Capitolo 1: Frankenstein

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Jace si alzò di colpo a causa del malessere per il troppo alcol della sera precedente. Quando fu veramente in piedi, si guardò intorno e notò che non era la sua stanza: era una stanza d'epoca. Vide che di fronte al "suo" letto c'era una scrivania con un calamaio, ormai vuoto; accanto un pennino sporco di inchiostro nero, alcuni fogli rotti e stropicciati, altri illeggibili con troppe cancellature e macchie di inchiostro. Incuriosito il ragazzo spostò la sedia, ormai rovinata, producendo un suono alquanto fastidioso, suono che aumentò, quando sedendosi, cominciò a cigolare. Jace prese una lettera contrassegnata dalla dicitura "I lettera", ed incominciò a leggerla, o almeno le parti ancora leggibili. La lettera diceva: "Alla Signora Saville, Inghilterra [...] Pietroburgo, 11 dicembre 17– –", si fermò di colpo dalla lettura ed esclamò: "Sono a Pietroburgo?! nel 1700? No, no, è solo uno scherzo, non è possibile, i viaggi nel tempo non esistono... a meno che... forse è meglio se continuo a leggere le lettere, magari riesco a capire dove mi trovo!". Riprese la lettera e continuò a leggere: "Sono arrivato qui ieri, e la prima preoccupazione è stata di rassicurarti, cara sorella, sul fatto che sto bene e che nutro una fiducia crescente verso quanto ho intrapreso. Sono più a nord di Londra, [...] sento una fredda brezza di settentrione che mi sfiora le guance, [...] i miei sogni ad occhi aperti [...] Cerco invano di convincermi che il polo è il regno del gelo e della desolazione. [...] Il tuo affezionato fratello, R. Walton". Finí di leggere e pensò: "Sono sicuro di averle già lette ma non so dove, meglio che continuo con le altre". Prese la "II lettera" e iniziò a leggere: "Alla Signora Saville, Inghilterra [...] Arcangelo, 28 marzo 17– –, Come passa lentamente qui il tempo, circondato come sono dal gelo e dalla neve! Tuttavia, ho fatto un secondo passo verso l'attuazione della mia impresa. [...] Ma ho un desiderio che finora non sono stato in grado di soddisfare, e la sua mancata realizzazione la sento attualmente come il male più crudele. [...] Io sono troppo impetuoso nell'azione e troppo impaziente di fronte alle difficoltà. Ma un male anche peggiore è l'essermi educato da solo: per i primi quattordici anni della mia vita non ho fatto che scorrazzare per i prati, senza leggere nulla, tranne i libri di viaggio dello zio Thomas. [...] Non riesco a descrivere le mie sensazioni nel vedere così vicina l'impresa. [...] Il tuo affezionato fratello, Robert Walton." Quando finì di leggere la seconda lettera, Jace non perse tempo e iniziò subito la lettura della "III lettera" perché stava iniziando a capire ma non voleva azzardare troppo. La "III lettera" iniziava così:" Alla Signora Saville, Inghilterra 7 luglio 17– –, mia cara sorella scrivo poche righe in fretta per dirti che sto bene e che il viaggio è a buon punto. Questa lettera raggiungerà l'Inghilterra per mezzo di un mercante che vi fa ritorno da Arcangelo. [...] Ho il morale alto, [...] Il cielo benedica la mia amata sorella! R.W.". Jace posò la lettera e disse: "Ho capito da che storia derivano queste lettere ma meglio finirle tutte e quattro". L'ultima lettera era la "IV lettera", era divisa in tre parti e la prima iniziava così: "Alla Signora Saville, Inghilterra, 5 Agosto 17– –, ci è capitato un incidente così strano che non posso fare a meno di registrarlo, anche se è molto probabile che tu mi riveda prima che queste carte arrivino in tuo possesso. Lunedì scorso (31 luglio) siamo stati quasi completamente circondati dal ghiaccio, [...] densissima nebbia. [...] 13 agosto 17– –, l'affetto per il mio ospite aumenta ogni giorno di più. Egli mi suscita insieme straordinariamente ammirazione e pietà. [...] é così delicato, eppure, tanto saggio, e molto colto; e quando parla, le sue parole fluiscono con una facilità. [...] 19 agosto 17– –, ieri lo straniero mi disse: "[...] voi cercate conoscenza e saggezza, come me una volta, e spero ardentemente che l'avverarsi dei vostri desideri non si trasformi in un serpente che vi morda, come è stato per me. [...] La narrazione il giorno seguente, quando fossi stato libero." Jace si alzò di scatto ed esclamò: "Sono dentro a Frankenstein, adesso come faccio? Devo capire che personaggio sono...". Si avvicinò alla scrivania, prese le lettere e le analizzò: erano sicuramente quelle di Robert Walton che nel libro di Mary Shelley servivano a raccontare la storia del dottor Frankenstein. Era forse diventato lui Walton? Cominciò a girovagare nella stanza che gli sembrava molto familiare. Ricordando le pagine di uno dei suoi libri preferiti, alla fine esclamò: "Cazzo, questa è la camera di Frankestein! Io allora sono il Dottore?". Alzò lo sguardo ed incontrò la sua immagine riflessa nel grande specchio sopra la cassettiera: "Sì, sono proprio lui! Se seguirò la trama del libro morirò e, se muoio qui, vuol dire che nella realtà... non ci torno... perché sarò morto anche lì... cosa faccio ora?". Si girò per tornare sul "suo" letto quando notò una piccola busta che non aveva notato prima, appoggiata proprio lì. Jace si avvicinò con timore, prese la busta e infine la aprì. Estrasse il biglietto e iniziò a leggerne il contenuto: "Jace, tu sei uno dei quattro prescelti, scopri la tua storia e completala". Appena terminò la lettura, la lettera si bruciò tra le sue mani. Sconvolto, ad alta voce cominciò a riordinare i pensieri: "Ho capito di che storia si tratta... Frankenstein... e ho capito anche il mio personaggio... sono il dottore, il creatore del mostro. Io dovrei morire, quindi! Però conosco il finale... posso cambiarlo come voglio perché sono io a interpretare il personaggio". La notte prese il sopravvento su un giorno pieno di sorprese. Jace tornò nel "suo" letto pensando a cosa fare, ma si addormentò sfinito dalle emozioni e dalla fatica. La mattina seguente, dopo essersi alzato, si precipitò alla scrivania, prese un foglio e il pennino che intinse con forza nel calamaio che stava alla sua destra e iniziò a scrivere. Aveva pensato che per capire come fare a uscire vivo da questa storia avrebbe dovuto riepilogarla così da sapere in che punto della trama si era inserito. Ad un tratto sentì bussare alla porta della sua stanza, cosa strana dato che da quello che ricordava, il Dottor Frankenstein non aveva un maggiordomo. Si girò verso la porta e chiese: "Chi è?". Nessuna risposta. Quindi prese coraggio, aprì la porta e trovò il corridoio completamente sottosopra. Jace si irrigidì sul posto e, molto spaventato, pensò: "Non è possibile... Mi trovo già a metà storia... il mostro è già stato creato... non è possibile!". Iniziò a correre per tutta la casa per cercare il laboratorio e per verificare la correttezza della sua ipotesi. Arrivato al piano terra, appena varcò la soglia del salotto, percepì una sensazione insolita: in quel momento "sentì" di essere il Dottor Frankenstein. La sua mente si era immersa nel personaggio e ciò che era accaduto apparteneva anche alla sua memoria. Quando riprese coscienza, come in preda ad una folgorazione, urlò: "Nel seminterrato! È lì che si trova il laboratorio del dottore, quindi lì troverò anche gli scarti dei cadaveri... così saprò come vivere". Uscì dal salotto e corse per arrivare al laboratorio. Appena entrò, si paralizzò di nuovo: la testa gli faceva male e tutta la stanza girava, troppi ricordi e troppe emozioni non sue, non poteva reggere. Prima di svenire, bisbigliò qualcosa di impercettibile. Il laboratorio era orribile: sporcizia, vetri rotti, pavimento umidiccio come se fosse stato bagnato da poco; ossa e parti umane in decomposizione erano dappertutto. Non c'era dubbio, era il laboratorio. Quando Jace si risvegliò, osservò quanto fosse malridotto il laboratorio: al centro notò un grande tavolo con cinghie ridotte a brandelli e cavi elettrici che pendevano dall'alto; tutto intorno c'erano oggetti per gli esperimenti, anche quelli distrutti. Jace si avvicinò e appena toccò una provetta contenente un liquido giallastro-verdognolo, la sua mente fu sopraffatta da un'altra sensazione: "Era una cupa notte di Novembre che vidi la fine del mio lavoro. Con un'ansia che arrivava quasi allo spasimo raccolsi intorno a me gli strumenti della vita per infondere una scintilla animatrice nella cosa immota che mi giaceva davanti. Era già l'una del mattino; la pioggia batteva sinistramente sui vetri, e la candela era quasi tutta consumata, quando, al bagliore della luce che andava estinguendosi, vidi gli occhi gialli-opachi della creatura aprirsi; respirò ansando e un moto convulso agitò le membra". Di nuovo in sé, allontanò d'istinto la mano dalla provetta percependone il calore intenso: era come se la stesse tenendo sul fuoco. "Il mostro è già stato creato, quindi ora devo trovarlo e ucciderlo prima che lo faccia lui con me!". Senza perdere tempo prese dei fogli che erano su un tavolo lì a fianco e ritornò nella "sua" stanza. Voleva uscire per cercare il mostro ma si rese conto che indossava ancora gli abiti del suo tempo. Aprì l'armadio e ne estrasse una camicia bianca, una lunga giacca grigio-scuro, di quelle con la doppia coda, un paio di pantaloni lunghi fino al ginocchio del medesimo colore; infine mise dei calzini bianchi e lunghi che terminavano proprio all'orlo dei pantaloni; infine indossò dei mocassini neri. Mentre usciva dalla stanza, passò davanti allo specchio e si fermò un attimo colpito dalla sua immagine: irriconoscibile! Certo quello non era il suo solito stile. Appena varcò la porta per uscire pensò:" Speriamo che nessuno capisca che io non sono il vero Dottor Frankenstein". Si incamminò e ad un tratto sentì alle sue spalle qualcuno chiamarlo. Si voltò e trovò Clerval, un grande amico di Frankenstein. Per la paura di essere smascherato Jace cercò di evitare il faccia a faccia, fece per andarsene quando la voce si fece più vicina: "Frankenstein, amico mio, da quanto tempo". Incerto se rispondere o no, prese coraggio e ricambiò il saluto: "Carissimo Clerval! Come stai? Hai passato tutto l'inverno ad aiutarmi al posto di studiare come ti eri ripromesso". Lui rispose: "Non ti preoccupare, mi ripagherai di tutto. Non voglio agitarti, non so se dovrei dirtelo o no, ma tuo padre e tua cugina sarebbero felici di ricevere una tua lettera". Jace decise che avrebbe scritto una lettera sia alla cugina che al padre. Clerval osservò la sua espressione infelice e provò a aggiungere qualcosa, ma Jace se ne andò. Aveva troppa paura, non poteva continuare così. Quindi, tornò nella "sua" casa, per sentirsi al sicuro: doveva uccidere il mostro prima che il mostro avesse il sopravvento su di lui. Si recò nel laboratorio per cercare se c'erano i progetti che il Dottore aveva seguito per creare il mostro. Appena entrò, restò pietrificato: davanti a lui c'era il vero mostro! Voleva scappare ma non sapeva come fare, aveva troppa paura che se si fosse mosso, il mostro lo avrebbe ucciso anche apparentemente lui era il suo creatore. Dopo qualche attimo di riflessione, finalmente prese coraggio e scappò il più lontano possibile ripromettendosi di non tornare mai più in quella casa.

Trascorsero ben tre settimane dall'incontro con il mostro e per tutto il tempo Jace di giorno in giorno impazziva sempre di più per la troppa paura. Non era più tornato nella casa, ma aveva cercato delle soluzioni provvisorie sempre circondato dal timore di essere trovato dal mostro e con il pensiero fisso di come affrontarlo. In un tardo pomeriggio di peregrinazioni, incontrò nuovamente Clerval che gli disse: "Mi dispiace ma tuo padre, tua cugina e Justine sono morti, si dice uccisi da un mostro creato con parti di corpi umani. Ma non so se credere a queste che mi sembrano fantasie legate alla paura". A Jace cadde il mondo addosso per quella notizia alquanto sconvolgente. Decise che ormai restava solo una cosa da fare cioè uccidere il mostro. Ormai era arrivato il momento, l'unico problema era che lui non era il suo vero inventore, quindi non sapeva come ucciderlo. Una cosa sola poteva fare, cioè ritornare nel laboratorio e trovare i progetti per vedere se c'era qualcosa di utile. Corse velocemente per tornare al più presto nel "suo" laboratorio. Quando arrivò a casa notò che era distrutta, poco era rimasto intatto dopo la visita del mostro. Scese le scale per arrivare al seminterrato e quando entrò anche lì trovò tutto devastato. "Il mostro deve aver distrutto tutto quando sono scappato via, tutti i fogli e anche i macchinari". Si avvicinò ai macchinari, ormai inservibili, e tra tutta quella sporcizia scorse una piccola busta, non più bianca, ma ancora integra, Jace esclamò: "Deve essere come la busta che ho trovato quando sono arrivato qui". La raccolse da terra e la lesse ad alta voce: "Caro Jace, se pensavi che sarebbe stato così semplice ti sbagliavi, la tua avventura è appena cominciata. Ah! Prima che me ne dimentichi guardati sempre le spalle". La busta bruciò e Jace rimase paralizzato da quelle parole, non riusciva a capire, lui conosceva la storia a memoria e sapeva com'era il finale. Raccolse tutti i pezzi dei progetti per ricostruire i fogli. Impiegò un po' di tempo, ma alla fine riuscì a ricostruire i fogli per intero. Su uno di questi c'era scritto: "Come uccidere il mostro". Jace felice scoprì che per uccidere il mostro doveva bruciarlo "vivo". Si armò allora di tutto quello di cui aveva bisogno e uscì di casa per andare a cercarlo.

Si diresse verso la foresta perché era il luogo in cui il mostro era stato avvistato l'ultima volta. La foresta era buia, spenta, incuteva paura. Sapere che lì c'era ancora il mostro, rendeva il tutto ancora più terrificante: anche una persona con il cuore freddo o senza emozioni ne sarebbe stata spaventata. Si sentì un rumore molto forte, come un grido... sovrumano. Jace si paralizzò e pensò: "Il mostro è qui, devo creare una trappola... non posso avvicinarmi e basta... ma se sbagliassi morirei... no, l'unica soluzione è creare una trappola perché se non lo uccido io, lui ucciderà me senza pietà e senza pensarci due volte". Camminò per un po', andando in direzione delle urla. Una volta arrivato, si nascose dietro ad un albero, spaventato per la scena che gli si presentò: il mostro era interamente ricoperto di sangue e circondato da corpi troncati a metà. Jace sentì il sangue gelarsi e non riusciva più a muoversi, non sapeva più cosa fare. Passarono un paio di minuti e Jace era sempre più spaventato, ma si ricordò il motivo per cui era lì; quindi prese coraggio e iniziò a dar fuoco a qualche ramo trovato per terra. Quando ne ebbe accesi abbastanza, li legò tra di loro e gridò per attirare il mostro: "Ehi... io sono qui! È me che vuoi! Vieni, ti ho portato un regalino". Jace lanciò il "bouquet" infuocato verso il mostro che iniziò a urlare per il dolore delle scottature, Jace si accorse che uno non era abbastanza, quindi decise di prepararne altri. Colpito più volte e ormai carbonizzato, il mostro cadde a terra senza vita. Jace ce l'aveva fatta, aveva ucciso il mostro. Fece per andarsene quando iniziò a sentire un dolore al petto, al cuore, qualcosa l'aveva trafitto, si tolse la maglia e abbassò il viso, aveva tanto sangue che usciva e un piccolo buco proprio all'altezza del cuore. Si accasciò a terra per il dolore e per lo spavento. Supino ed esanime, scorse una figura umana. Voleva dire qualcosa ma la persona misteriosa parlò prima di lui: "Avevo detto che non sarebbe stato semplice, ma si vede che non hai considerato le lettere che ti ho lasciato". La figura si zittì e scomparve in una nube nera come la pece. Jace rimase lì, sapeva che sarebbe morto, però voleva conoscere l'identità del suo misterioso assassino. Una curiosità che sarebbe rimasta tale. La luce del sole illuminò per l'ultima volta il volto, ormai pallido, del giovane Jace, ucciso da una persona sconosciuta. Nessuno lo troverà mai più e nessuno saprà che è stato lui a salvare tutti dal mostro che per tanto tempo aveva terrorizzato il mondo. 

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⏰ Ultimo aggiornamento: Apr 01, 2023 ⏰

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