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Il giovedì successivo, Diletta si accostò a Giorgia all’uscita.

«Ce li hai due minuti?».

Quest’ultima si irrigidì, guardandosi attorno come riflesso incondizionato.

«Non mi dare il tormento, per favore» disse, quasi con un filo di voce.

«Nessun tormento, ma ce li hai questi due minuti, o deve passare il fratellone con la macchina fresca di autolavaggio?».

Giorgia sospirò, Luca non le aveva fatto sapere nulla e quindi non sarebbe passato, la aspettavano i mezzi per il ritorno.

«Si, ce li ho» rispose, e Diletta se la portò verso un parco poco più avanti. Era piuttosto desolato, in fondo era solo febbraio. Tutte le panchine erano vuote e Giorgia immaginò che dovessero parlare, quindi si lasciò cadere sulla prima panchina disponibile, sperando che quella storia finisse presto.

«No, su quella no» disse Diletta seccamente, l’altra saltò giù pensando di aver distrattamente messo il sedere su una cacca di piccione, o uno sputo, o chissà cosa, ma quando vide tutto in ordine, si girò con sguardo interrogativo.

«Quella è dei Maghreb» replicò la chica del barrio, trascinandola oltre la rotondina con la fontana spenta. C’erano un paio di panchine verdi e ci si lasciò cadere sopra, Giorgia fece altrettanto, rimasero in silenzio un lungo attimo.

«Mi devi dire qualcosa?».

«Arrivano i tipi e poi parliamo» rispose Diletta, scrivendo velocemente sul cellulare.

Due minuti dopo, arrivarono tre ragazzi, zaino floscio su una spalla e sigarette in bocca. Da una cassa audio, probabilmente nascosta in uno dei tre zaini, usciva qualcosa che assomigliava vagamente alla Danza Kuduro.

Giorgia si accorse in fretta che erano i tre tizi dello spogliatoio.

«Diletta che mi volete fare?! Giuro che urlo che mi sentono fino in centro!».

«Serena, è tutto ok, sono venuti a scusarsi» poi posò gli occhi su uno dei tre, «Vero, Vic?».

«Non sono venuto per scusarmi, ma per dirti che eravamo molto incazzati per questa storia. E non sapevamo bene tutto, quindi niente. Pace» disse semplicemente Vic, allungando il pugno.

Giorgia glielo toccò a sua volta con il pugno, titubante, chiedendo «E perchè me lo dici?».

«Dile ci ha detto come sta la storia. Ma veramente non ti tenevi un cazzo di quello che smerciavi?».

«No, non tenevo nulla».

«Ma tu hai presente che in una settimana gli portavi mille euro al tuo fratellino?».

Giorgia in realtà, facendo un breve conto mentale, si rese conto che gliene portava quasi duemila.

«Senti, ti andrebbe di darci una mano? Ti lasciamo il dieci percento pulito» aggiunse Vic.

«Come? No, no. Non mi interessa, lo facevo giusto perchè avevo Luca alle spalle, e forse perchè non avevo ben capito i rischi».

«Non avrai rischi, tu sei più pulita di un tavolo operatorio. Come te lo faceva fare tuo fratello era rischioso, tutto sulle tue spalle, con noi zero».

«No, non posso, se lo viene a sapere Luca-».

«Luca, Luca, Luca! Gio ma che cazzo è ‘sta cosa di Luca?» sbottò Diletta, «Tuo fratello sta in villa e tu stai nelle case popolari. Lui gira in BMW vestito Armani e tu stavi per prendere i mezzi di merda per tornare da scuola. Lui sta ad ascoltare Poker Face fuori da scuola e te stavi dentro a smerciargli la roba senza tenerti un euro. Cazzo! Manca che si scopa le tue migliori amiche, che tanto l’ho visto come guardava in giro al tuo compleanno».

Giorgia a quell’ultima frase rivide Chiara sopra Luca. Fu un flash prepotente che la bloccò, e probabilmente le fece assumere un’espressione quasi scioccata.

«Oh Gio, tutto ok?» le chiese Diletta.

«Sì, sì, ma devo… devo andare».

«Gio, aspetta, è tutto a posto?» replicò l’altra, mettendole la mano sul braccio, «Ehi, non ti avrei portata qui se un minimo non ci tenessi a te. C’è stato un problema?».

Non si faceva sentire da una settimana, dopo essersi arrabbiato perchè Giorgia non aveva trovato modo di contattare Julia e proporle qualcosa a lei gradito. Julia la evitava, forse perchè aveva saputo la storia della coca, chi lo sa, ma era impossibile averci a che fare senza che lei non lasciasse cadere il discorso o se ne andasse con una scusa.

E Luca si era alterato, anche abbastanza, tanto da sparire in un prolungato mutismo.

Era stata veramente solo usata? Eppure, eppure prima di quella maledetta festa di compleanno, di carezze da Luca ne aveva ricevute tante, se le ricordava tutte, le riviveva spesso da sola, quando aveva voglia di fantasticare nella propria intimità. Sognava Luca, sì, che male c’era? Era così grave sognare il proprio fratellastro?

«Nessuno, non c’è stato nessun problema. Sono fatti di me e lui» si limitò a dire, liberandosi dalla mano di Diletta ed avviandosi verso l’uscita del parco.

****

Giorgia era nella sua camera. I pensieri le si stavano accavallando nella mente. Aveva ricevuto una comunicazione personale dalla responsabile della gita scolastica a Firenze: la famiglia doveva saldare tassativamente la quota entro il giorno dopo, se voleva partecipare. Altrimenti sarebbe stata automaticamente esclusa.

Erano giorni che voleva parlarne con Luca, voleva chiedergli una mano per la gita, perchè a casa non era un bel periodo e tirare fuori centoquaranta euro, più gli extra in loco, non erano nelle possibilità della madre di Giorgia.

Ma Luca era sparito, solo un paio di messaggi in cui rispondeva di essere fuori, in vacanza all’estero, nei paesi caldi, a scrollarsi di dosso il freddo del nord Italia. Giorgia non sapeva veramente come fare. Non poteva tradirlo, eppure non voleva rinunciare alla gita.

Continuava a rimbalzarle nella mente la domanda di Vic:

«Ma veramente non ti tenevi un cazzo di quello che smerciavi?».

“No, non tenevo nulla” mormorò rivedendosi dare quella risposta. Pensò al 10% di tutta la coca che aveva venduto in quei giorni: ci sarebbe scappata la gita, gli extra, e pure andare a ballare sabato sera a Firenze.

Pensò di essere in una situazione di merda, un vicolo cieco, che avrebbe comunque portato a qualcosa di triste.

All’ennesimo messaggio “Luca mi puoi telefonare?” che non aveva ricevuto risposta, Giorgia si decise, fece per mandare un messaggio a Diletta, ma poi cambiò idea e la chiamò.

«Ciao».

«Giorgia?» rispose lei, quasi dubbiosa di chi ci fosse all’altro lato.

«Sì. Senti, io potrei parlare con voi? Nel senso voi del giro di Vic».

«Sì, se vuoi domattina prima di entrare, o facciamo un ritardo».

«No, scusa, devo parlarvi adesso».

«Scusa Principessa, faccio mettere i cavalli alla carrozza e ti faccio passare a prendere. Vuoi il tappeto rosso?».

«È una cosa seria. Ti prego, non prendermi in giro»

Fatto sta che Diletta le diede appuntamento di lì a mezz’ora alla stazione della suburbana, a metà strada tra le loro case. Quando arrivò, c’erano Vic e Ezzy a sedere sul poggiaschiena di una panchina. Porsero i pugni e Giorgia ricambiò, dicendosi che forse si sarebbe dovuta abituare.

«Che ci devi dire? Mi hai strappato a un calcetto Ecuador-Venezuela, sappilo» esordì Vic.

«Posso darvi una mano a smerciare».

«Grande!» esultarono gli altri due.

«Ma vi devo chiedere una cosa: un anticipo».

«Mhm. Parti male, chica».

«Devo pagare la gita, e non ho soldi».

Vic e Ezzy si guardarono, e il primo fece un mezzo sospiro, ma si vedeva che forse avrebbe preferito farsi una risata.

«Quanto ti serve?».

«Duecento» replicò lei, guardando loro la punta delle scarpe.

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