VIOLET

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TRE ANNI PRIMA

«Sei una puttana!» Sento mio padre che grida queste parole dal primo piano.
Scendo le scale, mi fermo giusto per intravedere i miei; mi nascondo per ascoltare la
discussione, in silenzio per non farmi sentire.  
Mio padre tira uno schiaffo a mia madre, lei piange.
Non sono in grado di fare niente, ho paura.
«Non vali niente, sei solo capace a farti scopare» sbraita quell'uomo che ora definisco un mostro.
E mia madre resta impassibile così fragile e vulnerabile.
«Giuro su dio che ti ammazzo, in questo modo la tua esistenza miserabile giungerà a termine.»
Sono in un fiume di lacrime, corro su per le scale
entro nella mia stanza e piango a dirotto.
Non immaginando cosa sarebbe successo da lì a poco.

OGGI

All'epoca avevo tredici anni, sono stata presa e trascinata dentro una macchina senza spiegazioni.
Dopo quella sera tutto tacque, le urla strazianti di mia madre e le grida violente di mio padre.
Ricordo frammenti di allora, più nitidamente un ospedale psichiatrico dove mi hanno accolta e spiegato più semplicemente l'accaduto.
Mio padre aveva ucciso mia madre e dopo si era suicidato.
Ovviamente non mi è stato raccontato così ma una volta entrata all'orfanotrofio la mia storia aveva avuto così tanto scalpore che una ragazza più grande di me mi spiattello la verità con queste parole.
Tutti mi conoscevano come "la figlia dell'omicida" e di questa cosa ci ho sofferto.
Nessuno si avvicinava a me, nessuno voleva parlarmi , appena mi vedevano guardavano altrove;
avevano quasi paura di me.
Adesso che sono passati tre anni la storia non è cambiata.
Mi sono abituata a stare da sola con i miei pensieri e forse sto meglio così.
Non mi voglio fidare di nessuno come loro non si fidano di me.
Però c'è una cosa che faccio; scrivere incessantemente.
Scrivo le mie emozioni quasi scomparse.
Scrivo storie d'amore , forse tossiche.
Nelle mie brevi storie lascio incerto e aperto il finale perché credo nella speranza.
Vedo uno spiraglio di luce infondo al buio che mi acceca.

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«Il solito tesoro?» mi chiede Margaret; un'anziana signora che serve alla mensa dell'orfanotrofio.
Annuisco.
Da quando sono qui lei è l'unica a trattarmi come una persona con sentimenti, lei così buona con i suoi occhi color miele e le guance paffutelle.
«Ecco a te» allunga la mano per farmi una carezza, la sua mano così delicata, mi fa sentire meno sola e capita , io arrossisco.
Faccio per girarmi ma ancora sovrappensiero urto la mia spalla contro quella di un ragazzo; «Che cazzo, stai più attenta» mi dice
Non parlo, non replico sto nel mio silenzio...

[da decidere]Where stories live. Discover now