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Fin dalla più tenera età, mi ero dimostrata una bambina estremamente sveglia. Ero brillante, imparavo in fretta, non sapevo mai stare ferma per più di un minuto; avevo sempre bisogno di imparare qualcosa, mettere in moto il mio cervello iperattivo, oppure la noia mi avrebbe colpita in tempo 0. E finchè ero rimasta piccola, tutta questa smania di fare qualcosa di nuovo veniva vista come un pregio, qualcosa che mia madre diceva con orgoglio alle sue amiche, e che mi faceva guadagnare qualche premio da parte di mio padre, quando tornava a casa la sera. Ma con l'andare del tempo, con l'inizio della carriera scolastica, ci volle poco per quella mia caratteristica a diventare un problema.

Avevo imparato il termine ADHD a 6 anni e mezzo. "Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività". L'unica cosa che avevo capito a riguardo era che il mio cervello aveva qualcosa che non mi faceva male, ma che comunque non andava bene. Non andava bene rispondere male alle persone che non mi piacevano. Non andava bene muoversi continuamente. Non andava bene disegnare mentre la maestra spiegava matematica. Non era più una cosa di cui vantarsi, era diventato qualcosa da correggere. E anche se negli anni avevo imparato come fare, come amalgamarmi tra le persone 'normali', come risolvere quel problema che mi avevano fatto coltivare soltanto per farmelo poi rimpiangere, qualche segno mi era rimasto addosso: ed eccomi, in terza superiore, ancora a combattere con l'ultima sfumatura di essi. La disattenzione.

Non era colpa mia. Ve lo posso giurare, che non era davvero colpa mia. Non avevo scelto deliberatamente di non prestare attenzione alla lezione di filosofia di quella mattina. E della mattina precedente. E quella ancora prima. Non era colpa mia! Filosofia era solo... difficile da capire, ecco tutto. Il fatto che sedessi letteralmente dietro al banco della mia crush del tempo era un dettaglio trascurabile. Decisamente trascurabile. Ma ormai era troppo tardi. Ah merda, ci risiamo.

-Hirai.

La prof di filosofia stava seduta alla cattedra, e mi stava guardando con il tipico sguardo compassionevole di un adulto che pensa di capire come si sente un adolescente, ma non sta capendo niente. Che fastidio. Però devo dire che, tutto sommato, mi piaceva Mrs. Kim. Non era abbastanza vecchia per lamentarsi di quanto noi giovani fossimo scansafatiche, e non era abbastanza giovane per capire il nostro slang. Il giusto compromesso per comprenderci, ma essere comunque estranea alla nostra generazione.

In quel momento, però, la mia sensibilità alle critiche non volute trascurò le buone intenzioni dietro il suo tono, e quell'unico sguardo mi irritò. Ma questa che vuole da me? Lasciami in pace, che sono stanca.

-Mrs. Kim. Salve.

Non dissi altro; nonostante il mio istinto impulsivo, l'educazione ebbe la meglio. In silenzio, presi posto di fronte a lei, davanti alla cattedra. Avevo le mani sudate. Il cuore mi batteva all'impazzata. Il mio piede stava battendo contro le piastrelle del pavimento con un tap-tap irregolare. La prof sospirò, assumendo un'espressione seria. Ho fame.

-Non stai andando bene quest'anno.

Non avevo la forza di incontrare il suo sguardo. Lo so. Non avevo fatto assolutamente nulla per recuperare gli appunti persi durante il quadrimestre, e mi ero ritrovata a non sapere nulla alla verifica; già il solo fatto che non avesse detto il mio voto ad alta voce, come gli altri, durante la lezione, mi aveva fatto intuire la gravità della cosa. Annuii debolmente, guardandomi le punte delle scarpe. Cazzo, sono bucate. Devo cambiarle. La mamma mi ammazzerà.

-Lo so, prof. Mi dispiace.

Altro sospiro. Le mie mani si spostarono a giocherellare con le chiavi di casa nella tasca della giacca.

-Il tuo punteggio in verifica è stato 31/100. Ora, io capisco che siamo alla fine dell'anno, siamo tutti un po' stressati. Però, Hirai- Momo, tesoro, nelle altre materie vai a meraviglia! In storia, ad esempio, non ho problemi a darti una A. Mi dispiacerebbe darti una F in filosofia.

of study sessions and crumpled notes.Where stories live. Discover now