Capitolo Secondo.

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Il suo appartamento era fresco, l'aria che entrava dalla finestra gli solleticava le gambe scoperte, così come come i pantaloncini da basket che gli arrivavano al ginocchio.
Era fuggito dall'alto palazzo, o ci aveva provato, prima di essere fermato bruscamente dal omuncolo con gli occhiali; il Segretario gli ricordò di andare a ritirarsi i documenti, contenenti le informazioni già in loro possesso, al solito posto, ma avrebbe dovuto attendere la sera per poterlo fare. Così Ryō, il vomito che gli premeva in gola, se ne tornò a casa in fretta e si spogliò di quei dannati vestiti che lo facevano soffocare e si stese svaccato sul morbido letto da una piazza e mezza. Se ne sarebbe stato volentieri lì, a crogiolarsi nella sua sfiga, ma un miagolio proveniente dal terrazzo richiamò la sua attenzione, obbligandolo ad alzarsi.

> Si, arrivo. Ora ti apro.

Uno snello gatto rosso, con un occhio mezzo chiuso e la coda arruffata, entrò nell'appartamento. Si stiracchiò, per poi rotolare sul parquet marrone chiaro e sbadigliare pigramente; Ryō si stese accanto al gatto e gli accarezzò piano la pancia all'aria, orgoglioso di se stesso per aver ottenuto la fiducia di una creatura così diffidente.

> Hai fame, Akataro? Hai fatto di nuovo a botte?

Il gatto lo guardò male, prima di rigirarsi e andare a nascondersi sotto ad una sedia, attendendo pazientemente qualche boccone.
Akataro era arrivato una notte, aveva pianto disperatamente per del cibo e del latte caldo e Hatake, impietosito dalle ferite dell'animale, lo aveva fatto entrare; così il gatto fece di quell'appartamento la sua casa sicura. Il biondo ne fu contento, era la prima volta che si faceva un amico con così tanta facilità; solitamente veniva evitato, o per il suo aspetto o per i suoi modi freddi e distanti.
Spesso si chiedeva se il suo nome fosse la causa del suo atteggiamento, in fin dei conti Ryō, 寮, significa distante; l'unico regalo da parte dei suoi genitori, mai conosciuti e dei quali non aveva mai sentito la mancanza.

> Dai, mangia. Più tardi dovrò uscire, quindi vedi di non combinare guai. E non salire sul letto, gattaccio!

Con le dita grattò il retro delle orecchie del gatto rosso, un sorriso a tirargli le labbra in sintonia con il tono scherzoso che aveva, ma la mano tremava al solo pensiero di dover andare al porto, in quel dannato magazzino e parlare con quegli sfigati di "compagni" che si ritrovava.
La famiglia yakuza dei Draghi era piuttosto grande, formata dal Capo Kuroyama e da due fidati sottoposti, Migi e Hidari (Hatake non si era mai preoccupato di imparare i loro veri nomi); i quali avevano a loro volta due fidati sottoposti, che avevano a disposizione diversi gruppi di uomini. Ryō era fra le fila di uno degli uomini di Migi e ne era più o meno contento, perché non veniva quasi mai convocato; quel ragazzo, poco più grande di lui, era il classico tutto muscoli e niente cervello, con il quale non si poteva mai avere una conversazione civile e che venerava in modo fin troppo eclatante il loro padrone.
Si, padrone, perché era così che Hatake percepiva Ryūnosuke: un uomo a cui lui era legato non tanto da un contratto alla pari, ma da un accordo stipulato sulla base di un debito. Quel debito che tormentava le notti insonni del biondo e che lo pressava d'ansia di giorno; un debito del quale aveva ormai perso l'ammontare, ma che lo rendeva il cane al guinzaglio del vecchio. In molti, i pesci piccoli nelle fila di quella banda mafiosa, erano stati costretti ad arruolarsi per via di un debito, solo in pochi avevano scelto volontariamente quella vita e solo perché non avevano altro a cui aspirare. Ma per Ryō non era così, lui aveva sogni e speranze alle quali aveva dovuto rinunciare, tutto per un solo incidente.

Un morso d'avvertimento gli scavò la caviglia, segno che Akataro si stava spazientendo per la lentezza con cui l'amico umano gli stava mettendo la sua razione di cibo. Con gli occhi spaiati, Ryō guardò verso il basso e scosse la testa divertito.

> Adesso, che palle che sei! Aha, quanto vorrei essere come te: libero e senza vincoli.

Il giovane passò così il suo pomeriggio, ad osservare il gatto gironzolare per casa come se fosse lui stesso il proprietario. Akataro girovagò per la cucina piccola, sotto il tavolo e le sedie in compensato, per poi dirigersi verso il letto e salirci sopra; il fatto di avere un bilocale non era sgradevole, ma impediva al biondo di chiudere il gatto fuori dalla sua ipotetica stanza ed evitare che il suo pelo sottile s'infilasse ovunque. Ryō scacciò l'ospite con una gentile pedata e, dopo un miagolio permaloso, Akataro fuggì verso il bagno, dove i vestiti sporchi giacevano a terra. Il resto dell'appartamento non era un granché, non c'erano quadri o poster appesi alle pareti, solo qualche libro e manga abbandonati qui e là, un basso comodino accanto ad una piccola poltroncina scomoda e il portatile nascosto sotto il letto.

High Hopes.Where stories live. Discover now