Gelati

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Max

Dopo che accesi la sigaretta, l'avvicinai a Dustin e ai suoi indumenti, poi ai miei, per far prendere l'odore. Dovevo creare un haliby, dato che eravamo fuori da dieci minuti buoni.
Il ragazzo intanto si sistemò la ferita sulla fronte e prese dalla tasca posteriore una bandana da legarsi sopra in modo che non si vedesse.
Mi avviati verso la porta dopo aver spento la sigaretta per terra ed essermi sistemata.
- Max... - Mi chiamò Dustin.
- Samantha. Qua sono Samantha. - Gli lanciai un'occhiata torva e lui annuì.
- Samantha... Grazie per l'aiuto. - Disse grattandosi la testa.
Scoppiai a ridere: - Se ti piace essere aiutato a suon di pugni dimmelo, ho giusto nostalgia di scazzottate. - Scossi il capo e aprii la porta. - Ti sto dando fiducia, tu non darmi ragione di arrabbiarmi seriamente, Dustin. -
- Certo. Ti aiuterò a risolvere sta merda di situazione, anche per togliermi dai piedi i bastardi che mi stanno ricattando. - Sorrise e mi allungò una mano. - Ci stai? -
Sospirai. Dovrei smetterla con i patti e le scommesse... - Va bene. - Dissi.

Arrivammo nella saletta e tutti si voltarono a guardarci, compreso il compagno di Dustin, del quale poi mi sarei fatta dare nome e indirizzo. Dovevo tenere d'occhio anche lui...
Joe mi si avvicinò subito: - Come mai ci hai messo tanto? -
- Mio padre... Voleva passare a trovarmi tra qualche settimana per vedere come me la sto cavando, mentre io cercavo di convincerlo a non venire. - Feci finta di essere imbarazzata. - Poi Dustin ha incontrato un suo amico e quello si è messo a fumare... Ho gli abiti che puzzano in modo assurdo. - Brontolai, mentre l'altro ragazzo mi sorrideva di sottecchi, capendo il diversivo.
- Mmm... - Joe mi guardò qualche secondo, annusando l'aria. - Va bene. Giochi ancora? -
Guardai l'ora: erano le undici. - Nah... Penso che andrò a casa a riposare. -
- Oh, okay. Allora facciamo la strada insieme. - Posò la stecca senza darmi nemmeno la possibilità di rispondere. - Ragazzi, do uno strappo a Sam. - Alzò la mano per salutarli e poi mi prese per il polso, trascinandosi con sè.
- Samantha! Il mio numero? - Mi fece Dustin e io, di peso, bloccai l'avanzata di Joe verso l'uscita.
- Ti do il mio, poi mi scrivi. Okay? - Mi sforzai di sorridere per non far vedere che il numero dell'altro ci serviva solo per lavoro. - Hai una penna? -
- Quale buon ragazzo scapolo non ha una penna? - Scherzò e risi.
Era... Simpatico, dopo tutto.
Scrissi sul suo avambraccio e lui mi sorrise: - Grazie. -
- A te, Dustin. - Feci una cosa da ragazzina del liceo: spostai una ciocca di capelli dietro l'orecchio, guardando per terra. - Allora... -
- Ti scrivo questa sera. O ti chiamo. Come preferisci. - Mi fele l'occhiolino e io annuii.
Joe mi strattonò e feci appena in tempo a salutare i due che mi aveva presentato con la mano, e fare un cenno al "collega" di Dustin prima di essere scaraventata fuori dal bar.
- Joe! - Urlai infastidita.
Avrei dovuto far finta di nulla per il bene della missione, ma a tutto c'era un limite! Cazzo! Non mi sarei mai fatta mettere i piedi in testa dal primo deficiente che trovavo in California!
- Che cazzo c'è? - Si girò scocciato e irritato.
- Non farlo mai più! - Strattonai il braccio e mi liberai dalla presa, mentre mi fissava severo.
Non sapevo che diavolo gli passasse per la testa a quel ciglione, ma sapevo che era bravo ad incasinarmi le cose.
- Ti rendi conto che hai dato il numero ad uno che conosci da un paio d'ore?! - Sbraitò gesticolando, prima di ficcarsi le mani in tasca in modo brusco.
- E allora? Non è un problema tuo. - Replicai guardando l'orologio.
Era tardi... Domani c'era scuola e io dovevo uscire prima per controllare che Joe non fosse intercettato sulla strada per arrivare alla Hilton.
- Ciao Joe. Grazie per l'invito. - Alzai una mano e cominciai ad avviarmi per la mia strada.
Sentii correre qualcuno e poi venni afferrata da dietro, per la vita. L'istinto prese il sopravvento: strinsi il braccio e poi lo ruotati, spostando il peso da una gamba all'altra. In tre secondi netti Joe si ritrovò con la faccia contro un albero e un braccio immobilizzato.
- Che... Joe? - Lasciai subito la presa e feci un passo indietro. - Sei scemo o cosa?! Non farlo più! -
Quando si voltò, aveva gli occhi fuori dalle orbite... - Cos'era...? - Balbettò.
Distolsi lo sguardo e fissai un punto impreciso della strada. Dovevo inventarmi qualcosa alla svelta... - Non... Non vengo da un bel posto. - Vero. - Ho imparato a difendermi per necessità. - Giusto. - Era l'unico modo per andare avanti questo. - Corretto.
Tutto. Vero.
Prima di entrare all'agenzia, prima della morte dei miei, abitavo con loro in un posto isolato nella più grande città in cui si trovava una delle basi principali. Il quartiere non era male, ma la gente che ci viveva era... Viziata. I ragazzini ti seguivano e ti davano il tormento e per una bambina non era piacevole. Papà cominciò ad addestrarmi a casa...
E imparai a difendermi.
- Sam, mi dispiace. - Lo guardai grattarsi la testa, in colpa. - Per... Tutto. Prima e anche per quello che hai detto ora. -
I suoi occhi incrociarono i miei e per un istante sentii qualcosa alla bocca dello stomaco che mi fece innervosire. Io. Che ero abituata a mantenere la concentrazione e a stare calma. Max che cedeva al contatto visivo con un ragazzo.
Cazzo, Max, ripigliati! Pensai frustrata.
- Fa nulla. - Scrollai le spalle. - Vado a casa. - Mi incamminai di nuovo.
- Lo vuoi un passaggio? Sono in macchina! - Mi urlò dietro.
- Mi piace camminare! - Risposi e alzai la mano per salutare, senza voltarmi indietro.
Non ce la feci...
Quando la sua macchina mi passò davanti e fece la curva, mi misi a correre verso il vicolo nel quale avevo parcheggiato la moto da strada, quella che nessuno aveva visto. Infilai il giacchetto di pelle, raccolsi i capelli e li nascosti dentro il casco, poi montati in sella e partii per seguire Joe.
Arrivò a casa tranquillamente, con me dietro, ma anche la macchina dei quattro del bar. Quando svoltò per entrare nel vialetto, io accelerai e aspettai che il cancello si chiudesse, prima di svoltare in fondo all'isolato.
Sospirai: ancora vivo.

Passarono altri sei giorni e le cose peggiorarono parecchio...
- Allora Sam, che fai questo pomeriggio? - Mi chiese Zayn, mentre mangiavano alla mensa.
- Corsa. Poi credo di studiare... - Risposi.
- Già, perché non ti spari un colpo? È più piacevole di studiare! - Rise Mike e io lo seguii.
Era facile ridere con quei due. Erano troppo scemi e divertenti!
Stavo con loro per due ragioni:
A) Joe non mi permetteva di ignorarlo.
B) Il collega di Dustin veniva alla Hilton.
Dovevo stargli il più vicino possibile per non permettergli di stare con quello che, grazie alle informazioni di Dustin, si rivelò essere Jason Denver.
Era un semplice scagnozzo che andava in palestra: nessun titolo federale, nessun addestramento particolare, niente curriculum minaccioso o grado. Niente banda clandestina. Un semplice adolescente che lavorava per le persone sbagliate.
L'unica pecca era che si era da poco iscritto alla squadra di football di Joe e Zayn, cosa che non mi piaceva.
- Sai che hai perso la scommessa? - Joe mi si avvicinò, dandomi una spallata amichevole.
Già... Per non permettere a Jason di avvicinarsi, mi ero avvicinata troppo io a lui.
- Dovrò pagarti i gelati, suppongo... - Sospirai dicendo addio ad un mese di gelati gratis...
Non è giusto! Che palle!
Senza rendermene conto, avevo messo su un broncio quasi adorabile, dato che tutti e tre mi fissarono a bocca aperta. Mi ricomposi subito scrollando la testa: - Da domani. È domani che scade il termine. -
- G... G... giusto. - Balbettò Joe.
Sentii il telefonino vibrare nella tasca e mi alzai, tirandolo fuori: Scott.
- Mio padre. - Mentii, anche se effettivamente era la persona più vicina ad un padre che avessi in quel momento.
- Max, come stai? - Chiese, appena accettai la chiamata.
- Mmm... Immagino tu abbia qualcosa di importante da dirmi, per chiamarmi in orario scolastico... - Risposi, allontanandomi veloce.
- Beh, Heyden... Vuole conoscerti. - Disse senza troppi giri di parole.
- Eh? Joe già mi conosce. - Sussurrai, gettando un'occhiata al ragazzo che mi guardava uscire dalla mensa.
- No, Max. Il SIGNOR HEYDEN. -
Mi cadde letteralmente la mascella. - Cosa?! -
- Vuole conoscere l'agente di protezione che ha in custodia suo figlio. - Spiegò. - Nadya è d'accordo. È nei suoi diritti farlo, Max. -
- Okay... Quando? - Chiesi, passandomi una mano tra i capelli.
- Credo... Anzi. Ora. -
Sbiancai, guardando come ero conciata: jeans, canotta nera e camicetta a scacchi, dalle maniche corte, più Converse bianche.
Merda! Non ho un cambio!
- Ma... Sono a scuola e non... -
- Max, sei infiltrata, sotto copertura. Qualsiasi cosa tu stia indossando è perfetta. - Rise, forse capendo la mia preoccupazione. Erano poche le volte che rideva.
- Va bene... - Mi morsi un labbro. - Allora... Ora? - Domandai per conferma e lui mi rispose di sì, che mi sarebbe arrivato il messaggio con l'indirizzo, anche se lo sapevo benissimo, dato che era scritto anche sul fascicolo del mio incarico.
Chiusa la telefonata rientrai. Presi la giacca e guardai i ragazzi, pregando che Jason non ne approfittasse...
- Problema famigliare. Devo andare ragazzi. - Sospirai e mi passai ancora la mano fra i capelli. - Domani mattina alla gelateria vicino al parco? Tanto non c'è scuola... - Guardai Joe, che sorrise beffardo.
- Mi piace questa vittoria. - I suoi occhi verdi scintillarono un secondo, prima che io distogliessi lo sguardo.
Merda. Fa che suo padre non abbia lo stesso "potere" di Joe. O dovrò cavare gli occhi ad entrambi...
- O... Okay. - Farfugliai.
Tirai fuori le chiavi della moto e andai verso la porta. Due secondi prima di aprire la porta, trovai Joe al mio fianco.
- Ti accompagno alla moto. Per te va bene? - Sorrise divertito probabilmente dalla mia espressione sorpresa.
Cavolo, spunti ovunque. Sei... Troppo... Appiccicoso! Mi allontanai di un passo annuendo, rassegnata.
Quando arrivammo alla moto, prima che mi infilassi il casco, Joe, ancora una volta, mi scombussolò.
Mi diede un bacio veloce sulla guancia, sorridendo. - Ora che siamo amici e che ho vinto, dovrai darmi il tuo numero. - Fece una smorfia sardonica e si incamminò per rientrare, mentre io cercavo di togliermi dalla faccia l'espressione "what the fuck?!"
Vaffanculo! ! Incasinami prima di incontrare tuo padre, così non capisco più un cazzo e faccio un colloquio schifoso, oltre che una figura di merda!
- Che lavoro di merda. - Sbuffai infilandomi il casco in modo grezzo.
Il motore rombò poco dopo e uscii dal parcheggio in direzione del nuovo "boss". Cazzo, che ansia!

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