27. Il marinaio e la sua bussola

Start from the beginning
                                    

«Fai sul serio?», sbottai, seguendolo sul pontile. «Perché non me l'hai mai detto?»

«Perché non ero sicuro che funzionasse fino a pochi giorni fa. Franco, il padre di Fra, te lo ricordi? C'ha dato un'occhiata ai motori e sta messa bene.» Mi spiegò, arrivando dinanzi ad una barca luccicante.

Risi, mentre lui calò la scaletta per salirci sopra. Osservai il fianco della barca, sul quale vi era stampato un nome di color bluastro.

Libera.

«Che significa?» La indicai, per poi voltarmi a guardare Elia, già sulla barca a pochi metri da me.

Si sporse per vedere cosa stessi puntando. «È il nome della barca.»

Annuii, stranita e sorpresa. Mi allungò la mano per aiutarmi a salire a bordo, atterrai con i talloni sulla superficie e mi guardai attorno.

Era ampia e amena, il Castello Aragonese si vedeva benissimo da lì e il cielo era poco distante dagli occhi. Elia armeggiò con il timone nella cabina, dicendomi che mi avrebbe portata "da una bella parte".

Osservavo la schiuma del mare scontrarsi con il fondo della barca fino a morire e rinascere progressivamente, il vento nei capelli e il Sole a scottarmi la pelle.

«Isa!», mi richiamò nel rumore dei motori, sembrava lontanissimo, in un altro mondo.

Spostai alcune ciocche dal volto per riuscir a guardarlo, i ricci gli coprivano mezza fronte e il petto lucido era spaccato in due dalla luce bianca che fletteva dallo specchio della cabina. «Che c'è?»

«Vieni qua», e, senza farmelo ripetere, lo raggiunsi. Una mano abbandonò il timone per afferrarmi il polso e portarmi tra esso e il suo petto. «Ti insegno.»

«Come?», sgranai gli occhi, «Non credo sia una buona idea.»

Elia intrecciò le sue dita alle mie, stringendomele sul timone. Accostò la sua guancia contro il mio capo, poco più vicino all'orecchio: «Segui il vento, è semplice.»

Eseguii ciò che mi suggerì. Vedere tutto quell'azzurro, quello spazio, quella libertà mi fece sentire leggera, fuori dalla mia stessa pelle che volavo controvento, controcorrente.

Elia mi fece capire che la libertà posso rubarla a chiunque, posso prendermela da sola, guidandomi verso la mia libertà.

Con un lavoro di squadra, Elia calò l'ancora in mare a qualche metro dallo scoglio del Castello Aragonese.

«Io, però, non ce l'ho il costume.»

«Manco io, e quindi?» Fece spallucce, abbassando la scaletta, «Non c'avrai ancora vergogna di sta' in mutande davanti a me?» Lo domandò ridendo.

«Vuoi che mi faccia il bagno in intimo?» Chiesi, appoggiata alla ringhiera che dava sul mare calmo e cristallino.

Elia, che era già mezzo immerso, sollevò il mento per ricambiare il mio sguardo oltre le sopracciglia, «Non ci stanno problemi se vuoi fartelo nuda.»

Mi spogliai e mi gettai in mare in intimo.

Isolati dal mondo, rintagliati in uno spicchio vuoto di mare, profondo e sconosciuto, l'uno come riferimento dell'altro. Mani a sfiorarsi, caviglie a tozzarsi e risate a mischiarsi fino a soffocarci in baci scoordinati e umidi.

Giocare a rincorrerci tra le onde, a solleticarci la pelle, a incollarci in abbracci e a morderci con tenerezza, a guardarci come se non esistessimo in nessuna versione di alcun mondo.

I nostri corpi sott'acqua si intrecciarono: le mie gambe attorno ai suoi fianchi e le sue braccia attorno al mio bacino. Tolsi i capelli dal suo viso, sorridendogli, «Mi piace qui.»

Alla ricerca dell'albaWhere stories live. Discover now