Sia nei confronti di Airton che nei suoi nutrivo una tenerezza che a parole non riuscivo a spiegare e che i miei pochi studi in ambito psicologico non riuscivano a decifrare. Quello che avevo detto a Isaiah non era del tutto vero, non mi ero laureata ad Harvard ma era ciò che sosteneva il finto documento che avevo allegato al mio curriculum per essere assunta da Theodore.

Mi ero laureata in psicologia forense alla Washington University a St. Louis, fra il Missouri e l'Illinois, e mentre studiavo per la laurea magistrale avevo iniziato a lavorare con il mio attuale capo. Avevo fatto il possibile per fare tutto nei tempi più ristretti e quando ero venuta a sapere di questa nuova missione che sarebbe arrivata ben presto avevo sfidato me stessa, superando nettamente il limite di stress che un corpo umano era in grado di sopportare, pur di formarmi ed essere pronta in tempo per essere scelta come agente infiltrato.

Avevo preso la laurea magistrale solo due mesi prima dell'inizio della missione, che aveva comportato il mio necessario trasferimento in questa isola. 

Ci ero riuscita, certo, ma sacrificando me stessa e la mia vita. E comunque, anche avendo raggiunto quasi tutti gli obiettivi che mi ero predisposta, non ero comunque fiera di me. Non mi ero mai fermata un attimo, non mi ero mai goduta quello che avevo raggiunto e che, alla fine, era il mio sogno più grande.

Non mi ero mai detta "Nerea, sono fiera di te". Ma d'altronde nessuno lo aveva mai fatto. 

«Terra chiama króshka». La voce di Isaiah mi riportò alla realtà, anche se avrei preferito di no.

«Tutto okay?».

«Sì».

«Menomale che fai la psicologa, pensa se avessi fatto l'agente segreto. Non sai proprio mentire».

Lo guardai alzando un sopracciglio. Quello che diceva era sempre strettamente legato alla realtà dei fatti, non sapevo dire se fosse un caso o se, in qualche modo, sapesse di me. Ma era impossibile che lo sapesse, no?

Dovevo indagare di più su di lui.

«Sai, da quando ci sei tu va meglio». Lo vidi distogliere lo sguardo per puntarlo sul campo da calcio. «Qui dentro intendo». Specificò.

«Davvero?».

Annuì. «Forse perché sappiamo che abbiamo qualcuno con cui parlare che non userà quello che diciamo contro di noi. O forse perché, per la prima volta, sembra che a qualcuno interessi davvero di noi e della nostra vita».

«Prima di me non era così?». Mi toccai distrattamente il colletto, sbottonando la parte più alta del cappotto e aggiustando la collana, ringraziando Dio che si accendesse da sola ogni volta che qualcuno parlava. Il che mi ricordò di dover stare attenta anche a questo fatto mentre stavo con Airton, perché i filmati che registravo non li guardavo solo io.

Per fortuna in ufficio ad occuparsi di essi, sia dei filmati che degli audio, era Lysander.

«Sokolov, ti è stato concesso di sgranchire le gambe in giro non di usufruire di questo tempo libero per provarci con la psicologa». La voce bassa e il tono tagliente di Cairo lo riconobbi ancor prima di voltarmi nella sua direzione.

Vidi Isaiah alzare lo sguardo su di me, continuando a dargli le spalle, e prendere un respiro profondo prima di parlare. «L'Imam, non mi sembra che il direttore abbia messo bocca su quello che possiamo o non possiamo fare durante questa ora libera. Quindi non vedo perché dovresti farlo tu che non sei nessuno».

La sua risposta non mi stupii, il temperamento di Isaiah era ben visibile dalle sue spalle sempre irrigidite e gli occhi azzurri distanti, calcolatori. Era per questo che la maggior parte dei detenuti e delle guardie sembravano evitarlo, ma Cairo peccava di arroganza e non si rendeva conto di quanto fossero stupide le sue azioni.

The Not HeardWhere stories live. Discover now