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L'estate nel "piccolo" quartiere di Soho era sempre attesa da tutti. Dopotutto chi non ama le vacanze, il relax, il caldo (forse un po' meno) e i giochi in compagnia degli amici?
Sarebbe stato tutto perfetto, come ogni giorno, come ogni anno, come ogni decennio o secolo, se non fosse per un particolare: Crowley non aveva notizie di Aziraphale da qualche mese, ormai.
Ogni volta che andava a trovarlo la libreria era sempre chiusa al pubblico. La porta era bloccata, il cartello girato e le luci spente, come se l'angelo fosse partito e nessuno avesse capito dove fosse andato. Crowley sapeva benissimo che Aziraphale non si era mosso da lì. Lo percepiva, era certo che fosse sulla Terra e che fosse nei paraggi; solo che non sapeva dove, precisamente.

Giorno dopo giorno, il demone aveva lentamente smesso di andare a trovarlo senza avere risposta. Le visite quotidiane divennero settimanali, poi a settimane alterne, poi mensili e poi, semplicemente, cessarono.
Quel rifiuto gli faceva più male di qualsiasi altra cosa. Aveva passato anni, secoli, intere epoche senza vederlo, eppure li aveva passati senza il divieto di vederlo. Avevano solo deciso, di comune accordo, di non stare troppo insieme per non ampliare i sospetti contro di loro.
Sembrava così stupido. Cos'erano undici anni trascorsi insieme, a confronto con seimila passati a beccarsi ogni tanto e fingere di bisticciare? Non erano nulla, ecco cosa.
Eppure a Crowley non sembrava affatto stupido.

Crowley ci teneva. Ci teneva da morire. Sperava di incontrarlo, era sempre il primo a proporre un patto, un "trattato di pace" informale, una scusa, un modo per collaborare e, nonostante i rifiuti, vinceva sempre lui. Era ovvio che vincesse sempre lui: se Aziraphale avesse rifiutato anche una sola offerta, sicuramente il demone non sarebbe stato ancora in vita, con tutte le menzogne - mai verificate - scritte nei suoi rapporti.

La domanda, ora, sorge spontanea: cosa avevano fatto entrambi in quei mesi di distacco?
La giornata del demone era abbastanza "semplice". Era monotona, ripetitiva.

──

Qualche mese prima

Crowley si lasciò cadere con le spalle al muro. La sua mano sfiorò il proprio collo, gli faceva male, gli bruciava, eppure non riusciva a sentirne il dolore.
Strinse i denti e si morse il labbro inferiore per zittire qualsiasi urlo o singhiozzo che lo avrebbe potuto tradire in quel momento. Doveva andarsene.
"Non adesso", "Non qui", "Non davanti a lui";
"Non adesso", "Non qui", "Non davanti a lui";
"Non adesso", "Non qui", "Non davanti a lui".
Ripeteva le stesse parole nella propria testa come una cantilena. I suoi pensieri non erano certamente così lucidi da ripetere il tutto in modo così schematico; sbagliava l'ordine, sbagliava l'ordine delle parole, fu addirittura capace di sbagliare pronuncia e dover ripetere la parola - imprecando - nella propria mente.

Se Crowley avesse capito perché, in quel momento, si trovava fuori quella porta e non dentro, sarebbe sicuramente scoppiato in lacrime. Il demone era, ironicamente, più forte ma più debole dell'angelo. Aveva un'apparenza dura, non piangeva, non si faceva prendere dal panico, non mostrava tutto quell'interesse che mostrava l'altro nel mondo e nella vita umana.
Eppure Crowley non era così. Crowley, così si può dire, amava troppo.
Il demone era una di quelle anime costrette a vedere il mondo dagli occhi chi vedeva oltre il fisico, oltre il materiale. Si perdeva nei suoi sentimenti, a volte non li riconosceva, a volte li nascondeva perché non sapeva - o voleva - esternarli. Ogni cosa che faceva, la faceva perché sapeva che Aziraphale ne sarebbe stato contento - omesso ciò che doveva obbligatoriamente fare per l'inferno.
Non è facile ragionare come quel demone e capire, davvero, cosa gli passi per la testa.
Ci si può provare.

Crowley era forte, sì, ma era debole.

Era debole perché non sapeva aprirsi, perché rifiutava di farlo.
Era debole perché non voleva farsi aiutare - sentimentale parlando.
Era debole perché anche allora, di fronte ad un muro invalicabile, non ebbe il coraggio di sedersi e buttare fuori tutto ciò che aveva bloccato in gola da millenni.
Era debole.

Quei mesi divennero una routine costante. Il demone non faceva assolutamente nulla dalla mattina alla sera. Cosa doveva fare? Aveva rifiutato di tornare dall'inferno, non aveva compiti da parte loro, non aveva più il suo migliore amico; non aveva nulla che occupava le sue giornate.
Dopo qualche mese smise, addirittura, di curare le sue piante.
Queste, agli inizi, tremavano quando una macchia appariva su di loro ma, quando notarono che il demone alzava solo la voce per farle star ferme, lentamente smisero anche loro di averne paura.
Qualche umano inesperto avrebbe additato questa situazione psicologica come "depressione". La verità era che non c'era un nome vero e proprio per come si sentiva il demone. Tutto ciò che riguardava la sfera psicologica umana raramente lo toccava.

Crowley soffriva l'abbandono. Inconsciamente ancora gli faceva male l'esser stato cacciato dal Paradiso ma, orgoglioso e ferito com'era, non voleva ammetterlo neanche a sé stesso.
Aziraphale era, oltre che il suo migliore amico - e amore - l'unico piccolo, prezioso, legame che aveva con Dio e il suo Regno.
E ora lo aveva perso. Ora si sentiva totalmente smarrito.
Non faceva molto e quando smise sia di curare le piante che di andare a trovarlo si abbandonò quasi completamente. La sua idea principale era quella di emulare quella sua vecchia brillante di dormire per gran parte del diciannovesimo secolo, ma la consapevolezza che Aziraphale poteva aver bisogno di lui in un qualsiasi momento lo faceva sempre desistere dal passare i successivi due secoli dormendo.

E allora, esattamente, cosa faceva? Dormiva, sì, lo faceva di notte per passare il tempo, ma di giorno? Era una routine pressoché costante. Andava a prendere il suo solito caffè - i suoi soliti, in realtà -, scambiava due parole (letteralmente) con Nina e, occasionalmente, Maggie; e le giornate andavano così. A volte usciva di "casa" e faceva una passeggiata, girovagava sempre nella zona della libreria.
Faceva sempre le stesse cose. Ogni giornata era identica all'altra. Ogni giorno lo stesso tragitto, le stesse attività, lo stesso tempo passato a fissare quella porta dove dietro penzolava il cartello "Chiuso", nella speranza che cambiasse, uno di quei giorni.

──

Tornando ai giorni correnti, perché si è deciso di parlare di questo nella precisione? Aziraphale era comunque assente da mesi, cos'era successo questo preciso giorno?

Crowley aveva pregato.

Non era una sua veloce richiesta a Dio, fatta guardando il cielo, nella speranza di avere una risposta alle sue mille domande - causa della sua caduta -, no. Era andato ad Edinburgo, nell'unico luogo in cui aveva un legame simbolico con il paradiso che non fosse in Terra Consacrata e non lo ferisse: alla statua di Gabriele.
Guardò la statua. Era cambiata. Era sicuramente opera di un miracolo da parte degli angeli, non volendo più riconoscere Gabriele come Arcangelo Supremo.
Si inginocchiò, non facendo caso al volto, e pregò, disperato. Non sapeva a cosa aggrapparsi, non lo avrebbe aiutato nessuno, era rimasto da solo in tutto l'universo.

Forse, ma solo forse, Crowley avrebbe capito meglio cosa fosse successo, se avesse visto meglio la statua dell'angelo. Aveva tratti di diversi angeli, probabilmente i "candidati" a rimpiazzare Gabriele. Forse, se avesse notato che quella statua aveva alcuni tratti di Aziraphale, avrebbe capito qualcosa.

Spazio autore!
Il prossimo capitolo sarà incentrato molto su Aziraphale. Mi sono accort* che parlo relativamente poco di lui (per quanto io lo ami tantissimo) e, quindi, avrà tutte - quasi - le attenzioni che merita (¯'◕‿◕´¯)

Ho bisogno di te (Aziracrow)Where stories live. Discover now