Il Mistero di Green Avenue 13

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Da non molto aveva smesso di piovere nella città di Lindfort. Una macchina della polizia era costeggiata vicino alla strada, pronta a partire.
Le uniche luci che illuminavano l'auto erano quelle gialle dei lampioni.
"Sarà solo una bussata di porta." disse la poliziotta Claire. "Sicuro, saranno i soliti ragazzini che avranno fatto qualche festicciola e avranno alzato un po' troppo il gomito" aggiunse il collega Curt.
"Sono quasi le tre del mattino, tra dieci minuti dovremmo staccare."
"È una cosa da dieci minuti."
"Speriamo".
I due poliziotti arrivarono a Green avenue 13. La musica che proveniva dalla casa era assordante.
"Questi non sentiranno neanche il bussare della porta." constatò Curt.
Scesero dall'auto e si avviarono lungo il viale.
Claire notò una signora anziana affacciata alla finestra della casa a fianco e pensò: "Forse è lei che ha chiamato."
Curt bussò alla porta.
"Polizia, fateci entrare!"
L'unica risposta fu il continuo ed incessante andare della musica.
"Questi non ci sentono." affermò Curt scocciato.
"Dovremmo sfondare la porta."
Claire cercò di vedere attraverso le finestre, poi notò che il collega la stava guardando; quindi gli fece un cenno per dire che non vedeva nessuno.
"Va bene." disse Curt facendo un passo indietro per poi sfondare la porta.
All'interno della casa non c'era nessuno se non i rimasugli di una festa tra ventenni. Era tutto in disordine, sul tavolo in cucina c'era una torta di compleanno quasi finita, mentre in sala era pieno di alcolici, ognuno di un colore diverso e il forte odore di sigaretta andava a coprire quello dell'erba.
Ma la cosa più strana era che non c'era nessuno.
Claire andò vicino alla cassa per spegnere la musica e il silenzio irruppe nella casa.
I poliziotti cercavano di prestare attenzione anche al minimo rumore, quando ad un tratto sentirono dei passi timidi.
I due si scambiarono un veloce sguardo e si avvicinarono alla porta che dava sulle altre stanze. Curt estrasse la pistola dalla fondina e la puntò verso terra pronto a indirizzarla poi in faccia a qualche ragazzino.
All'improvviso un'ombra andò a sbattergli contro facendogli partire un colpo, mentre una seconda figura fece cadere Claire a terra per poi scappare rompendo la finestra.
La poliziotta si girò verso il suo compagno e vide un uomo sopra di lui che sembrava gli stesse per mordere il collo; in men che non si dica Claire si ritrovò a guardare il corpo del collega steso a terra, inerme.
Tirò subito fuori la pistola e non appena lo fece si ritrovò lo stesso uomo sopra di lei che subito la attaccò. Claire tentò di dimenarsi, ma iniziò a sentirsi sempre più stanca, le sue mani si raggrinzirono e le unghie si ingiallirono, in seguito perse la vista, e i capelli divennero bianchi mentre i denti si staccarono dalle gengive.
Infine, esalò il suo ultimo respiro.

La mattina seguente, in un campo caravan, la suoneria di un telefono fece svegliare Gabriel Blackwood che inizialmente si girò e rigirò nelle coperte.
Si sedette su un lato del letto per poi alzarsi, facendo cadere involontariamente una bottiglia vuota di bourbon che si trovava già a terra e si diresse dove quell'incessante suoneria stava aumentando.
Si stropicciò gli occhi e rispose al telefono.
"Pronto?"
"Detective Gabriel Blackwood?"
"Si?"
"Abbiamo un caso per lei."
"Di che si tratta?"
"Pensiamo possa trattarsi di vampiri." Sbadigliò.
"Vampiri? Va bene. Dove?"
"Green Avenue 13."
"Mm... che bel numero." e chiuse la telefonata. Si lavò e poi partì.

Arrivato a destinazione uscì dalla sua vecchia berlina grigia. Vide, in lontananza, un ragazzo con capelli neri e corti che assumeva quasi involontariamente una posizione da soldato. Accanto a lui quattro uomini in giacca e cravatta, quasi identici, stavano parlando con dei poliziotti.
Non appena Gabriel si avvicinò ai quattro uomini, i poliziotti se ne andarono.
"Cosa abbiamo qua?" chiese subito Gabriel senza perdere tempo.
"Due poliziotti morti e otto ragazzi scomparsi."
"Otto?" si intromise il ragazzo.
Gabriel lo scrutò in malo modo, mentre uno dei quattro uomini disse: "A proposito lui è il suo nuovo aiutante."
"Io non l'ho chiesto." rispose secco Gabriel.
"Lo chiede l'agenzia. D'ora in poi i detective devono lavorare in coppia. Troppi omicidi, così dicono dall'alto."
"E mi date un pivello?"
"Era l'ultimo rimasto."
Gabriel li guardò mentre si allontanavano.
"Salve, io sono il detective Jonah Garlick. Buongiorno collega." "Si si dai andiamo."
Entrarono nella casa.
"Che odore..." notò Gabriel chinandosi con fatica verso il primo cadavere che vide.
Jonah fece un sorrisetto con una risatina.
"Guarda che potrei essere più agile di te. Non è che perché mi vedi così in sovrappeso, trasandato e di una certa età vuol dire che non possa farti il culo. Ho solo duecento anni e sembro un uomo di mezz'età!"
"Duecento anni?! Non c'è una pensione?"
"Pensione?"
Gabriel rise e poi continuò: "Qui o si muore o si muore, Detective..."
"Jonah."
"Si so come ti chiami."
Il detective Blackwood si concentrò poi sul corpo. Esso sembrava essersi rinsecchito, come se qualcuno avesse preso una mummia e l'avesse portata lì.
"È una donna." aggiunse poi Gabriel quasi sovrappensiero. "Come fa a capirlo?"
"Claire Hudson. C'è scritto sul distintivo."
"Ah" Jonah iniziò a scrivere sul taccuino.
"Invece di scrivere il suo nome, puoi dare un'occhiata all'altro poliziotto?"
"Certo, Curt Morris."
"Cosa può essere stato secondo te novellino?"
"Osservando il tipico segno dei due buchi sul collo e come sono ridotti i cadaveri, mi viene da constatare che sono stati i vampiri..."
"Già, eppure perché c'è lui?"
"Lui chi?"
Improvvisamente la televisione si accese insieme alla radio emettendo dei rumori che fecero accapponare la pelle a Jonah. Si sentì il pavimento scricchiolare, lo specchio in sala emise un rumore stridulo per poi iniziare a creparsi. Piatti, posate, bicchieri e oggetti simili iniziarono a fluttuare nella stanza. Jonah si avvicinò alla porta chiusa a chiave pronto ad uscire, quando notò che il crocifisso all'entrata iniziò a sanguinare e a girare più volte su sé stesso.
Jonah cercò insistentemente di aprire la porta.
Tutto tremava. Quando ad un certo punto lo specchio scoppiò, lui urlò: "Aiuto!"
Dalla radio si sentì una voce viscida che avrebbe fatto venire i brividi a chiunque l'avesse sentita:
"USCITE DA QUESTA CASA!"
Dalla televisione uscì una mano cadaverica e i corpi dei poliziotti iniziarono a ridere. Era una risata che penetrava nelle orecchie e urlava al cervello "SCAPPA".
Nonostante tutto questo, Gabriel rimase fermo in mezzo alla stanza e urlò: "Harry basta con queste cavolate!"
I piatti caddero, facendo un rumore assordante.
Tutto si interruppe.
Jonah era terrorizzato, a tal punto che se fuori non ci fosse stato il via vai delle macchine si sarebbe sentito il suo cuore battere all'impazzata; quindi, si appoggiò al muro e fece un sospiro di sollievo.
Gabriel si girò verso Jonah e poi urlò nuovamente: "Harry esci!" Una forma fluttuante bianca attraversò il muro.
Aveva il viso di un uomo e il corpo non aveva una forma precisa, sembrava quasi informe, ma man mano che si avvicinava, iniziò a prendere forma e colore fino a sembrare una persona comune.
Aveva i capelli nero corvino e degli occhi azzurri molto intensi. Ad un tratto iniziò a parlare: "Come fai a beccarmi sempre?"
"Croci che girano, scricchiolii di vetri che poi esplodono, piatti che volano, è la tua firma."
"Dovrei cambiare un po'... però agli umani e al tuo amico queste cose fanno paura." e si fece una piccola risatina tornando completamente nella forma da fantasma.
"È faticoso stare in piedi come fate voi"
"Non è un mio amico. È un mio collega." lo corresse Gabriel. "Salve", disse Jonah porgendo la mano a Harry.
"Salve, salve." rispose Harry dandogli un cinque vuoto che trapassò la mano del detective.
"Cosa ci fai qui? Sono morte delle persone, voi fantasmi dovreste aspettare almeno che la polizia porti via i cadaveri e che la voce si sparga tra i ragazzini per poi entrare in una casa." affermò Gabriel
"Secondo il comma cinque punto undici del regolamento internazionale dei fantasmi dovreste aspettare dai tre ai sei mesi, prima di infestare una casa." aggiunse Jonah.
"Si scout è quello che ho detto." replicò seccamente Gabriel. "Si merita una multa per non aver seguito la procedura." disse Jonah.
"No no vi prego." pregò Harry.
"Tranquillo Harry. Ha appena iniziato e non vede l'ora di mettersi nei guai. Dimmi chi ti ha mandato qui e niente multa." "L'agenzia!" rispose frettolosamente Harry.
"Non mentirmi, l'agenzia segue la legge. Qui, devi essere stato pagato bene per non rispettarla." constatò subito Gabriel. "Precisamente trent'anni in meno di vagabondaggio sulla terra." "Smettila di farmi perdere tempo e dimmi chi ti ha mandato" "Due succhiasangue. Non so i nomi. So solo che c'è qualcosa dietro, ma non hanno voluto proferire parola."
Pensando ad alta voce Gabriel disse: "Due vampiri che uccidono dei poliziotti, scappano dalla finestra e mandano un fantasma per allontanare le persone."
"A cosa stai pensando?" disse Jonah mentre osservava Gabriel girovagare freneticamente nella stanza.
"C'è un maledetto crocifisso in questa stanza?!"
"Intendi uno come quello che Harry ha fatto sanguinare?" rispose Jonah indicandolo.
"Perfetto, non ci sono dubbi! Pensavo che sembrassero dei ragazzini per potersi intrufolare nella festa..."
"Invece deve essere stata una cosa rapida dato che c'era un crocifisso e non potevano stare più di cinque minuti." lo interruppe Jonah.
"Esatto pivello." affermò Gabriel battendo le mani.
"Cosa?" chiesero contemporaneamente Jonah e Harry. "L'odore che ho sentito quando sono entrato, a parte quello del fumo e dell'erba... C'era un odore che non riuscivo a capire." "Che odore?" chiese Jonah.
Gabriel si avviò verso il bagno mentre Jonah lo seguì.
Tolse il tappeto che era davanti alla porta e notò subito una strana runa, una runa del teletrasporto.
Gabriel guardò Harry che, tremando, scomparve nel nulla. "Magia."

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