23. AMOS

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«Va tutto bene, amore. Tutto bene» mormoro sulla fronte bollente di Colin.

Due ore fa, in piena notte, l'ho sentito lamentarsi attraverso il baby monitor che tengo sul comodino. All'inizio ho pensato stesse sognando, ma ho pensato di venirlo a controllare e mi è bastato toccargli la fronte per capire che fosse febbre. E così eccomi qui, sul suo minuscolo letto, a controllarlo. La temperatura è a 37.8, non altissima ma nemmeno bassa. Forse ha preso freddo, ma Iris lo ha sempre coperto per bene e... ma certo, la serata in pizzeria. Gli ho detto di tenere chiusa la bocca e forse è bastato poco perché si ammalasse.

È già capitato in precedenza che gli venisse la febbre e, dopo la prima volta in cui ho chiamato mia madre, nel panico, informandola che avevo portato Colin in ospedale perché aveva la febbre, grazie all'aiuto dei medici, sono riuscito pian piano a convincermi a non portarlo in ospedale ogni singola volta.

Era così piccolo, aveva a malapena un anno e piangeva come se gli stessero facendo le cose più brutte di sempre. Il mio cuore era a pezzi, così come la mia mente. Volevo solo che si rimettesse.

È successo altre due volte, salendo a quota tre, questa è la quarta che la becca e spero l'ultima per molto tempo. È come se, una volta all'anno, decidesse di farmi prendere uno spavento enorme.

Per fortuna non ha mai avuto niente di grave, solo la solita febbre infantile, ma è il mio primo bambino, credo sia stato normale farsi prendere dalla paura.

Solo adesso, mentre stringo Colin tra le braccia, realizzo le cose che ho pensato durante il primo incontro con Iris.

Non c'è mai stato niente di diverso nelle nostre situazioni. Il panico è panico e io sono stato un perfetto idiota per essermi rivolto a lei in quel modo e non averla rassicurata.

Solo perché stavo male e Colin era un neonato non significa che io avessi il diritto di spaventarmi e lei no.

Ce l'ho almeno una scusa per quella giornata? Ero pieno di riunioni? Dovevo incontrare qualche investitore? Non me lo ricordo. So solo che non mi piace avere torto. E in quel frangente, lo avevo eccome.

Rilascio un sospiro profondo e sistemo la coperta attorno ai fianchi di Colin. Ha caldo.

«Iris» mormora, la voce rauca. «Voglio Iris.»

Gli accarezzo i capelli umidi. «Tesoro, sono le cinque del mattino, starà dormendo.»

«Iris» piagnucola, stringendo gli occhi.

Stringo il labbro inferiore tra i denti, indeciso sul da farsi. Non voglio chiamarla, si prenderebbe uno spavento e non è giusto. Allo stesso tempo, però, voglio che Colin riposi tranquillo, con la consapevolezza che lei è lì con lui.

È bastato un mese per far sì che il loro rapporto si solidificasse fino a questo punto. Colin la adora davvero, pende dalle sue labbra e le vuole un gran bene. Mi fa piacere sapere che lo stesso vale per Iris.

Iris... se non la chiamassi è probabile che si incazzerebbe parecchio, ne sono quasi certo. Quindi forse è meglio chiamarla. Le spiegherò subito che non è grave.

«Adesso la chiamo, tu riposati.» Gli lascio un bacio sulla fronte e mi metto seduto, recupero il cellulare dal comodino e mi sposto in bagno. Flounder sonnecchia vicino alla porta, il muso rivolto in direzione di Colin. Gli faccio una carezza, ringraziandolo per il bravo cagnone che è, e avvio la chiamata.

Uno, due, tre squilli.

«Pronto?» La voce arrochita di Iris mi arriva dritto all'orecchio. E se non fosse per Colin ammalato, so bene dove altro sarebbe arrivata. Ma questo non è il momento adatto per dar sfogo all'attrazione che provo nei suoi confronti.

«Iris, sono Amos. Ascolta, non voglio spaventarti perché non è nulla di grave, ma Colin ha la febbre e chiede di te» spiego, andando dritto al punto.

«Cosa?»

Non posso vederla, ma sono quasi certa che si sia messa a sedere di scatto. Un lamento mi arriva forte e chiaro e no, non da parte di Colin, ma dal cellulare.

«Ssh!» ribatte Iris. «Come sta? Quando l'ha presa? Perché non mi hai chiamata prima?!»

Metto da parte l'incomprensibile pizzicore che sento allo stomaco e ribatto: «Ti spiego tutto dopo. Vuoi che ti faccia venire a prendere dal mio autista?»

«No. Sto arrivando» proferisce, poi attacca.

Iris mi chiude la chiamata in faccia.

E con chi era? È palese che non fosse sola.

Fanculo. Colin sta male, non devo pensare ad altro che a lui.

Con questo pensiero, ritorno in camera e tocco di nuovo la fronte del mio bambino. «Ehi, amore, Iris sta arrivando. Adesso però dobbiamo misurare di nuovo la febbre e poi ti lascio dormire.»

«Va... bene» mormora.

Vorrei prendere il suo dolore, anche il più piccolo fastidio e farlo mio. Odio con tutto me stesso vederlo così piccolo e indifeso. Preferisco di gran lunga quando corre per casa, urla e mi fa vedere per la milionesima volta uno dei suoi cartoni animati preferiti.

Sistemo il termometro tra l'ascella e il braccio di Colin e attendo. Quando l'aggeggio suona, sospiro piano. Sempre 37.8.

Non so quanto tempo passi prima che la porta di casa venga aperta, ma deduco che sia Iris. Le ho dato una chiave dopo la seconda settimana di prova, per comodità.

Flounder scatta in direzione del corridoio e lascia la stanza per controllare di chi si tratta.

«Tutto a posto, bello, tutto a posto» sento la sua voce avvicinarsi.

Iris fa la sua comparsa l'istante successivo. Scarpe di ginnastica ai piedi, avvolta nel suo orrendo pigiama con iguane stampate ovunque, si precipita da noi. Voglio dire, da Colin.

«Ehi, ghiro» accarezza la mano di Colin. «Come sta?» adesso si rivolge a me.

«Sempre 37.8 di febbre. Stanco. Si è appena addormentato» rispondo, osservandola con attenzione. La preoccupazione le colora il viso privo di trucco. Da così vicino riesco persino a notare molte più lentiggini di quanto si noti di solito.

«Va a riposarti, fra poco devi andare al lavoro. Ti do io il cambio e ti aggiorno ogni ora, che dici?» mi guarda.

«Comunque, non riuscirei a dormire. Faccio una doccia e poi preparo la colazione» la informo.

Iris annuisce. «D'accordo. Una spremuta d'arancia sarebbe perfetta per Col.»

Sospiro e lascio l'ennesimo bacio sulla fronte del mio bellissimo bambino, poi mi alzo. «Sì. Convincilo a mangiare qualcosa e a bere, non voglio che si disidrati.»

«Certo.»

«Iris?» la richiamo prima di uscire dalla stanza.

«Sì?» Si sistema accanto a Colin.

«Grazie per essere corsa da lui, ti voleva accanto.»

«Non dirlo neppure» mormora, accarezzando la testa di Colin. «Se ha bisogno di me, ci sono. Glielo dico sempre. E questo... questo vale anche per te. A proposito di Colin, certo» specifica, dopo essersi schiarita la voce.

«A proposito di Colin» ripeto le sue stesse parole.

«E Amos? Passa qui con il miele prima di andare, devo medicarti la scottatura» dice prima di portare una mano davanti alla bocca e sbadigliare.

«Non c'è bisogno, ci penso io, non fa nemmeno più male» agito la mano come un perfetto idiota.

Sul serio? Ma che diamine mi prende?

«Oh. Be', meglio così.» annuisce. «A dopo, allora.»

Copio il suo gesto. «A dopo.»

Esco dalla camera e mi dirigo verso la mia, pronto a recuperare il completo della giornata. Ho intenzione di presentarmi prima in ufficio e uscire per le quindici, non oltre.

Colin sta male e voglio stargli accanto.

Come farebbe un buon padre.

𝐒𝐞𝐰𝐞𝐝 𝐇𝐞𝐚𝐫𝐭𝐬Where stories live. Discover now