Capitolo 4: Catene

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La mia di espressione invece, era di terrore puro.

Uscii dall'ufficio, tra me e la tenente regnava il silenzio assoluto. Decisi di parlare io.

"Ha visto tutto?"

Lei fece di sì con un cenno del capo. Ma nei suoi occhi non vedevo disgusto o rabbia. Quand'è che quella donna comparve nella mia vita? La trovai sempre incomprensibile.

"Perché non dice nulla?"

"Cosa vuoi che dica?"

Lei abbozzò un sorriso.

"Ottimo lavoro con l'ufficio, mi occupo io di svegliare il colonnello. Qui hai finito, buonanotte."

"Buonanotte tenente."

Dall'esterno del quartier generale, vedevo le luci dell'ufficio del colonnello ancora accese. Quella notte non chiusi occhio.

La mattina seguente, avevo ancora qualche piccola mansione che mi era stata assegnata per il turno diurno. Avevo contemplato l'idea di non andare a lavoro. Due occhiaie scure mi contornavano gli occhi e un mare di emozioni inondava il mio corpo. Nella mia testa i pensieri più disparati sul colonnello e la tenente.

Presi posto sul divano e mi accesi una sigaretta.

"Io e te? Che schifo. Cosa vai a pensare? Cosa concepisce la tua mente? Dovrei farti congedare solo per questo!"

Immaginavo la voce del colonnello rimproverarmi e poi mi passai una mano in fronte, esalando il fumo della sigaretta. Mi sentivo piccolo e patetico.

Ma in un senso era come se stessi finalmente ammettendo la verità anche a me stesso.

La verità era che io amavo il colonnello.

Già. Andava bene così. Finché sarei rimasto affianco a lui, non contavano gelosia, sofferenza, e umiliazione. Sapevo che la sua vicinanza e il suo affetto, anche se platonici, sarebbero bastati a rendermi felice. Perché lui era Roy Mustang. L'uomo per il quale dimenticai i volti dei miei vecchi madre e padre. L'uomo per il quale uccisi. L'uomo a cui dedicai la vita.

Le catene del nostro legame erano invisibili ma indistruttibili, e nessun fraintendimento le avrebbe spezzate.

Riacquistai persistenza e misi l'uniforme. Avrei convissuto anche col mio amore non corrisposto data l'evenienza. Ero disposto a scendere a qualsiasi compromesso per riavere il suo affetto indietro. Spensi la sigaretta e uscii di casa, incamminandomi attraverso la foschia di una fredda mattinata, tra gli alberi bagnati dalla rugiada gli uccelli iniziarono a cinguettare.

A un certo punto il quartier generale comparve all'orizzonte.

Camminavo a testa alta tra i miei colleghi, con lo sguardo cercavo involontariamente il colonnello o uno dei suoi subordinati, stando sull'attenti.

Vidi la tenente Hawkeye girando l'angolo, il mio volto si fece pallido.

"Tenente."

"Buongiorno caporale. Sei richiesto nell'ufficio del colonnello Mustang."

Mi sentii quasi come se persi un battito. Che la tenente avesse parlato? Notando il terrore annebbiarmi lo sguardo, Riza aggiunse:

"Tranquillo, non gli ho detto nulla." E mi superò. Una volta spalle contro spalle, mormorai sotto voce:

"Grazie."

La donna non rispose, e non vidi la sua espressione. In ogni caso, dovevo prepararmi a vedere il colonnello.

Con mio solito passo svelto, salii le scale per il suo ufficio.

Mi fermai davanti alla porta. Misi in ordine i capelli per quanto in mio potere, mi assicurai che la mia uniforme fosse ordinata e pulita. Tirai un forte sospiro ed aprii la porta.

"Colonnello."

Salutai. Il colonnello se ne stava comodo sulla sua sedia d'ufficio, con la testa sorretta da una mano ed entrambi i gomiti sulla scrivania. Mi squadrò da testa a piedi con i suoi occhi neri e pungenti come l'acciaio.

"Ciao Nero" Mi salutò in tono informale. Probabilmente perché eravamo i soli nella stanza.

"Hai già svolto i tuoi incarichi mattutini? Immagino di sì. Del resto hai la tendenza di portarti avanti col lavoro. Chissà che fai con tutto quel tempo libero." Il colonnello fece un ghigno malefico, probabilmente aveva intuito gli stessi nascondendo qualcosa. O semplicemente si divertiva a stuzzicarmi. Sadico di un colonnello.

"Che occhiaie. Spero tutte queste pratiche burocratiche non ti stiano portando via il sonno."

Sembrava nascondere un misto di genuina preoccupazione nella sua voce, quella di un padre che non sa cosa fa il figlio tutta la notte.

"Ho avuto qualche problema col letto della nuova casa, ma sono perfettamente vigile e in funzione."

Mantenni il mio tono professionale.

"Molto bene. Perché da oggi in avanti non ti metterò a riordinare scartoffie. Ti sto assegnando come scorta personale di Keith Gavin Armstrong. Dovrai assisterlo in ogni suo spostamento e prendere ordini direttamente da lui finché Scar non sarà neutralizzato."

Keith G. Armstrong... alchimista di stato e fratello minore del maggiore Armstrong.

Mentre Scar era un criminale apparso recentemente sulle nostre mappe, che prendeva di mira esclusivamente gli alchimisti di stato. La sua lista di omicidi era già bella lunga.

"Se dovessi vedere Scar... Hai il permesso di giustiziarlo sul posto."

"Ricevuto."

"L'alchimista di carta ti sta già aspettando fuori dal quartier generale. Conto su di te."

"Non la deluderò colonnello. Lo giuro sui miei occhi."

Ci scambiammo uno sguardo di intesa. Nella stessa stanza, padre e figlio, colonnello e caporale.

Mentre uscivo dall'ufficio, gli parlai di spalle.

"Comunque la trovo in ottima forma."

La porta si chiuse.

Il Caporale e il Colonnello di fuocoWhere stories live. Discover now