86. Che tipo di rapporto?

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E allora faccio una cosa di cui mi pento pochi secondi dopo averla iniziata.

Ma ormai l'ho iniziata, e la finirò.

Ho preso il microfono.

E ho parlato. Ho usato la mia voce!

«Smet-t-t-tetela di sssssentirvi offesi al p-p-p-p-posto mio!»

L'ho quasi gridato, e l'ho detto in italiano. Mi è uscito così.

I giornalisti mi fissano, sorpresi. Alcuni sorridono, alcuni borbottano.

Zoe si è svegliata e mi guarda con gli occhi sgranati.

«Louis non mi ha mai t-t-trattato da d-disabile, a d-d-differenza vostra» proseguo, sempre in italiano. Già mi è difficile parlare, se mi mettessi a farlo in inglese sarebbe un disastro. «P-p-può d-d-dirmi quello che gli pare, e voi non avete nessun d-d-diritto di sentirvi offesi p-per me.»

Continuano a fissarmi, senza dire niente, ma come se stessero assistendo a uno spettacolo prodigioso.

«Voi non sapete che t-t-tipo di rapporto abbiamo, q-q-quindi st-t-tate zitti!» Batto il palmo della mano sul tavolo e mi alzo.

Parlare mi ha innervosito. Gli occhi curiosi dei giornalisti mi mettono a disagio. Non voglio più stare qui. Voglio andare via. E me ne vado, esco dalla sala stampa.

Zoe mi ha seguito, mi afferra il braccio pochi metri fuori dalla porta. «Harry...»

«Sì, sì, lo so, nnnnnon me lo d-d-dire, ho fatto u-uuuuna...»

«No, è stato bellissimo» mi interrompe lei. «Non hai fatto una cazzata.»

lo stavo per dire "figuraccia", ma va bene lo stesso.

«I giornalisti sono insopportabili, sempre a sparare giudizi e aizzare polemiche. Hai lanciato un messaggio potentissimo, parlando, tirando fuori la tua voce, dicendo quello che pensi. Mi sono commossa.»

Effettivamente ha gli occhi lucidi. E pieni di venuzze rosse. E le occhiaie.

«Sei molto stanca?» le chiedo, mentre ci dirigiamo allo spogliatoio, dove ho lasciato le mie cose.

Sospira. «Mi hai sgamato che mi ero addormentata in sala stampa?»

«Sì.»

Scuote la testa. «Un po' sì, è vero...dopo pranzo non ho preso il caffè, e non ho retto le ore di sonno perse, scusami.»

Resto zitto, ma non posso evitare di pensare alla bustina di droga. Non so che tipo di droga fosse, non sono un esperto in materia, ma immagino qualche tipo di eccitante, forse cocaina come quella prima volta. Lei mi parla di caffè, in questi mesi ne parlava spesso: prendo troppi caffè, il caffè mi tiene sveglia di notte...ma forse non erano veramente caffè. Usa quell'eccitante per stare sveglia? Perché altrimenti non riuscirebbe a portare a termine tutto il lavoro che le do da fare?

All'improvviso mi sento in colpa.

Fino a questo momento mi sono preoccupato solo per me stesso, del fatto che toccando quella bustina mi sarei potuto contaminare e avere problemi all'antidoping. Non mi sono minimamente posto il problema del perché quella bustina fosse lì, nella sua borsa. Non ho pensato a lei nemmeno per un secondo.

Anzi, l'ho oberata di lavoro. Prima che assumesse Guinevere (ah, meravigliosa Guinevere!) l'ho costretta a seguirmi e controllarmi perché non riuscivo a controllarmi da solo. Non era una mansione che avrebbe dovuto svolgere.

Ci penso su mentre torniamo in taxi verso l'hotel, e mi viene un'idea.

«D-domani p-p-prenditi un giorno libero» le propongo.

Play - Larry StylinsonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora