Scalcio indemoniato e l'impotenza arriva crudele.

Mi attanaglia le viscere, mi spara al cuore e rimescola i ricordi.

Mi misero al muro, agguantandomi dai capelli corvini e mi sbatterono la testa sull'armadio. Rimasi lì quella sera, guardando l'anta di legno sporca di sangue.

E mi ricordo che non mi sarei fatto picchiare, ma mi sento fragile.

Il respiro parte in quinta, le mani fremono mentre le vene si ingrossano, i piedi mi si piantano a terra in una presa decisa.

Per quanto io voglia però, non riesco ad impormi più di qualche secondo.

Così sfrutto l'ultima arma che mi rimane, mi gioco la carta della dialettica.

"Bambi, fermali. Non ti conviene farmi arrabbiare." Dico cupo, ciocche corvine mi coprono gli occhi e la intravedo bloccare la sua camminata.

Mi sta ascoltando, bene.

"Non risponderò alle mie azioni." Sollevo un sopracciglio con fare arrogante, tentando di mascherare il mio vero stato d'animo.

"So essere molto cattivo, quindi basta forzarmi." Rincaro la dose e sembra vacillare, ma mi sbaglio.

"Dobbiamo parlare, sii più accondiscendente e vedrai che faremo in un attimo." Sentenzia seria e a me si blocca l'aria in gola.

Vuole parlare di loro, vuole darmi la colpa, porterà a galla i miei ricordi.

Miei, miei. Sono solo miei.

Il mio odio se lo porta con sé e si trasforma in paura.

Panico.

Incubi.

Loro.

La mia parte più rotta si scopre, non è più al sicuro ed ho bisogno di aiuto.

Il caos mi divora.

No, no! Vattene via!

Alzo il viso deformato da una smorfia, i denti che raschiano, le unghie infilzate nei palmi e un fastidioso pizzicore nel retro degli occhi.

"Benjamin!" Chiamo a gran voce, dimenandomi come un ossesso.

"Oh, cazzo. Cas! Dio, fatemi uscire, bastardi!" Spallate, calci ma niente da fare.

"Ehi, tu, stronza! Lascialo!" Richiama anche Olimpia, è inflessibile però.

Il vero panico mi incatena la ragione, mi riporta a dieci anni fa.

Alle botte, a quanta cattiveria, ai fiumi di lacrime.

"Ognuno ha i propri scheletri, io non ti obbligo a dirmi i tuoi!" Sputo fuori adirato, gli occhi iniettati di veleno.

E finalmente mi guarda, si scontra contro l'iceberg e inevitabilmente affonda.

Sembro aver smosso qualcosa che nessuno toccava da tempo, perché le si increspa il labbro e le tremano le ciglia.

"Lasciatelo." Dice alle guardie che, incerte, mollano la presa.

Tre metri ci dividono, e vorremmo solo azzannarci a vicenda.

Minuti interi di scambi di sguardi irati, ma sento la paura affievolirsi.

Forse stufandosi dell'astio che si è creato, si lascia andare ad un piccolo sorriso di tregua.

Ammorbidisco le spalle, però sempre attento a qualsiasi imprevisto.

"Non voglio mica metterti sulla sedia elettrica, volevo capire se posso aiutarti ad affrontare meglio la permanenza qui." Dice con voce soffice, molto diversa da quella di prima.

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