25. Cicatrici di ricordi

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Fissai la tazza di latte, «Chi lo portò in ospedale quel giorno?»

Probabilmente quella domanda la turbò e non poco, ma non si fece indietro. «Si era chiuso in bagno, quando Simona ritornò da lavoro trovò la piccola Ilaria a piangere con Flavio che provava a calmarla. Giovanni era in camera da letto, come al solito, e non se ne fregava minimamente. Simona bussò più volte alla porta del bagno, ma Elia non rispondeva», si schiarì la voce, le afferrai la mano e lei la strinse di conseguenza, «Non sapendo cosa fare, la prima cosa che fece fu chiamare qua, a casa nostra. Ci disse che Elia era in bagno e non rispondeva. Mio marito sapeva più di me e fu il primo a scattare, mi urlò di correre e in cinque minuti raggiungemmo casa loro nonostante Gioele e Giovanni non fossero in buoni rapporti. Gioele riuscì a sfondare la porta. Io non entrai in bagno, fortunatamente, se fossi entrata, ad oggi, non sarei qui e non sarei così lucida. Vidi solo mio marito con Elia in braccio, due pezze macchiate sui polsi e la pelle bianchissima. Furono dei mesi d'inferno, Gioele piangeva quasi ogni giorno e pregava con me, era raro che lo facesse. Quando si svegliò sembrò svegliarsi tutto il mondo, tutto riprese colore, Elia sembrava guarire in fretta e sorrideva più spesso, ma arrivò un'altra disgrazia: il tumore al cervello di Gioele. Ricordo ancora quello che mi disse Elia il giorno che lo scoprì da solo, tra le mie braccia: "Non ci credo che Dio abbia bisogno di lui più di quanto ne abbia bisogno io."»

Dieci minuti dopo, con i pensieri in subbuglio, mi chiusi alle spalle la porta della camera in cui Elia si era nascosto.

Era una cameretta piccola: dei poster di band appiccicati al muro, una finestra aperta da cui entrava un venticello fresco, il letto in un angolo, vicino ad una scrivania ordinata, su cui Elia sembrava dormire pacificamente.

Mina era rannicchiata sotto il braccio di Elia, le sue fusa alleggerivano l'aria e rendevano quel quadretto più tenero di quanto in realtà era.

Feci cadere le scarpe sul pavimento e gattonai sul letto, sistemandomi su un lato. Mina si spostò, lasciando vuoto lo spazio fra me e lui. Elia aveva la guancia poggiata sul cuscino e il braccio piegato sotto di esso, respirava lentamente ed un riccio gli copriva il livido violaceo sullo zigomo.

Allungai la mano per accarezzargli la guancia in punta di dita, impaurita di svegliarlo lo feci con una flemmaticità mai usata prima.

Non appena i miei polpastrelli gli sfiorarono la tempia, Elia sospirò, strizzando gli occhi e aprendoli piano. Vidi l'ombra verde e lucente delle sue iridi e mi sentii improvvisamente più leggera.

Quando capì fossi io li richiuse, rilassandosi maggiormente e affondando tutto il viso nel cuscino e sospirando. Passai la mano sulla sua schiena, percepivo i suoi nervi distendersi al suo passaggio.

«Non sei costretta a rimanere. Saranno preoccupati i tuoi.» Cambiò posizione, reclinando il braccio dietro la nuca.

Lo osservai in silenzio. Senza parlare strisciai più vicina a lui, mi acciambellai sul suo petto, abbracciandolo con sensibilità, la mia guancia al livello del suo cuore e le ginocchia sulle sue gambe.

«Possono aspettare», aggiunsi solamente.

Qualche minuto dopo sentii il braccio di Elia correre sulla mia schiena e la sua mano infilarsi sotto la maglietta e raggiungere la mia pelle calda.

Se avessi pensato, qualche settimana prima, a me e ad Elia in quella maniera mi sarei presa a schiaffi. Mi sembrava impossibile che potesse nascere qualcosa proprio con me.

Non appena lo conobbi avevo pensato che lui fosse lui, fin troppo lontano da me, dalla Isabella che tutti conoscevano e che temeva di alzare leggermente la voce. Ma, in quel momento, tra le sue braccia, dopo aver pianto disperatamente insieme e dopo esserci asciugati le lacrime a vicenda, dopo esserci scoperti nel profondo, scambiandoci pelle e ossa, mi sembrava impossibile anche solo non pensarmi accanto a lui.

Alla ricerca dell'albaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora