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La Meneghini Officine Meccaniche di Precisione era completamente in subbuglio, perchè il tanto annunciato momento era arrivato: il gruppo olandese che si era interessato all’ingresso in società, aveva infine fatto la propria offerta e il vecchio Meneghini, allettato dalla valanga di soldi proposta per l’affare, aveva infine ceduto.

Meneghini era un commendatore vecchio stile, che aveva saputo attorniarsi di tecnici che sapevano fare il loro mestiere, ma aveva continuato a vedere l’azienda come una “grande famiglia” nonostante avesse commesse ormai in mezza Europa.

Il suo unico cruccio era però quel figlio, che proprio non riusciva a far appassionare al lavoro o, alla meno peggio, limitarlo nelle spese stupide che faceva nell’arco della sua settimana, e che puntualmente venivano gettate nel calderone delle note spese perché quel figlio, a libro paga, risultava essere assunto presso l’ufficio commerciale.

I suoi passatempi a libro paga della società erano molti e non particolarmente economici: discoteche, feste private, vacanze in barca a vela o cose del genere, che accompagnava sempre con ragazze splendide che quasi sempre pagava per non fare troppa fatica nel conquistarle. Bastavano una strisciata di carta di credito all’agenzia di modelle e un po’ di carte verdi direttamente alle tipe, e la questione era sistemata.

Gli olandesi mica erano scemi: la società di Meneghini era perfettamente funzionante, era un piccolo scrigno di efficienza che esportava componentistica di precisione di alta qualità, ma c’era un dipendente che andava assolutamente licenziato.

Il figlio del padrone.

Meneghini era riuscito a strappare una dilazione agli olandesi: un trimestre. Se non ci fosse stata una decisa inversione di tendenza, avrebbe personalmente licenziato il figlio.

Così lo aveva convocato nel suo ufficio, cercando di essere estremamente chiaro.

«Senti, l’azienda ora non è più solo mia, e se prima si poteva chiudere un occhio, adesso il tempo è finito. E sai meglio di me che in realtà il tempo è finito già da un po’, hai fatto spese idiote, spese che sono ingiustificabili a chiunque abbia una azienda, e che quelli lo hanno notato immediatamente, perché dài, chiunque lo vedrebbe! Guarda questo mese» continuò, sbattendo la nota spese sotto il naso del figlio, «Cene, feste, catering, affitti di vetture, agenzie di modelle, cazzo! Ma hai veramente bisogno di tutte queste puttane in un mese?! E poi terme, skirent… ma se hai un cazzo di armadio pieno di sci!».

«Eh papà ma chi se lo ricorda, stai sempre a fare le pulci sulle spese! A te non cambiano mille o duemila euro, sii onesto!».

«No, non hai capito, guarda qui, guarda cosa c’è scritto, questo numero qui nella tua nota spese mensile. Questo cazzo di numero a cinque cifre gli olandesi non lo digeriscono. Hanno detto che vogliono licenziarti, la prima cosa che faranno è licenziarti, ancora prima di fare il giro per l’azienda, lo capisci?».

Un momento di silenzio per raccogliere le idee, e si scagliò infine.

«La tua vita fatta di questa roba assurda da oggi è finita. La carta da oggi ha un massimale di mille euro mensili, i prelievi sono al massimo cinquecento euro, capito?!»

«Ma papà, non sono niente! Non ci posso fare niente con questi quattro spicci! Allora, che ne so, fammi un contratto di consulenza, fammi quelle cose per aggirare le assunzioni, dai!».

«Sì, perchè pensi che siano nati ieri, loro? Io non pretendevo molto nella vita, ma un figlio meno idiota me lo meritavo! E poi la gente mi chiede perchè ho fatto entrare in società gli olandesi…» sospirò toccandosi le tempie, «e adesso vai fuori dai coglioni che qui il resto della gente sta lavorando!»

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Che periodo di merda per Luca, lo si poteva ben dire. In pochi giorni l’arrivo dei nuovi soci olandesi e la fine brusca dello smercio di coca.

Sulla prima, non poteva certo dire nulla, era una cosa assolutamente indipendente da lui, qualcosa che comunque avrebbe cambiato modi operativi a un po’ tutte le persone che erano dentro all’azienda. Ma sulla seconda gli rodeva un sacco. Quella mocciosa, in fin dei conti solo per fare bella figura, aveva troppo allargato il giro fino a pestare i piedi a qualcuno di troppo grosso, che era inevitabile in un liceo pieno di gente ansiosa per l’outfit e la pettinatura, o preoccupata per i voti.

“Giorgia, che idiota” pensò Luca, “pende dalle mie labbra, si butterebbe nel fuoco se glielo dicessi, ma appena prende l’iniziativa combina solo dei casini. Sono andati in fumo un sacco di soldi che mi sarebbero serviti da qui in poi. Quanto mi rode”.

Ripensò a quando aveva chiamato Chiara e non era riuscita ad infilare cinque parole in quella che doveva essere una telefonata di cortesia, e poi come per rimediarvi, aveva provato a masturbarlo con risultati tutt’altro che eccitanti. O come quando lei e Maria Giulia avevano fatto tutto quel casino in macchina e per poco non si ammazzavano. Fino a quella cosa delle minacce se continuava a smerciare.

“Stupida bamboccia combina casini. E l’unica cosa che dovrebbe fare, non la fa” si disse tra sé e sé, aprendo il browser del computer e cercando su facebook Julia. Guardò di nuovo le foto che aveva postato. Ce n’era una serie agli Uffizi, probabilmente una gita: era in mezzo alle opere d’arte ma si vedeva che stava in posa perchè si piaceva, ed in effetti era una gran bella ragazza. E Luca in quel periodo di guai personali, si ritrovava spesso a pensare a lei.

Sempre più spesso la desiderava fisicamente, annullando qualsiasi altro pensiero.

E Giorgia, quella piccola idiota, non riusciva a proporle una cazzo di sera a ballare, un giro su una cazzo di costiera ligure o cose del genere. Gli salì una gran rabbia.

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La professoressa Tarducci continuava ad essere preoccupata per Chiara, l’ultima goccia che aveva praticamente fatto tracimare il vaso era stata la gita scolastica, a cui la ragazza non aveva aderito. La prof aveva provato, delicatamente, a sondare se la questione fosse economica. La scuola aveva una sorta di fondo di emergenza dove si poteva provare ad attingere qualcosa. Ma Chiara aveva semplicemente risposto che non era questione di denaro, che non avrebbe fatto la gita.

Fine del discorso.

A quel punto aveva chiamato la madre.

«Signora, scusi se la disturbo, non è mia abitudine chiamare direttamente i genitori degli studenti, ma ci occorre assolutamente parlare con voi di Chiara».

«Oh, si, certo, ok… ci sono problemi?».

«Il rendimento è calato notevolmente, e questo non afferisce solo alla mia materia, ma anche a diverse altre, come mi dicono i colleghi. E la questione della-».

«Aspetti, scusi, in che senso “calato notevolmente”? C’è stata una verifica dove è andata male?».

«No, veramente è una cosa che si trascina da un paio di mesi, per lo meno».

«Un paio di mesi? Ma… no, aspetti, c’è qualcosa che non ci quadra» replicò la madre, con un tono sempre più confuso.

«Forse Chiara non ha correttamente raccontato gli ultimi sviluppi scolastici. Ecco perchè forse sarebbe meglio vederci e magari capire bene la situazione, magari avete elementi che ci possono aiutare a capirla ed aiutarla anche durante le ore scolastiche».

«Oh, sì, certo, certo».

Inutile dire che la madre di Chiara sentì dentro di sé crollare una sorta di castello di carte.

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