L'attesa

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Nessuno ci capisce niente di me, di quello che voglio, di quello di cui ho bisogno: soltanto io lo so, e ne vado fiera. È maggio e a scuola non ci vado più perché ormai l'anno è chiuso, è finita, e non ho voglia di stare sei ore in un forno senza motivo.

L'anno scorso la puzza di sudore e di maschio adolescente mi smuoveva qualcosa dentro, mi faceva leccare le labbra e stringere le gambe sotto al banco, guardavo negli occhi Lorenzo seduto in fondo alla classe e mi sentivo morire, mi sarei sciolta tra le sue mani, mi sarei messa in ginocchio davanti a lui implorandolo di prendermi e usarmi là davanti a tutti, ma adesso mi dispiace, Lorenzo, non mi fai più effetto.

Non mi basta più.

Ho sedici anni, sono una donna, mi devono fottere gli uomini, mica i ragazzini. Sul tram siamo tutti pressati in un unico corpo, mi sono tolta la cartella dalla schiena e la tengo in mezzo alle gambe così posso spingermi bene contro chi voglio.

Sto in piedi, davanti a me è seduto un uomo in maniche di camicia che legge tutto concentrato, vecchio il libro e vecchio pure lui, che non si rende conto che se poco poco alzasse il naso potrebbe sentire l'odore della mia fica oltre l'orlo plissettato della gonnellina da brava studentessa.

Lui legge e continua a leggere, non si accorge di me che struscio le cosce, che gli staccherei la bocca a morsi, che mi vorrei sedere in braccio a lui e strusciarmi e lasciargli una macchia umida sulla gamba del pantalone. Vecchio, vecchio, svegliati: ma quando ti ricapita una come me, quando ti ricapito io?

Mai, ecco quando. La voglia mi divora e mi farei fare tutto e lui niente, legge, che ci sarà di così avvincente in quelle pagine ingiallite che vale di più della mia bocca a cuore, della mia fica stretta e bagnata?

Mi inarco indietro, c'è una ragazza distratta al telefono, una ragazza va bene, mi va bene tutto. Ha le tette grandi e ci voglio sprofondare con la faccia, la mia lingua è fatta per far impazzire i suoi capezzoli sicuramente enormi, farli diventare turgidi e dritti e gonfi, una promessa di quello che sono in grado di fare tra le sue gambe. Lei pensa che sto cadendo, mi ferma con una mano sul fianco, sì, stringimi e ti giuro che sarai la mia dea per tutto il giorno e la notte.

Scendo dal tram.

Attraverso il piazzale dell'università ma gli studenti neanche li guardo, tutti preoccupati per gli esami e le lezioni e le rivendicazioni politiche, una noia mortale, solo dai discorsi che sento si capisce che questi non sanno neanche da dove cominciare a godersi la vita.

Potrei andare nel cesso degli uomini, mi siedo sul bordo di un lavandino e al primo che entra gli dico: Ciao, sono proprio quella che volevi, lo so. E lui mi fa un sorriso come il lupo a Cappuccetto Rosso, mi apre le gambe, si arrapa ancora di più quando si accorge che non ho le mutandine e sono già tutta bagnata. E allora subito si cala i pantaloni e me lo ficca dentro fino a mozzarmi il fiato, sa che ho bisogno di prenderlo tutto, e mentre spinge mi alita all'orecchio e mi giura che poi mi porta in aula e mi fa sbattere a turno da tutti i compagni.

Vado al bagno delle donne, mi chiudo in un cubicolo e mi ficco la mano sotto la gonna, ho bisogno di sollievo, sto impazzendo. Col medio mi stimolo il clitoride, sfrego forte, tanto è già umido, e mi mordo le labbra per tenermi dentro gli ansimi.

Mi proibisco di venire, che è la sensazione più bella del mondo: arrivare sul ciglio del burrone, guardare sotto, sentire per un attimo la forza di gravità che ti oscilla in testa, ritrarsi, aspettare.

Mi sciacquo le mani e la faccia. Ho la bocca e le guance rosse, mi merito un cazzo, una figa da leccare, mi merito una punizione, qualsiasi cosa.

Per fortuna lo so dove devo andare.

Mi è apparso su Tinder due giorni fa, in mezzo a una fucilata di sfigati da mettersi le mani nei capelli è uscito un profilo con la prima foto tutta nera. Di solito i tipi così li passo senza pensarci due volte, non ho tempo da perdere dietro ai misteriosi. E invece su di lui mi sono fermata: Ἀλέξανδρος, così con i caratteri greci che mi fanno arrapare da morire, quarant'anni. E mi sono accorta che aveva altre foto.

Le ho sfogliate, foto nera, foto nera, foto nera, e poi finalmente la mia curiosità e la mia pazienza sono state ripagate: una foto in bianco e nero di un uomo dalle spalle larghe, virile, tatuato su tutto il petto, con indosso dei pantaloni leggeri chiari, e poi la barba, i capelli arruffati e brizzolati sulle tempie. Un dio. Era sempre lui anche nelle altre foto, in situazioni diverse, ma non guardava mai in camera, meno male, mi sarei sciolta.

Ho messo like, mi ha matchato subito, e ci mancherebbe: sul profilo ho la foto della mia lingua che lecca le mie labbra, poi una dalla vita in giù con la stessa gonnellina che indosso ora, ho scritto che mi chiamo Elena, ho ventidue anni e mi piace giocare.

Mi ha scritto subito.

A: Brava

A: La maggior parte delle ragazze si ferma alla prima foto e passa oltre

E: Ma io non sono come le altre

E: E ho l'impressione che anche tu sia diverso...

Ci siamo scritti su Telegram ininterrottamente, scambiandoci foto ma soprattutto parole, versi, promesse animalesche di quello che potranno fare i nostri corpi insieme. Io sono fuoco da quando l'ho visto.

Scoprire la sua identità è stato facile. Una ricerca per immagini ed ecco tutto quello che volevo sapere di Alessandro Ruggeri, quarantatré anni e non quaranta, professore di Letteratura Americana. Tutto quello che lo riguarda strilla sesso, sesso, sesso.

E quindi eccomi, fra quaranta minuti inizia la sua lezione e sono arrivata presto per garantirmi un posto in primissima fila.

Mi siedo, e aspetto.


Diario della mia LinguaWhere stories live. Discover now