Il killer fantasma

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«Perché? Perché proprio i nostri figli? Che cosa cercava quel mostro che li ha uccisi?»
Le lacrime della signora Yu, la madre di Arthur, uno dei Cinque di McMinnville, riempivano lo schermo della TV nelle case di tutto il Tennessee.

Sia lei che le altre madri degli altri ragazzi assassinati erano apparse al telegiornale con addosso le magliette che riportavano stampati i volti dei loro figli, felici e sorridenti e con tanta voglia di vita. I detective ancora non avevano né un nome né un volto per quanto riguardava il colpevole, c'erano davvero troppe ipotesi ma la spiegazione che più tutti avevano a malincuore accettato era che, chiunque fosse stato il killer, aveva agito spinto solo dal gusto di provare ad uccidere qualcuno. Infatti, a parte dei segni sulle bocche dei ragazzi che faceva capire come fossero stati drogati, nessuno dei loro corpi aveva altri segni di lotta, ematomi o segni di percosse. Erano stati semplicemente mutilati e uccisi, come fa un bambino arrabbiato che rompe i suoi peluches.

«Chiunque tu sia, sappi che ci hai portato via una parte di vita. A tutti noi.» continuava a dire la donna sullo schermo, con le guance ormai rosse dal pianto, il naso come un pomodoro e due occhi che facevano fatica a stare aperti.

Dennis, accoccolato nel divano di casa, si godeva quel servizio senza nemmeno curarsi delle parole crudeli che indirettamente erano rivolte a lui.

Per quanto ci poteva pensare, il ragazzo non riusciva a provare alcun tipo di pentimento, non si sentiva affatto in torto con la sua coscienza, chiaro segno che forse nemmeno ne aveva una. Inoltre quella parola, "mostro", a lui piaceva. Era brutta, era forte, era potente. Come si era sentito lui. E il telegiornale, le madri delle vittime, la città intera di McMinnville aveva ragione, lui aveva fatto tutto quello solo perché voleva, non era stato spinto da qualcosa di più forte, da qualche sentimento corrosivo interno. Aveva visto cinque ragazzi e li aveva immaginati morti, niente di più, niente di meno.

Mentre guardava la TV che illuminava parte del soggiorno immerso nel buio, Dennis giocherellò anche con una ciocca di capelli più mossa delle altre, arrotolandola tra le dita secche e lunghe e canticchiando a bocca chiusa.

Se doveva essere sincero con sé stesso però, non aveva apprezzato le parole del profiler della squadra di polizia, che lo aveva ritenuto un sociopatico incapace di relazionarsi col mondo o di distinguere il bene dal male.

Dennis non aveva affatto paura di stare in mezzo alla gente, per lui semplicemente le persone servivano a rendere il mondo quello che era. Senza le persone il mondo non sarebbe stato degno di essere definito tale.

E inoltre lui sapeva bene come distinguere giusto da sbagliato, e in realtà non si preoccupava nemmeno delle conseguenze, non aveva paura di essere alla fine beccato dalla polizia e nemmeno di prendersi la pena di morte, in sostanza non era spaventato dal prezzo che avrebbe potuto pagare.

A lui era bastato fare quello che aveva fatto, aveva soddisfatto la sua sete di sangue.

***

La voce di sua madre lo fece tornare coi piedi per terra. Natasha entrò nel soggiorno con le chiavi che le tintinnavano in mano e, vedendo l'oscurità nella quale era immerso suo figlio, esclamò: «Dennis! Per favore, così ti rovinerai gli occhi. Che fai in questo buio?»
«Niente, niente.»
«Cosa guardi? Ah, il telegiornale. Povere donne.» Natasha posò le chiavi sul tavolino di fianco al divano e si sedette accanto a Dennis, «Se penso che anche tu eri lì quella sera, mi viene la pelle d'oca. Avresti potuto essere uno di quei poveri ragazzi. Oh cielo, non so proprio come avrei fatto guarda.»

Dennis non disse nulla, si limitò a guardare i movimenti di sua madre che si affacendava per la stanza.

Nemmeno le parole di sua madre servirono a fargli crescere un briciolo di colpa, la sua coscienza non si sentiva per nulla appesantita.

Natasha si sciolse i capelli dal codino venuto male togliendo l'elastico, le forcine e scompigliando i capelli castano scuro sulla fronte. Poi tornò dal figlio e gli si sedette di nuovo accanto.

«Come sei magro, devo confessarti che sembri tuo padre.»
«Davvero?»
«Si, anche se ora non sembra, ti assicuro che quando sei nato era uno stuzzicadenti.»

A Dennis scappò una risata, ora suo padre aveva perso il fisico da ventenne e aveva iniziato a tenere la barba lunga, i capelli molto corti e gli stava venendo anche la pancia da birra. Pensarlo un adolescente atletico e ben curato non era affatto facile. Aveva sì qualche ricordo sfocato della sua prima infanzia, ma erano immagini che via via col tempo, avevano iniziato a perdere forma e colore.

«Domani devi andare da lui, è già passato un mese. Se penso che tra poco andrai anche a vivere da solo, che tristezza essere madri a volte.»
«Fai un altro figlio allora, no?»
«No, mi basti tu. Con gli uomini ho chiuso lo sai.» e gli diede un bacio sulla guancia.

In realtà Dennis questa risposta la conosceva già, non era la prima volta che sua madre diceva così. Non sarebbe mai stato disposto a lasciare spazio a un altro estraneo nella sua vita, perciò quella era semplicemente una frase fatta per dire qualcosa a sua madre.

Finito il telegiornale, Dennis spense la TV e andò dritto in bagno per lavarsi e prepararsi per andare a letto.

Mentre si stava mettendo la maglia di quello che ormai aveva deciso essere il suo pigiama, il ragazzo guardò la sua immagine allo specchio e, ad occhi strizzati, disse con in grosso ghigno malvagio: «Come sei stato cattivo... erano solo dei poveri ragazzi.» rise crudele sottovoce, cantilenando quasi, come se avesse appena bevuto due taniche di alcol pesante, «Lì hai sentiti? Sei un vero mostro. Un mostro senza cuore...»

Appannò lo specchio con il fiato, nascondendo il suo viso crudele dalla sua vista, e ci disegnò sopra la sigla che aveva inciso sui corpi delle sue vittime: DL.

La guardò con attenzione, quasi la ammirava per come quelle due semplici lettere che potevano dire tutto e niente di lui, ora fossero sulla bocca di tutti.

Si chiese quanto ci avrebbe impiegato la polizia a capire che il responsabile fosse lui, forse un altro omicidio? Un anno? Due? Dieci? Ci poteva dirlo.

«Quanto sei disposto a farli impazzire, killer fantasma?» chiese Dennis alla sua immagine allo specchio, mentre un'altra malata risata usciva dalle sue labbra, «È bello vero? E allora facciamoli diventare matti da legare...»

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