20. Mistica, come le sirene

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Quella mattina della seconda metà di luglio il tempo presagiva una tempesta imminente. L'aria era fredda, il cielo ricoperto di nuvoloni grigi, il vento percuoteva gli alberi.

Avevo appena finito la colazione quando mi arrivò una chiamata da parte di Elia. Infilai i piatti nel lavandino, con l'altra mano risposi con un sospiro: «Buongiorno, stamattina ti sei svegliato presto.» Ridacchiai.

«Quanto ci metti a infilarti la prima cosa che ti trovi tra le mani e uscire di casa?»

«Che?», borbottai, passando accanto a mio padre e risalendo le scale della Villa. «Sei impazzito?»

«Perché?» Rispose con strafottenza.

«Elia, sta per venire giù il diluvio universale. Non possiamo uscire di casa.»

Lo sentii sbuffare, «Devo farti vedere una cosa, per forza, oggi è perfetto.»

«Sì, perfetto per una broncopolmonite...», chiusi la porta di camera mia e mi gettai sul letto, «Elia, veramente, è pericoloso.» Ed io non posso ammalarmi.

«Credi che io non lo sappia?», controbatté, «Corri il rischio, Isa. Corriamo il rischio, tanto se ci stai tu ci sto pur io.»

«È questo che ci frega», respirai piano, portandomi l'unghia del pollice tra le labbra e gli occhi puntati sul cielo uggioso. «Tu sei pericoloso perché lo sai perfettamente che non so dirti di no, che verrei con te da qualsiasi parte, e ci casco ogni volta.»

Ci cascherò per sempre.

Mi hai in pugno.

«Bingo.» Lo sentii dire, sillabando.

Chiusi gli occhi. I pensieri intrusivi e irrazionali ebbero la meglio. Mi sollevai dal letto con un salto e aprii l'armadio: «Dammi dieci minuti.»

«Facciamo otto. Ti aspetto giù.»

Roteai gli occhi. Faceva sempre così: la sua sicurezza smisurata e consapevolezza di sé mi metteva in crisi.

Indossai la prima gonna colorata che avevo, la prima camicetta di seta bianca che avevo davanti e i primi sandali alla schiava. Pettinai i capelli, lavai denti e faccia e corsi giù scrivendo su un foglietto: "Sono con Elia. So che avevo promesso di non uscire, ma mi ha convinta. Scusatemi, non mi metto nei guai. Vi voglio bene."

Uscii di casa e velocizzai il passo una volta vicina al cancello. Elia appena mi vide buttò il mozzicone per terra, lo schiacciò e mi passò il casco.

Lo allacciai sotto al mento, «Spero per te sia una buona idea.»

Elia mi sorrise e girò la chiave nel quadretto, «Tu fidati di me. Ti fidi di me?» Mi invitò a salire in sella.

Poggiai una mano sulla sua spalla, «Forse fin troppo, e questo non va a mio vantaggio.» Mi aggrappai al suo petto e sospirai col mento nuovamente sopra la spalla.

Rise in silenzio, fece inversione e partì velocemente segnando il terriccio con le impronte delle ruote.

Il profumo di Elia si confondeva con l'odore salmastro, spinoso e vischioso della tempesta che si stava per imbattere sull'isola. Le strade erano vuote e quelle macchine che passavano avevano i fari accesi per la scarsa visibilità a causa della foschia.

Cominciò a piovere.

La pioggia era calda, appiccicosa sulle mie cosce piene di brividi così come sulle spalle. Elia accelerò rendendosi conto che era meglio ripararsi. Un tuono mi fece stringere più forte a lui.

Svoltò in una stradina marittima, a contatto con la spiaggia. Parcheggiò malamente vicino un muretto, mise il cavalletto ed estrasse le chiavi. Io tolsi il casco e lui fece lo stesso. Mi prese per mano e mi intimò di seguirlo.

Alla ricerca dell'albaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora