1st Chapter

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Il mattino dopo mi svegliai tardi, probabilmente erano già quasi le due del pomeriggio, come accadeva ogni volta che tornavo in comunità non prima delle quattro e mezza del mattino. Quella mattina non mi sarei alzata per nessuna ragione al mondo. Il mio corpo, coperto solo dall'intimo sotto il lenzuolo, era indolenzito in ogni sua parte e la testa mi esplodeva. Il suono stridente di una chitarra elettrica mi fece capire che, ciò ad avermi svegliata, era la suoneria del mio cellulare. Lo cercai ribaltando ogni cosa all'interno di quella stanza, per poi trovarlo abbandonato sul pavimento accanto agli stivali che avevo indossato la sera precedente. Lessi il nome sul display e vidi che era Pietro, il mio migliore amico. Risposi.
«Pronto!?»
«Eccoti finalmente! È mezz'ora che ti chiamo... Che fine avevi fatto?»
«Dormivo, Piè. Dormivo.»
«E ti sei dimenticata che ti sarei venuto a trovare anche oggi? Sono qua sotto, sbrigati, va'...»
«Ok, ok, non cazziarmi così.»
«Dai scema, ti aspetto!»
Andai in bagno a darmi una rinfrescata, poi tornai in camera afferrando un paio di jeans rigorosamente neri con il solito paio di catene allacciate ai passanti, e vi abbinai una maglia dello stesso colore con una stampa dei Guns N' Roses. Infilai gli anfibi senza premurarmi di allacciarli, afferrai la leggera giacca di pelle e gli occhiali da sole e, dopo aver salutato gli altri, uscii. Appena varcai il portone, vidi Pietro appoggiato al muretto lì di fronte, con il solito zaino enorme ai suoi piedi e il basso appoggiato accanto a lui. Vedendolo, non potei che lasciarmi andare ad un sorriso. Il sole faceva risaltare la carnagione chiarissima e la lieve brezza gli smuoveva la capigliatura lunga e castana. Quel ragazzo era davvero bello, ma non solo fisicamente, lui era davvero una persona splendida. E io cercavo di fuggure da ciò che provavo per lui. Nei suoi confronti mi ero accorta da mesi che era nato qualcosa di più del semplice "voler bene", quel "di più" che avrei dovuto cancellare. Mi avvicinai a lui e lo vidi venirmi incontro per stringermi in uno dei suoi soffocanti abbracci. Li amavo, erano l'unica casa che mi fosse rimasta.
«Ehi bellissima...» «Ehi Piè...» sciogliemmo quel contatto. «Allora, come stai?» «Come vuoi che stia? Abbastanza uno straccio... Tu?» «Mah, solito. Andiamo a fare un giro?» «Certo... Hai le prove anche oggi?» gli domandai. «No, oggi sono tutto per te.» mi rispose, accennando un sorriso e cercando i miei occhi riparati dagli occhiali da sole. «Perché non li levi? C'è il sole, ma non è affatto fastidioso oggi.» «Fidati, è meglio se li tengo.» sospirò, capendomi. Infatti, uno dei dettagli che avevo notato guardando il mio riflesso allo specchio, erano stati proprio gli occhi arrossati e le occhiaie violacee appena accennate, ma visibili dato il mio pallore.
Optammo per un bar e prendemmo posto. Ordinammo entrambi un caffè. Pietro aveva un'espressione quasi preoccupata e mi guardava spesso, dedussi che dovesse parlarmi e mi salì un poco l'agitazione. Sapevo bene, se si fosse trattato davvero di me come sospettato, quello che mi avrebbe detto, in fondo, erano mesi che me lo ripeteva. E aveva ragione, lo sapevo, ma temevo che non sarei riuscita a smettere. Era qualcosa che mi alleggeriva davvero o, per lo meno, che mi spegneva il cervello per un po' consentendomi di vedere meno la merda che mi circondava. «Ora dovresti togliere davvero quegli occhiali... Tanto so cosa c'è sotto, quello che stai tentando di nascondere.» Sbuffai e gli diedi ascolto. Inutile dire che la sua espressione cambiò ugualmente quando mi guardò.
«Scusami...» «Per cosa?» Chiese il mio amico. «Continuo a dirti che non vorrei vederti così per me, eppure continuo a non smettere.» Ammisi, con tono colpevole. «Guarda che non è per me che devi farti dei problemi, non è per me che dovresti trovare la forza di uscirne. È per te stessa che io premo tanto affinché tu ne esca, capisci? Non puoi buttarti via così.» Disse, quasi come se fosse direttamente il suo cuore a parlare. Mi prese dolcemente le mani e mi voltai, trovandomi a gurdarlo negli occhi. Due occhi stupendi, dal colore indefinito: potevano sembrare azzurri o grigi, ma ad una più attenta analisi era facile vedere come le sue iridi fossero impreziosite anche da piccole pagliuzze verdi e castane. Talvolta, il colore complessivo si avvicinava al verde acqua, altre volte più all'azzuro/grigio o, addirittura, all'azzuro pieno. C'erano volte in cui quel poco verde rifletteva così tanto da contagiare l'iride intera. Erano stupendi. Anche quando stava male... In quelle occasioni, la piccola scintilla che vi si poteva scorgere normalmente, veniva sostituita da un senso di vuoto, quel vuoto che si portava appresso ogni giorno, ma che in determinate situazioni veniva amplificato. Si tramutavano in occhi quasi vitrei, lo sguardo si perdeva anche troppo spesso... E, purtroppo, li avevo visti davvero molte volte in quelle condizioni. Erano struggenti, disarmanti... E mi fecero perdere la testa.
«Lo vedi quanto male ti stai infliggendo? Non posso vederti così...» Senza dire altro, mi avvicinò a sé e io mi accoccolai al suo petto, protetta da quelle braccia che sapevano offrirmi riparo. Parlammo a lungo della sera precende, di quello che a entrambi era accaduto, e poi, dopo l'ennesimo abbraccio, lasciai che prendesse quel treno che l'avrebbe riportato a casa. Già, lui fisicamente una casa l'aveva ancora, ma era chiaro che una casa, una casa vera, l'avesse persa fin troppo presto. Voltando le spalle alla stazione, cercai il pacchetto di sigarette, ne estrassi una, l'accesi e iniziai ad aspirare quel fumo tiepido che mi stuzzicò la gola. Sbuffai quella nuvoletta grigiastra e, passo dopo passo, tiro dopo tiro, giunsi nuovamente alla comunità. Era davvero tardi così mi sforzai di mangiare un tramezzino preparato velocemente, accompagnato da una birra fresca, e poi decisi di raggiungere i miei compagni sul divano. Eravamo un piccolo gruppo del nostro genere, quelli che tutti chiamavano i "metallari vecchi e sfigati", ci accontentavamo della modesta compagnia di circa sei persone. C'era Nathalie, una ragazza più tendente al Gothico ed arrivata da noi da poco tempo, che ancora dovevo imparare a comprendere; poi c'ero io e quattro ragazzi. Non eravamo cattive persone, ma tutti con gli stessi vizi. Mi sedetti in mezzo ai quattro "cavalieri": Gianluca e Jack alla mia sinistra, Christian e Jacopo alla mia destra. «Jack, ti prego, continua a guardare la televisione invece delle mie tette.» mi lamentai. «È un po' che non me le mostri Annina cara... Mi mancano!» affermò allungando una mano. Le tastò per poi trascinarmi a cavalcioni su di sé e simulare una scopata, con tanto di gemiti. Gli altri tre ci guardavano, e osservavano il mio seno muoversi con sguardo quasi famelico. Da dietro sentii arrivare Jacopo che mi sollevò riportandomi in piedi. «Che c'è, geloso?» lo atuzzicai. «Mhh...No, non direi, ma ti voglio. Ora.» mi sussurrò all'orecchio facendomi rabbrividire. Mi attirò a sé baciandomi con foga, accompagnato dai fischi dei compagni ancora avvaccati sul divano. «Ci vediamo dopo, ragazzi.» affermò, separandosi appena dalle mie labbra. Finimmo nella mia stanza. Mi sbattè contro la porta e mi sfilò la maglia con prepotenza. «Ehi, che ti prende?» gli chiesi. Poche volte aveva avuto quel comportamento. «Ho bisogno di farmi una scopata... E tu sei deliziosa...» rispose. Iniziai a spogliarlo, mentre lui armeggiava con la cintura dei miei jeans. Quando riportò l'attenzione al mio décolleté, scorse la bustina che sporgeva dal reggiseno. La prese. «E questa? Non vorrai fartela tutta da sola, vero?» dividemmo quella dose un po' più abbondante di Ero, e poi ogni freno scomparve. Ci spogliammo completamente, lo stesi sul mio letto e tracciai linee immaginarie con dei baci sul suo petto. Lui mi afferrò dai fianchi, penetrandomi con forza e facendomi sfuggire un gemito sonoro. Mi inarcai e iniziai a muovermi freneticamente su di lui. Invertì le parti, sovrastandomi. Adesso, quello a muoversi freneticamente era lui. Si chinò su di me baciandomi con foga; intrecciai le dita ai suoi capelli per poi guidarlo al mento, al collo, che inumidiva con la lingua. Arrivato al seno lo morse con forza, ma non mi fece male. Piuttosto, mi condusse all'apice, e venimmo insieme. In quel letto c'erano stati altri ragazzi, ma con lui era sempre stato diverso. C'era qualcosa che accomunava le nostre anime. Era un ragazzo stupendo, con il cuore ferito. Anche il sesso era il massimo con lui. Ed era l'unico a non lasciarmi da sola una volta finito. Lui capiva perché lo facevo, gli altri si divertivano e basta. Sentii qualcosa di umido toccarmi la pelle e, alzandogli il viso, notai che era una lacrima. «Che succede?» chiesi apprensiva. «Niente.. Niente, non ti preoccupare.» affermò per poi baciarmi di nuovo. «Parlamene... Cos'hai?» «Ti prego, non chiedermelo ancora.» «Va bene, va bene...» sospirai. Poco dopo, i suoi denti ripresero a toccare la mia carne, le mie labbra a divorare le sue, le sue mani a vagare sul mio corpo, e i respiri a confondersi. Andammo avanti parecchio quella notte, anche complice l'effetto dell'Ero, ma ne avevamo bisogno entrambi.

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