𝐈𝐈𝐈

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La giornata per Crowley sembrò correre come un treno in corsa non appena avuta la certezza che il suo angelo non avrebbe pianto più - per quella giornata. O, almeno, lo sperava.
Quando, quella sera, ritornò alla libreria per passare a prendere l'amico restò stranito dal vedere ogni luce del negozio spenta. Il demone aggrottò le sopracciglia, lasciò l'auto ed entrò all'interno della libreria.
Era indubbiamente preoccupato. Non era da Aziraphale spegnere tutto senza alcun motivo o senza preavviso e questo Crowley lo sapeva fin troppo bene. Deglutì, aprendo la porta e schioccando le dita, per far sì che la stanza si illuminasse grazie ad un piccolo miracolo demoniaco.

«Angelo?» Chiese con un velo di preoccupazione, mentre faceva qualche passo verso gli scaffali. Si guardò intorno e si sentì spaesato, per la prima volta.

Quel luogo sembrava freddo, gelido. L'atmosfera leggera e rilassante che Aziraphale creava attorno a sé sembrava essere sparita in un battito di ciglia.
Crowley andò in panico - anche se non diede a vederlo. Iniziò a camminare a passo svelto per tutta la libreria, nella speranza di trovare l'angelo in un qualsiasi punto di essa e, soprattutto, di trovarlo perfettamente in salute.
Ci vollero minuti interi, e una sana dose di autocontrollo, perché Crowley finalmente lo trovasse senza rompere nulla.

Aziraphale si trovava nella stanza che aveva, precedentemente, "prestato" a Gabriele; era seduto sul letto, composto, mentre guardava con una strana espressione un punto indefinito del pavimento. Crowley si avvicinò di pochi passi, schioccò le dita e illuminò un minimo la stanza, per non dar fastidio all'angelo, probabilmente abituato al buio in quel momento.

«Angelo, stai bene?» Chiese il demone, fermandosi sul posto, a pochi passi da lui.

Aziraphale non rispose, era così chiuso nei suoi pensieri che, con grande probabilità, neanche aveva notato che qualcuno fosse entrato nella stanza. La sua espressione era più che preoccupante per l'amico. Era divorato dai sensi di colpa. Aveva le sopracciglia basse, gli occhi leggermente spalancati e il labbro inferiore che tremava appena, come se fosse sull'orlo delle lacrime.
Si avvicinò ancora, a piccoli passi, fino a sedersi accanto a lui.
Crowley non era esattamente l'essere più rumoroso al mondo. Aveva la capacità di essere subdolo come un serpente, se voleva. Semplicemente, sceglieva di farsi "notare" quando arrivava. Fu per questo che l'angelo non si accorse della sua presenza finché non sentì il materasso accanto a sé abbassarsi. Beh, fu per questo e perché era fin troppo chiuso in sé stesso da poterci fare caso.

La creatura angelica si irrigidì di colpo, non avendolo notato fino a quel momento e sospirò, mentre tornava nella sua posizione precedente.
«Io-» Iniziò Aziraphale, restando poi qualche secondo in silenzio, prima di girare velocemente lo sguardo verso l'amico e forzare un'espressione allegra «non avevamo un appuntamento, mio caro?» disse poi, con falsa allegria.

"C'è sempre tempo per cenare insieme. Siamo immortali. Parla.»
Tentò di essere duro. Tentò di imporsi, di farsi ascoltare. Non ci riuscì.
Crowley teneva da morire a quell'angelo, la sua intera esistenza si rifiutava di potergli fare del male, anche solo per un tono di voce. Le parole uscirono dal suo corpo come una supplica con una punta di autorità.

Ma ad Aziraphale non toccò affatto il suo tono, piuttosto toccò la frase "siamo immortali". Diamine. Non doveva dirla. Non doveva sbattergli dritto in faccia il perché stesse così male da quella mattina. Il sorriso - seppur falso - dell'angelo si spezzò in quel preciso istante. Gli occhi iniziarono a squadrare ogni centimetro del volto di Crowley nella disperata ricerca di un qualche tipo di conforto che, in quelle lenti scure, non riusciva a trovare.

Il demone se ne accorse, forse leggermente in ritardo, ma lo fece.
Portò una mano al propri occhiali e li tolse, posandoli accanto a sé, sul letto.
Gli occhi azzurri dell'angelo erano ora incatenati in quelli gialli del proprio amico, mentre cercava da solo quel conforto di cui aveva bisogno, quella certezza che Crowley fosse effettivamente lì, che stesse bene, che non se ne sarebbe mai andato - non di sua spontanea volontà. In un lampo gli portò le braccia attorno al collo e lo strinse forte a sé, posando una guancia sul suo petto, mentre stringeva forte gli occhi.

Il demone sospirò, sentendo nuovamente quel macigno sul petto. Era, da un lato, rincuorato dal fatto che Aziraphale si fosse lanciato tra le sue braccia.
Sapeva benissimo che se avessero atteso altri pochi secondi in quella situazione, con quella luce bassa e il disperato bisogno di entrambi di avere la certezza che l'altro stesse bene, che fosse realmente lì e non fosse un sogno, l'avrebbe baciato e avrebbe commesso un errore imperdonabile. Aveva evitato per così tanti secoli quell'argomento, solo per stare ai ritmi dell'angelo, che in quel momento si sarebbe fatto guidare dalla disperazione.

Portò le braccia attorno al corpo di Aziraphale e lo strinse a sé, posando la testa sulla sua. Chiuse gli occhi mentre il respiro di entrambi si regolarizzava.
Di portarlo fuori in quel momento non se ne parlava, a meno che l'angelo non lo avesse chiesto esplicitamente e sinceramente, e non solo come scusa per evitare l'argomento.
Le sue mani tentennarono per un momento, prima di posarne una, chiusa a pugno, sulla schiena dell'amico e stringere il polso di questa con l'altra, lasciando che Aziraphale si rilassasse quanto necessario.

Mai, in sessanta secoli, lo aveva visto così in panico. Non era la prima volta che l'inferno o il paradiso minacciavano di ucciderli, non capiva affatto perché fosse così agitato e terrorizzato dalle parole del Metatron.
Aziraphale non avrebbe ammesso in quel momento a sé stesso, o a Crowley, che a preoccuparlo non era la propria vita, quanto quella del demone. Non gli avrebbe certamente detto che quella pena non era dovuta al fatto che sarebbe potuto morire, quanto al fatto che avrebbe potuto perdere il suo migliore amico per sempre e lo avrebbe anche dimenticato.

Non lo avrebbe ammesso ma lo stava dimostrando più di quanto avrebbe voluto. Ora stretto al petto di Crowley, nessuna frase di negazione avrebbe fatto credere al demone che Aziraphale non avesse bisogno di lui, come tanto ripeteva ogni volta che dovevano lavorare insieme.
La presa del più basso si strinse dopo qualche secondo, mentre tentava - in vano - di nascondere il volto nel petto dell'altro per evitare di farsi vedere in quello stato.
Seppur non si notasse molto, Aziraphale era fortemente orgoglioso di sé stesso e non accettava così facilmente di farsi vedere debole, anche se chi aveva davanti era Crowley. Quando si era mostrato debole davanti a lui? Solo quando voleva fingere di essere in pericolo, con la certezza che sarebbe corso a salvarlo.
Anche in quel momento Aziraphale era certo che il demone sarebbe arrivato. Non solo perché avevano un impegno ma perché lo sentiva e basta. Sentiva che Crowley avrebbe scoperto che aveva bisogno di lui e si sarebbe fiondato al minimo allarme.

«Non vado via, Angelo. Non vado via.» Disse il demone, portando lo sguardo altrove per qualche secondo. Prese un respiro profondo e spostò le mani sul volto dell'amico, alzandolo verso di sé, tornando a guardarlo negli occhi.
Aziraphale aveva gli occhi lucidi. Tremava al contatto con la pelle fredda del demone, che ora aveva poggiato la fronte sulla sua e aveva interrotto il contatto visivo tra loro, chiudendo gli occhi. Aziraphale fece lo stesso, posando le mani sui polsi del compagno e tenendosi ad essi.

Dio (o Satana) solo sa quanta forza di volontà ci stesse mettendo Crowley in quel momento per evitare di baciarlo e urlargli in faccia tutto ciò che sentiva. Preoccupato com'era pensava che farlo avrebbe solo peggiorato tutto.
Non doveva far nulla di azzardato. Doveva solo dimostrargli che sarebbe rimasto con lui, anche se significava dover sopportare ogni piccola ansia o attacco di panico. Sarebbe rimasto fisicamente e mentalmente lì finché gli fosse stato permesso.

Ho bisogno di te (Aziracrow)Where stories live. Discover now