Capitolo 3. Ocean blue eyes, looking in mine

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Clara
La brezza notturna mi pungeva il viso, il vento gelido mi avvolgeva e portava con sé dei brividi che mi percorrevano tutto il corpo.
La luna splendeva, proiettando un debole fascio di luce che riusciva a raggiungere i miei occhi.
Il cielo era scuro e mi riportava alla mente solo una persona.
Ogni volta che chiudevo le palpebre la sua figura appariva.
Ogni mio pensiero veniva dirottato solo al ricordo delle sue mani confortanti a contatto con le mie braccia e i miei fianchi.
Delle scariche elettriche si diramarono in ogni centimetro della mia pelle al solo ricordo.
L'immagine del suo sorriso luminoso proprio come la luna mi provocò dei brividi.
Ricordai tutto di lui, ogni particolare.
Era il mio unico punto di riferimento tra la nube di ricordi sfocati che avevo.
Ricordai il modo in cui avevo squadrato ogni centimetro del suo corpo, dall'alto al basso.
I capelli biondo cenere che gli ricoprivano la cute, i suoi occhi color acquamarina messi in risalto da quelle sopracciglia scure e sottili, le labbra carnose e rosse, gli zigomi lievemente pronunciati, le gote arrossate, la linea della mandibola definita, il pomo d'Adamo che continua a salire e scendere, come se trasalisse in ogni secondo, il suo petto ampio e tonico, coperto da quella sottile camicia di lino che lasciava intravedere molto più di quanto nascondesse, le sue braccia che sembravano entrare a stento nelle maniche, il mondo in cui il tessuto aderiva esattamente sui bicipiti, le maniche arrotolate all'altezza dei gomiti che lasciavano scoperti gli avambracci della pelle ambrata, le vene in rilievo che percorrevano i polsi, le mani dalle dita lunghe e affusolate, gli anelli che portava su entrambe le mani che erano di una quantità talmente spropositata che mi era impossibile ricordarla, quei dannati pantaloni scuri che gli fasciavano le gambe, aderendo esattamente nei punti giusti, fino ad allargarsi nella parte inferiore.
Arrossii violentemente.
La schiena mi doleva a causa delle tegole del tetto che puntellavano la mia schiena.
E proprio lì, in quel momento di solitudine, mentre ero sdraiata supina sul tetto della casa dove risiedevo da ormai vent'anni, sentii improvvisamente una forte fitta di nostalgia all'altezza del petto.
Sentivo la mancanza di più persone e tutta quella malinconia mi trafiggeva sempre nei momenti peggiori.
Mio padre mi mancava come l'aria, mi sentivo vuota senza di lui, come se una parte di me, del mio cuore, già fragile, si fosse spezzata e fosse volata via con lui, lasciandomi una sensazione di vuoto straziante, che non si accingeva minimamente a diminuire.
Cercavo un tassello in grado di completare il mio cuore, volevo disperatamente porre fine a quella sofferenza, ma nessuno sembrava in grado di donarmi quel pezzo mancante.
Perché qualunque persona trovassi non mi sembrava abbastanza.
Non mi sembrava all'altezza di chi avevo perso tempo prima.
E avevo perso l'unico migliore amico che io abbia mai avuto. Poteva sembrare un pensiero infantile, come se fossi rimasta troppo ancorata al passato. Ma ognuno di noi è ancorato al suo passato. Gli eventi che abbiamo vissuto, le esperienze a cui abbiamo preso parte, il dolore che abbiamo dovuto affrontare, ogni lacrima versata e ogni sorriso accennato ci cambia, ci forma. Ci rende ciò che siamo.
E io non potevo dimenticare gli anni trascorsi con una persona che mi aveva radicalmente modificato l'esistenza. Quella persona che mi aveva insegnato come vivere, quella persona che era disposta ad ascoltarmi quando volevo parlare, quella persona che mi abbracciava e teneva le sue mani sulle mie orecchie quando i miei genitori litigavano, per non farmi sentire le loro urla, quella persona che mi ha sostenuto quando ho saputo della malattia di mio padre, che mi ha fatto sfogare e che mi ha accarezzato i capelli per tutta la durata del pianto che avevo fatto la sera in cui ero venuta a conoscenza del tempo che rimaneva a mio padre, quella persona che non si era curata se gli avevo imbrattato la felpa di lacrime e muco mentre piangevo e che quando dovetti trasferirmi accettò la mia decisione, quella persona che l'ultimo giorno in cui ci eravamo visti mi ha detto che non mi avrebbe mai dimenticata.
E inoltre sentivo la mancanza di una persona che avevo incontrato pochi giorni prima ma che non riusciva a non essere soggetto dei miei pensieri.
Presa da un sentimento irrefrenabile scesi dal tetto e tornai nella mia stanza.
Presi il mio portatile e aprii il primo motore di ricerca che trovai, per trovare qualcosa che riguardasse il mio migliore amico.
Cercai di elencare tutti i particolari che mi ricordavo di lui.
Nome: Drew
Residenza: North Carolina
Aspetto fisico: occhi azzurri, capelli biondi, lunghi fino alla nuca.
Avevo almeno un migliaio di altre informazioni su di lui, ma erano futili per la ricerca che stavo conducendo perché erano solamente dei piccoli particolari che non mi avrebbero portato a scovarlo così facilmente.
Mi ricordavo perfino della cicatrice che aveva sul polso destro, che si era fatto quando aveva sei anni, quando aveva cercato di arrampicarsi su un albero ed era caduto e il suo polso era ricaduto esattamente su una pietra che gli aveva squarciato la pelle.
Ricordavo ancora il modo in cui avevo pianto quando avevo visto tutto quel sangue uscire e come avevo urlato cercando di attirare l'attenzione dei nostri genitori e poi il modo in cui lo avevo preso in giro dicendo che solo lui era capace di cadere da un albero.
Non sapevo ancora che appena due anni dopo mi sarebbe successa la stessa e che in compenso io mi ero scheggiata un dente quando ero caduta rovinosamente al suolo.
A quel pensiero abbozzai un sorriso.
Quando cliccai sul motore di ricerca vidi che l'ultima ricerca che avevo compiuto riportava proprio il suo nome.
Io non ricordavo quale fosse il suo cognome e né tantomeno mia madre o mia sorella.
Negli anni precedenti avevo cercato in modo costante e impaziente qualunque informazione che potesse farmi comprendere come trovarlo, ma senza il suo cognome sembrava impossibile capire dove potesse essere.
A quanto pareva il nome Drew era estremamente popolare in North Carolina.
Avevo osservato per ore e ore foto di sconosciuti, sperando di trovare tra esse quel volto familiare che sarebbe sempre stato capace di farmi tornare il sorriso, anche dopo la peggiore delle giornate.
Le mie dita esitarono sopra la tastiera.
Alla fine mi decisi e cliccai i tasti con decisione.
Esaminai tutti i risultati corrispondenti a ciò che cercavo, senza però trovare alcun risultato pertinente a ciò che mi interessava.
Sentii le palpebre diventare pesanti e dopo una dura lotta con il mio impellente bisogno di dormire, mi abbandonai al sonno.

𝐍𝐄𝐖 𝐘𝐄𝐀𝐑'𝐒 𝐃𝐀𝐘 || Drew Starkey Where stories live. Discover now