6. Nosey little fucker

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«Fai pace con il cervello». Poi girò i tacchi e camminò verso l'uscita senza aggiungere altro, lasciandomi definitivamente solo.

Attesi con impazienza di vederla attraversare il viale dalla finestra e poi il rumore della sua auto mettersi in moto, per un momento mi chiesi se Kerys fosse ancora lì fuori sotto la pioggia. Ma quando mi avvicinai al vetro gocciolante, dentro di me ero sicuro che fosse andata via.

E quindi ora mi ritrovavo insoddisfatto e in una piena crisi isterica. Perché era tornata fino a casa mia?

Ma lei, ferma nel panorama a guardarmi, quasi sul punto di toccarsi, aveva alterato qualsiasi equilibrio fisiologico della mia testa.

Camminai a piedi scalzi fino in cucina, con l'intenzione di bere qualcosa di caldo e fu allora che lo vidi. Sotto il riflesso della poca luce che filtrava da quel maltempo, il suo fiocco giaceva sul pavimento, proprio lì dove si era bruciata la mano.

La sua mano in fiamme mentre si accarezzava la coscia. Un fremito raggiunse il mio inguine, così intrusivo da serrarmi la mandibola.

Mi chinai per raccogliere il fiocco e me lo rigirai tra le mani. Avrei dovuto mettere a tacere le mie fantasie, ma non ero più in me.

Sentivo l'eccitazione sviscerarmi dentro e uccidere anche l'ultima cellula di raziocinio che mi restava. Con il fiocco ancora tra le mie mani, tornai in soggiorno e salii poi le scale fino alla mia camera.

Lo abbandonai nel mio bagno, proprio sul lavandino, e lasciai scorrere il getto della doccia prima di togliermi tutti i vestiti ed entrare al suo interno.

L'acqua avrebbe dovuto spegnermi, come fa con le bruciature. Ma proprio come avevo spiegato a Kerys quel pomeriggio, temevo che una volta finito di fare la doccia sarei tornato a bruciare più di prima. Ma non avevo altre possibilità.

La corrente prese a bagnarmi i capelli e poi il resto del corpo, percepii i muscoli rilassarsi sotto quel massaggio rigenerante. Il rumore della pioggia avrebbe dovuto rasserenarmi ulteriormente.

Ma più cercavo una valida ragione per non pensarci, più sentivo la mia virilità prendere vita. E così poggiai l'avambraccio contro le mattonelle e ci poggiai la fronte sopra, respirando profondamente la condensa e lasciandomi inebriare dal calore della doccia.

Chiusi gli occhi. E lei mi tornò in mente.

Vestita della sua divisa, con la gonnellina scomposta, mentre legge assorta sdraiata sul divano di casa mia. Con gli occhi che erano diamanti violetti e le labbra piene increspate a mordicchiare una matita. Le cosce nude e la testa piena di incubi.

Questa era Kerys. Ventuno anni e lo sguardo di una gatta, così innocente all'apparenza, ma fulgida di oscurità. Tanto vissuta da portarsi dentro più anni di quelli che conta il suo corpo.

Ed ero profondamente scottato da lei. Per quanto volessi convincermi che Daphne poteva aiutarmi a togliermela dalla testa quando ne avevo bisogno, dopo che l'avevo colta in flagrante a osservarmi non ero riuscito ad andare avanti. Niente sarebbe stato capace di placarmi.

Ma la mia erezione era così prorompente che nemmeno l'acqua l'avrebbe aiutata e quando mi rassegnai al fatto che ero spacciato, fu a quel punto che abbassando la testa, riuscii a vedere alle mie spalle. Il suo fiocco poggiato proprio lì non mi lasciava altra via d'uscita.

Così mi liberai del tutto della mia morale, che era già vacillante di suo. E con la testa che girava, accarezzai lentamente mia lunghezza.

E se non potevo averla, almeno potevo immaginarla. Solo il diavolo avrebbe potuto giudicarmi per i miei pensieri, sperai che non fosse così parsimonioso da interpretarli come preghiere.

UNREPENTAINTWhere stories live. Discover now