcuni uomini suonavano a cadenza ritmica sui grandi tamburi, erano quelli che aveva udito a fondo della strada, i volti coperti da maschere di oni. Pareva che uno spettacolo si sarebbe svolto da lì a poco e che i tamburi servissero a scandire quanto sarebbe rimasto, appena avessero smesso di suonare la magia avrebbe preso vita.
O almeno era quello che i vari presenti continuavano a ripetere tra loro, evidentemente quella comitiva faceva parte di una qualche attività che si svolgeva al tempio per essere così informati.
Lasciando il posto ad una donna anziana, Sesshomaru si decise che forse non era così male assistere allo spettacolo, così aspettò vicino all'omikuji dove ancora erano legati i foglietti di buona fortuna o malasorte estratti durante l'anno nuovo.
Accanto vi era uno dei tanti alberelli disseminati per il terreno del tempio, il ragazzo vi si appoggiò e incrociò le braccia chiudendo per un attimo gli occhi. Non gli erano certo sfuggite le occhiatine che molti gli avevano riservato, incredibile che la sua condizione di half sbigottisse la comunità nonostante vi vivesse da trentadue anni.
Sua madre era americana e suo padre giapponese ma la sorte volle dargli canoni molto più occidentali che della patria in cui aveva deciso di restare. Con i suoi capelli biondi quasi bianchi, occhi color nocciola tendenti al verde, la stazza alta e slanciata riusciva a farsi riconoscere con un battito di ciglia, eppure per la legge era giapponese non solo perché nato e vissuto lì ma soprattutto perché lo aveva scelto al compimento dei suoi diciotto anni. Con il grandissimo disappunto di sua madre che, dopo il divorzio dal padre, aveva fatto baracca e burattini tornandosene in Pennsylvenia a Lancaster.
Per quasi una vita intera aveva convissuto in uno stato di rabbia perenne e le cose non erano andate meglio quando scoprì che Taiga, suo padre, aveva un'amante da anni e che dal loro idillio era nato un bambino: Inuyasha, più giovane di lui di appena tre anni. Nell'adolescenza non solo era arrabbiato, ma aveva invidiato quel figlio nato da una donna giapponese: con i suoi capelli neri - come quelli di Taiga - e gli occhi di un marrone caldo.
Aveva urlato contro quell'uomo fin troppo umano riguardo la sua debolezza, era rimasto spiazzato dalla freddezza di Ava, sua madre, e aveva pianto da solo mentre le sue mani si ricoprivano di schegge e sangue a causa dei colpi inferti proprio a quell'albero di canfora che vegliava anche allora il tempio.
Quel giorno conobbe Soichiro, che con un sorriso sotto i baffetti fini e il pizzetto lo fece ridere.
Era un uomo già avanti con gli anni, sul volto vi erano strisce dorate e profonde di rughe, uno sguardo scuro mite e i capelli grigi racchiusi in un classico codino. Lo avvicinò raccontandogli la storia del Goshimboku, poi lo prese per mano e lo portò in casa sua dove una donna straniera dagli occhi verdi e i capelli neri lo accolse, lo curò e gli diede da bere un po' di latte; nel mentre Soichiro chiamava Taiga per rassicurarlo che il figlio era illeso e stava bene.
Nonostante il vecchio sacerdote gli anni in casa Shirogawa passavano tra un forte litigio e l'altro, una volta con suo padre, un'altra contro Izayoi, quella dopo con Inuyasha. Il tempio Higurashi era la sua isola felice, fu grazie a Soichiro, e solo a lui, che Sesshomaru guardandosi allo specchio si riconciliò con il suo aspetto: la forma degli occhi era sì stretta ma affascinante con quel colore così chiaro rispetto a quello comune. I suoi capelli erano sfumati da mille gradazioni di biondo, dando l'impressione che non avesse una capigliatura normale ma fatta d'oro.
La sua figura di sarebbe sviluppata e fatta uomo e allora, diceva il vecchio, sì che avrebbe compreso appieno la sua bellezza. Fu così, negli anni smise di arrabbiarsi con i membri di quella famiglia che mai aveva sentito sua, si fece più mite e silenzioso e con il mutarsi del suo atteggiamento anche il suo corpo cambiò e fu allora che scoprì la sessualità.
Ancora rideva sotto i baffi ricordando di quando la ragazza storica del fratello si era presa una sbandata per lui: Kikyo, i cui anni di attesa non erano stati ripagati.
Anzi, si era messa con Inuyasha nel vano tentativo di suscitare il suo interesse, peccato che poi quella seconda scelta l'avesse sposata. Due anni addietro, con lei in dolce attesa e con gli occhi ancora puntati su di lui. Sesshomaru riaprì gli occhi, oggi era un uomo affermato che lavorava come legale in una delle più grandi aziende giapponesi e con un legame stabile con il padre e un po' con quel fratello minore che aveva tanto ostracizzato.
Eppure, quando assisteva alle occhiate di curiosità tornava a galla quel ragazzino insicuro. Si sistemo' la giacca su una spalla e si appoggio' nuovamente contro il giovane fusto dell'albero, incrociando le braccia e direzionando lo sguardo sulla piazzola: i tamburi avevano smesso di suonare.
Higurashi Soichiro fece il suo ingresso con l'hakama da festa dal color glicine, i capelli raccolti sotto un eboshi nero. Sesshomaru sorrise, era sempre stato molto teatrale il vecchio Higurashi ma quella sera si stava superando; non aveva proferito parola alcuna e tra le mani stringeva una freccia sprovvista di punta che bagno' nell'acqua del chozuya.
«Vi fu un tempo» la voce del vecchio fece cessare i lievi mormorii che ancora persistevano «In cui uomini e demoni camminavano sulla stessa terra» a quelle parole i musicisti fecero il loro ingresso; vestiti anche loro con uno yukata da festa dai colori sgargianti, sul volto una mezza maschera raffigurante i vari demoni dell'iconografia giapponese. I capelli erano nascosti sotto delle pezzole nere e tra le mani stringevano flauti tradizionali, erhu e piccoli sonagli.
Si disposero poco distanti dalle scale lignee della sala di preghiera e fissavano la folla con serietà «I due mondi non riuscivano a convergere e per questo nascevano conflitti, vere e proprie guerre che vedevano l'uomo in svantaggio» continuò Soichiro mentre un sonaglio iniziò a vibrare e uno dei tamburi, che precedentemente aveva intrattenuto si rianimò, dando pathos alla scena.
«Durante una delle molte guerre; una figura si erse tra i corpi che giacevano a terra» dette queste parole una figura minuta e con una maschera bianca si paleso' dalla sala di preghiera, le sue vesti erano quelle tipiche da cerimonia solo che le lunghe maniche le strisciavano a terra e il kimono era aperto abbastanza da rivelare il collo e le spalle pallide.
La parte superiore di un bianco accecante e quella inferiore di un rosso vivo la facevano sembrare un fantasma, i capelli neri erano intrecciati con nastri del medesimo colore dei pantaloni, i piedi nudi. In una mano stringeva una spada, nell'altra un rosario di perle nere «La sue armi erano: l'eloquenza della parola e la mitezza del perdono.» la figura compì un mezzo cerchio di spada e lo stesso fece con il rosario che si portò al cuore.
«Quella figura era una donna, una sacerdotessa venuta da lontano» la voce di Soichiro era ipnotica, così come lo erano i movimenti della figura che si stava apprestando a scendere i gradini di legno e passare oltre i musicisti travestiti da demoni. Sesshomaru si umettò le labbra, l'attesa che lo stava mangiando a morsi «Il suo nome era Midoriko. Ella sapeva domare l'arte della guerra ma aveva deciso di non adoperarla se non in caso di gesto ultimo». La ragazza, che si era fermata al centro della piazzola, fece un giro su se stessa per poi avvicinare l'elsa della spada e il rosario al petto, iniziando così a camminare e saltellare ogni volta che il flauto prendeva a suonare assieme all'erhu che saliva di tono ad ogni frase detta dal vecchio Higurashi.
«Tra i vari campi raccoglieva i rimpianti degli uomini e la rabbia dei demoni, i quali però se ne andavano più serenamente sotto le sue premure» la figura si era avvolta il rosario al polso e poggiato la spada ai suoi piedi mentre con teatralità porgeva le mani al pubblico. «Continuò nel suo vagare per anni, sin quando non si imbatté in un demone, il quale, era il re di quella zona» i tamburi presero a roboare, i flauti nel loro canto divennero inquietanti e l'erhu stridente, la ragazza iniziò a correre torno torno per la piazzola continuando a porgere le mani, sin quando poi non si arrestò e non rimasero che i tamburi.
«Il Re le chiese cosa stesse facendo, lei gli rispose che cercava di dare pace a chiunque gli si parasse sul cammino. Il Re rise sguaiato dandole della stolta, non vi sarebbe mai stata pace in un mondo che era diviso a metà, allora lei gli rispose: "Due metà si posso incontrare e dare vita a qualcosa di nuovo"». La ragazza si mise in ginocchio a pochi centimetri giaceva la spada «A quelle parole il Re fu colto da un nuovo scoppio d'ilarità, rideva della sua mitezza, delle sue azioni, del suo cuore. Le diede nuovamente della sciocca ma, dato che lo aveva divertito, per quella volta l'avrebbe lasciata andare ma doveva badare bene: se l'avesse nuovamente rivista o sentita parlare di metà che si incontravano l'avrebbe uccisa».
Le mani candide della giovane presero la spada e la cullarono come fosse un infante, si rimise in piedi e ricominciò a camminare lungo il perimetro della piazzola. Ancora una volta mostrava il palmo della mano, mentre l'altro rimaneva saldo sull'elsa «la sacerdotessa lo ringraziò e riprese il suo cammino non deviando mai dal percorso che si era prefissa, altri anni passarono e pian piano la sua parola si era sparsa per le varie regioni. Uomini e demoni iniziarono a combattere di meno e a vivere in maniera pacifica, fin quando un giorno il figlio di un capo villaggio non s'innamorò di una donna demone».
Da una tasca interna dell'hakama la ragazza aveva tirato fuori uno spillone per capelli, al quale dondolava tramite una catenella d'oro un fiore di ortensia dal tenue color lilla. Fece come se lo stesse osservando, lo portò al volto mascherato e poi lo infilò tra i capelli, la musica dell'erhu sembrava quasi una nenia incantata «Questa portava in grembo il frutto del loro amore, tuttavia questo nuovo bocciolo di vita veniva visto con sospetto da ambo le parti. Nella disperazione il padre del giovane combinò un matrimonio riparatore con una nobildonna del villaggio e costrinse il figlio minacciando la vita del nascituro.
Il ragazzo acconsentì e diede l'addio all'amata con l'amaro nel cuore, nell'afflizione la demone diede alla luce un maschio. Ma non riuscì mai a vederlo crescere perché morì di dolore poco dopo il parto, così quel neonato rimase solo». La figura si tolse lo spillone lo scrutò un'ultima volta e lo lasciò cadere a terra, accompagnata dai sonagli e dalla musica del flauto «Sarebbe morto se Midoriko non avesse sentito la storia dei suoi genitori e non fosse andata a cercarli per trovare un compromesso, ma ciò che trovò fu solo il mezzo sangue ancora coperto dalle tracce con cui aveva dovuto lottare per giungere alla vita. Così lo prese con sé e lo crebbe come meglio poté. Il suo amore per quella creatura era immenso e, ahimè, cieco. Non si accorse che il piccolo era divenuto un altro, che il Re dei demoni lo stava plagiando affinché togliesse di mezzo la sacerdotessa che tanto gli aveva tolto».
Un tamburo reiniziò a suonare, la ragazza aveva cominciato a girare su se stessa facendo così ondeggiare le maniche e i capelli «Così un giorno, il giovanetto, il quale aveva iniziato a provare odio per la sua nutrice, prese la spada che ella portava sempre con sé e, in una notte d'estate, le conficcò la lama in petto» la sacerdotessa aveva smesso di roteare, la spada era caduta ai suoi piedi e Sesshomaru capì di essere arrivato quasi al bordo di quel palcoscenico improvvisato perché con la coda dell'occhio scorse un mezzo sorriso da parte di uno dei presenti. Il lento librare dei flauti, dell'erhu, dei sonagli e dei tamburi si mischiavano al battere del suo cuore, rapito dalla vicenda di Midoriko.
«Quando questo guardò la donna in volto notò che tra le lacrime gli sorrideva, come ultimo gesto riuscì a toccargli una guancia poi si spense. Il corpo di Midoriko cadde a terra e non appena toccò il terreno divenne luce» la ragazza si afferrò maschera e se la sfilò con teatralità, gli occhi erano di un brillante verde ricolmo di lacrime, che scendevano lungo le guance accaldate. Le labbra rosse erano tese in un sorriso quando si sporse verso il pubblico per l'ultima volta prima di riprendere la spada e trascinarla lungo la stessa via che aveva percorso all'andata.
Sesshomaru era stregato, quella storia la sentiva particolarmente sua e quella ragazza era particolarmente magnetica nella sua interpretazione «Il giovane comprese solo in seguito ciò che aveva fatto, nel momento in cui la ragione raggiunse il suo cuore si disperò e amò il segno dell'ortensia che Midoriko gli aveva lasciato sul volto». Soichiro si mise al centro della piazzola, il tempo delle storie era giunto al termine «Fu quel giovane di mezzo che trovò uno spiazzo dove erigere un tempio in onore della nutrice, un luogo dove due metà possono incontrarsi e convivere seppur diverse. Fumihiro, questo il suo nome, affidò la costruzione e la cura del tempio ad un uomo e la sua famiglia e vegliò su di loro sin quando le forze gli permetterono di restare come essere a metà. Ma Midoriko, che mai si era allontanata dal figlio, sentendo l'amore che questo sentiva per quel luogo a lei dedicato avverò la sua preghiera più profonda: lo trasformò in un albero di canfora affinché potesse vegliare e proteggere i discendenti del sacerdote. E ancora oggi Fumihiro veglia sotto il nome di Goshimboku il tempio Higurashi». Soichiro fece roteare la freccia senza punta tra le mani rugose e incallite, poi iniziò a cantare la ballata di Fumihiro e, man mano che continuava, anche lui si allontanava sparendo tra le ombre della sala di preghiera.
Fu allora che dei fuochi d'artificio furono sparati in cielo, regalando meraviglia al pubblico e ai partecipanti del matsuri, Sesshomaru sorrise per poi unirsi alla folla nel battere le mani.
Ogni volta che ascoltava quella storia tornava bambino, gli pareva quasi di vedersi ancora undicenne mentre si scorticava le nocche sulla corteccia di quell'albero tanto mistico in preda ad una commistione di sentimenti che allora non sapeva decifrare.
Aspettò che gli anziani con lui si disperdessero; per poi recuperare da una delle tasche dei pantaloni il pacchetto di sigarette che avrebbe dovuto ricomprare di lì a poco. Appena le sue labbra tennero il filtro e la fiamma intaccò la punta della sigaretta facendogli prendere la prima boccata, si sentì in paradiso.
Per la prima volta da mesi si sentiva rilassato, chiuse gli occhi e prese un altro po' di fumo e proprio in quel momento di buio gli occhi della ragazza che aveva interpretato Midoriko gli tornarono in mente.
Aprì gli occhi e si passò la mano libera sul viso, controllò l'ora e si rese conto che era più tardi del previsto; la mattina dopo sarebbe dovuto partire per Fukuoka e non poteva più aspettare oltre. Così, buttò a terra la sigaretta fumata a metà e fece per fare la strada all'inverso e tornare verso i torii ma una voce a lui nota lo fermò.
«Shirogawa Sesshomaru, ragazzo mio!» la voce di Soichiro non era più la stessa di prima, era più dissonante rispetto a quando narrava la storia del Goshimboku ma la cosa gli fece muovere comunque un moto di tenerezza verso quel vecchio, adesso, di diversi centimetri più basso e dal sorriso sempre in volto. «Higurashi- san è bello rivederla» disse lui, inchinandosi con rispetto davanti l'uomo che lo aveva tenuto sui binari giusti della sua vita.
«Mio caro ragazzo - Soichiro gli prese le mani e gliele strinse con calore - non ti vedo da anni. Come stai? Cosa fai nella vita, dimmi, te ne prego. Hai assistito allo spettacolo vero, che te ne è parso?» le molte domande dell'uomo gli strinsero il cuore, era vero che erano anni che non si vedevano e di quello si pentiva amaramente. Sorrise e fu subito pronto a rispondergli «Sto bene Higurashi- san, lavoro come legale in un azienda piuttosto famosa la Technos Japan Corporation. E per ora lavoro, qualche volta esco con qualche ragazza, cose così. Sì, ho assistito allo spettacolo, siete sempre il miglior narratore di leggende Higurashi- san. Il tempo non ha scalfito la vostra bravura, ma anche la ragazza è stata a dir poco sbalorditiva».
A quelle parole il vecchio sorrise orgoglioso «Sesshomaru, non sai quanto io sia felice di rivederti e di sentirti dire che sta andando tutto bene. E per quanto riguarda la ballerina, bhé, che dire è la mia degna erede. Ma possibile che tu non l'abbia riconosciuta?! E' la mia Kagome-chan, la bambina che non faceva che osservarti da lontano quando eri al tempio». Uno spaccato di memoria gli tornò alla mente: una bambina di tre anni che con occhi sospetti lo osservava mentre parlava con quello che era suo nonno «Oh, ma non mi dica! Cavolo come passa il tempo, l'ultima volta che l'ho vista quanto tempo avrà avuto; otto anni?» Soichiro annuiva gioioso «Sì, per la miseria e tu eri un bell'ometto di diciannove anni l'ultima volta che ti ho visto» gli diede qualche pacca sul braccio e Sesshomaru sorrise ancor più dolcemente «Tredici anni fa, sembra ieri» disse lui e il vecchio assentì con partecipazione.
«Quindi avete deciso che sarà lei la vostra erede Higurashi- san, avete già iniziato ad addestrarla al ruolo?» l'uomo lo guardò con fare indignato «Per chi mi prendi ragazzo? Ho iniziato ad insegnarle il mio mestiere da quando ha appreso l'uso della parola. E adesso guardala - indicò il punto in cui Kagome era comparsa, si era cambiata dall'hakama ad una maglietta a maniche corte e un paio di jeans slavati, i piedi nuovamente al sicuro all'interno di calzature adatte.
Stava parlando con la comitiva di anziani che avevano assistito assieme a lui allo spettacolo - intelligente, bella come una dea e poco più che ventunenne. Ah, che bella età!» esclamò Soichiro, Sesshomaru si prese un attimo per osservarlo: il tempo con lui non era stato clemente. Aveva delle macchie scure sulle guance e sui dorsi delle mani, le rughe che prima erano accennate ora erano più profonde e marcate. I capelli gli si erano fatti più radi, il pizzetto e i baffetti, che erano stati il suo marchio da tempo immemore, erano quasi del tutto spariti così come era sparito lui sotto i vestiti da festa.
«Higurashi- san, state-» l'uomo non gli diede il tempo di rispondere «Sesshomaru, figliolo, la vita è un cerchio, no? Succede che alle volte quel cerchio finisca la sua tratta prima del previsto ma non temere, questo non mi butta minimamente giù. Tutt'altro, finalmente potrò rincontrare la mia Hana e mio figlio Ryuuji dopo tanto tempo e questo mi conforta». Si prese le mani dietro la schiena e con quello sguardo scuro lo fissò «Sono contento di averti rivisto, questa è stata la mia ultima narrazione e sono felice che tu ci sia stato. Sono orgoglioso di te ragazzo, vedo spesso Taiga e non fa che tessere le tue lodi e ora comprendo il perché» Sesshomaru distolse lo sguardo per posarlo sulla giovane ancora intenta a parlare, avrebbe voluto che suo padre fosse stato diverso «Lo so che gli sbagli di tuo padre ti sono gravati sulle spalle - le parole di Soichiro lo fecero irrigidire - ma non vivere all'ombra degli sbagli altrui Sesshomaru, sei un uomo d'onore e buono, hai tanto da dare a questo mondo non flagellarti oltre».
Il vecchio gli sorrise «E smettila di fumare, quella robaccia fa male!» Sesshomaru a quell'uscita scoppiò a ridere, solo Soichiro sapeva farlo sorridere in maniere inaspettate. «Nonno!» una voce suadente aveva chiamato il sacerdote con tono di rimprovero «Ancora non sei andato a letto, cosa dirà il dottor Toshiyuki se lo scopre?» la ragazza si era avvicinata a loro senza fare il minimo rumore, o forse erano loro troppo presi dalla conversazione da non essersene accorti.
«Oh sciocchezze! Lo sai che sono forte come un bue!» la rimproverò l'uomo, che guardava con fare bonario la nipote «Ah ah, come no. Su, su cenerentolo è il momento di andare a dormire!» scuotendo la testa Soichiro si rivolse a Sesshomaru che assisteva alla scena divertito «Vedi cosa sono costretto a sopportare? Io, il capo di questa famiglia?! Kagome-chan, ti ricordi di Shirogawa Sesshomaru? Era il giovanotto che veniva spesso a trovarmi anni fa» la giovane aggrottò le sopracciglia. Lo scrutò per un tempo che a Sesshomaru parve infinito, quegli occhi color acqua marina lo confondevano e gli stavano facendo battere il cuore forte come quando il suo capo lo minacciava di licenziarlo «Sì, sì mi ricordo. Il ragazzo triste».
Le sopracciglia sottili di lui si alzarono al punto da creare tante onde sulla sua fronte «Il ragazzo triste?» chiese «Sì, il ragazzo triste. Avevate sempre il volto velato di amarezza e malinconia, il che era un peccato data la bellezza di cui, a quanto vedo, disponete tutt'ora». La ragazza era diretta e questo, doveva ammetterlo gli piaceva, ciononostante quelle parole gli provocarono un lieve rossore agli zigomi. «Hem, grazie? Ti prego di non darmi del lei, sei ufficialmente autorizzata a darmi del tu» lei sorrise divertita e lo stesso fece il vecchio «Ah vuoi vedere che siete uno l'anima gemella dell'altra?» disse Soichiro con fare scherzoso.
«Nonno!» «Higurashi- san!» lo ripresero in contemporanea i due giovani, i quali si guardarono e per poco non scoppiarono a ridere «Bhé, è il momento che i vecchi si ritirino e che i giovani si godano il masturi.
Kagome-chan, ti prego di far compagnia al mio ragazzo qui. Ho come l'impressione che abbia bisogno di svagarsi. Ah, no, no no. Non c'è bisogno né di ringraziare, né di protestare il mio dovere qui l'ho fatto, buona notte» e con la nonchalant più forzata di sempre Higurashi Soichiro si avviò verso la propria residenza, lasciando i due nell'imbarazzo più totale.
«Mi dispiace per mio nonno, lui...» Sesshomaru scosse la testa «So molto bene come è fatto Higurashi- san, non devi assolutamente scusarlo è parte del suo fascino suppongo».
Kagome strinse le labbra per evitare di ridere nuovamente «Sei stata davvero brava prima» le parole uscirono senza preavviso dalla bocca di lui e sortirono l'effetto di farla arrossire.
«Grazie Shirogawa- san, questa esibizione è stata molto importante per me» si morse il labbro inferiore, negli occhi verdi passò un lampo di dolore «Tuo nonno me lo ha detto - iniziò lui toccandole una spalla - mi dispiace molto» lei lo osservò meglio mentre il calore del suo palmo si diffondeva nel corpo di quest'ultima «Sei meno triste, anche se continui ad esserlo» lui le fece un mezzo sorriso. «Posso offrirti qualcosa?» le chiese «Volentieri» rispose.
I due si incamminarono in mezzo alla fiumana di gente che persisteva nonostante l'ora tarda e parlarono un po' di tutto e di tutti gli argomenti che venivano loro in testa.
Venne fuori anche la questione etnica e Sesshomaru non fu affatto sorpreso quando apprese che anche Kagome era un half come lui, anzi. Mangiarono, scherzarono e si conobbero meglio; la luna era alta e l'aria odorava di dolce.
Quella fu la prima volta che la vide e in cui il suo cuore aveva già messo in atto quel meccanismo infido che molti chiamano amore. Peccato che dopo quella sera non la scorse più per molto tempo.

[Inuyasha Story] 𝑭𝒐𝒖𝒓 𝑺𝒆𝒂𝒔𝒐𝒏𝒔 - Una Storia d'AmoreWhere stories live. Discover now