34. Stessa stazione? - Pt. 2

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Andai, dopo, ad abbracciare la mia migliore amica. Cingendomi le spalle, sempre più forte, sussurrò minacciosa: «Hai visto quel coglione chi si è portato dietro?» Parlava del suo ex.

«Non l'ho vista. È carina?», sussurrai, ridacchiando.

Iole fece l'ultimo tiro e poi schiacciò il mozzicone sotto il tacco dello stivale, «Sì, caruccia, ma è più hippie di me, forse gli manco. Poverino.»

«Finiscila», le diedi una gomitata.

Iolanda mi sorrise con tenerezza, «Non viene?»

Sapeva lo stessi pensando. Dio, aveva sempre avuto ragione, mi si leggevano in faccia i pensieri. Feci la disinvolta, «Chi?»

«Isa», alzò le sopracciglia, «Il mio ragazzo ideale. Mi sono fatta carina solo per lui.» Scherzò.

Ammazzai una risata, guardandomi attorno, riscaldando le mani nelle tasche del cappotto, «Non lo so. Non ci sentiamo da giorni», mi torturai il labbro, nervosa, «E poi non so se preferisco che venga o se preferisco che non venga, sinceramente.»

«Come mai?»

«Perché se viene deve avere a che fare con i miei, con Leonardo, con me, con tutti e io... io non lo so se voglio», osservai la mia famiglia che scherzava, poi Leonardo che rideva per una battuta fatta da Paolo, e i suoi occhi captarono immediatamente quelli di Mirella, distolsi lo sguardo per repulsione, «Se non viene, sto più tranquilla, ma vorrei fosse qui.»

«Vorrei averli anch'io i problemi d'amore», piagnucolò. «Però, almeno ieri sera, il kebabbaro sotto casa mi ha detto che sono carina con i capelli corti.»

Scoppiai a ridere e lei dopo di me. Leonardo propose di cominciare ad entrare, nonostante mancassero altri suoi amici. Poi, a farmi sussultare fu la voce di Filomena che pronunciò il nome che non le sentivo dire da anni.

«Elia...?», disse piano, facendo voltare di scatto anche i suoi fratelli, «È Elia?», lo urlò.

Mi voltai a guardare nella medesima direzione in cui guardava lei, ed Elia camminava con le mani nelle tasche del jeans scuro, il mento basso e i ricci ordinati sulla fronte, il maglione a fasciargli il petto forte e la solita giacca di pelle a incorniciargli le spalle ampie.

«... Oh mio Dio!», gridò Filippo. E gli occhi di tutti, adesso, erano su di lui.

Mario, senza farselo ripetere due volte, cominciò a correre verso di lui. Valerio rise, «Elia!», gridò con le mani chiuse attorno alla bocca.

Solo allora Elia sollevò il volto, perso in qualche ragionamento e con una sigaretta inficcata tra le labbra. Quando si vide venire incontro il piccolo Mario, si accigliò e poi sorrise — sorrise —. Una folata di vento gli spostò un riccio e una scintilla gli illuminò le iridi verdissime, a contrasto con tutto quel nero.

Non mi ero resa conto di star sorridendo, non fin quando Iole si chinò sul mio orecchio e sussurrò: «Non per dì, ma io mi sono innamorata.»

La guardai male, «Smettila», scandii.

Abbracciò Mario, che gli si incollò al bacino, Elia si tolse la sigaretta da bocca e abbracciò sia Filomena, sia Filippo e poi Valerio, poco più basso di lui. Li sentii chiacchierare animatamente e con allegria.

Purtroppo a distrarmi da quella scena fu mia madre, che mi venne vicino e, in un mormorio disse: «Cos'è questa storia? Che ci fa lui qua? Da quand'è che—»

«Mamma, siamo amici.» La bloccai, «Non preoccuparti, l'ha invitato Leo.»

Non appena dissi ciò, mamma si rassarenò. Annuì e andò a dirlo a mio padre che lo fissava senza sbattere le ciglia, con un'espressione così seria da mettermi paura.

Alla ricerca dell'albaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora