- Il terreno ci cambia sotto i piedi -

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Sono passati 15 anni, eppure il ricordo è così fresco.

Le pareti crollate, la polvere. Quel tanfo di chiuso che si respirava dai polmoni.

L'elettricità era saltata.

"Corri scricciolo dobbiamo andare" disse mamma afferrandomi improvvisamente per un braccio.

Quello strattone fece cadere il mio orso polare, il pupazzo che tenevo sempre con me.

"Mamma, no!" esclamai.

"Non c'è tempo adesso per quello. Cammina veloce"

Sotto i piedi sentivo tutto tremare. Mamma passò in rassegna tutta la casa con un'occhiata soltanto, covando la speranza di guadagnare un po' più tempo. Voleva pensare, pensare al dopo, un dopo che non ci sarebbe mai stato.

Un ruggito feroce proveniente da chissà dove mi fece accapponare la pelle.

Papà aveva l'aria preoccupata, anche lui andava molto di fretta. "Hope rimani qui e non muoverti per nulla al mondo" disse sistemandomi sotto il tavolo in salotto. Poi scomparve nell'ombra e non lo vidi più.

Sentii i tonfi dei mobili cadere uno ad uno ma ero sola. Il buio oscurava anche i più flebili accenni di luce provenienti dalle vetrate distrutte.

Piangevo.

Rumori assordanti si mischiavano fra loro. Le scosse ora erano fortissime. Così forti da distruggere ogni cosa.

Mi raggomitolai stringendo a me le ginocchia sporche di polvere in quell'incubo di tenebre.

Chiusi gli occhi.

Silenzio.

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"Vieni a mangiare Hope?"

Annuso un profumino di buono.

Quando Nonna cucina qualcosa mi sale una di quelle acquoline in bocca che fanno venire i pugni allo stomaco, quasi combattesse con qualcuno sul ring dal rumore che fa o che si trovi ad un concerto di musica metal.

Dopo tutti quegli anni Nonna non aveva ancora imparato a pronunciare correttamente il mio nome. Spingeva moltissimo sull'acca quando invece non ce n'era bisogno. Hope, il mio nome, è una parola inglese e l'acca va solamente accennata.

Ha un significato speciale. Vuol dire speranza.

Era un nome che piaceva tanto alla mamma. Rimase incinta di me a seguito del viaggio di nozze con Papà negli Stati Uniti e scelsero insieme di chiamarmi in quel modo. Dicevano che i miei occhietti, così luminosi e pieni di vita, erano i più dolci del mondo, e che quando li guardavano tutti i problemi di colpo passavano sullo sfondo.

Però con la Nonna a volte mi faccio delle risate di pancia interminabili. Perché mi chiama dal piano di sotto e sembra che mi sproni a saltare come una cavalletta. Op, op, op!

Ma è difficile per lei capirne il suono. Come potrebbe? Non si è mai spostata fuori dall'Italia. I suoi erano altri tempi. E viaggiare allora non era certo all'ordine del giorno; non tutte le famiglie potevano permetterselo.

Nonna non conosce assolutamente niente in inglese infatti. A parte il mio nome, ovvio. Al contrario di me che ho raggiunto il mio meritato livello B2 grazie agli ultimi esami a scuola.

Le lingue fanno decisamente per me.

La cosa che mi piace di più del parlare una lingua straniera è che quando ti ci metti e fai pratica entri completamente in un altro personaggio. Ed è un po' come se recitassi una parte o, semplicemente, venisse fuori un lato di te che prima non conoscevi.

MELANGEWhere stories live. Discover now