Ash - che ci fa lei qui

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Quando la vidi mi prese un colpo.

Non ero sicuro fosse proprio lei e avevo accelerato il passo per assicurarmi di non aver preso un abbaglio.
Ma Mary era proprio dall'altro lato della strada, camminava arrabbiata, ricurva su sé stessa per proteggersi dal vento e dal freddo e sembrava non avere la minima idea di dove stesse andando.
Si stava allontanando dal centro e questo non era troppo raccomandabile, sebbene le sue strade non fossero come le mie.
E poi, non aveva una giacca e di sicuro stava congelando.

Mi ero bloccato per un istante prima di chiamarla incerto se fosse la cosa giusta. Avrei dovuto spiegarle cosa ci facevo in quel quartiere, con una macchina che non era la mia e non mi sembrava una cosa troppo saggia da fare.



Quella sera Pelo, il mio migliore amico, aveva suonato al mio campanello.
"Amico mio.." Aveva detto urlando e abbracciandomi come faceva di solito.
Eravamo amici da sempre. Avevamo condiviso la stessa merda con la differenza che lui era un immigrato messicano e quindi era doppiamente discriminato confronto a me.
Insieme, avevamo lottato per stare a galla.
Io c'ero stato per lui quando lo avevano ricoverato in ospedale con la testa aperta in due e lui c'era per me quando ero appena uscito di galera dopo aver picchiato mio padre.
C'ero quando sua madre era morta e lui c'era tutte le volte in cui io avevo pensato che forse la mia sarebbe stata più libera morendo.
"Abbiamo un grosso affare in un quartiere alto e tu, sei l'unico al quale voglio affidarlo."

Odiavo quando Pelo decideva che quel determinato affare era cosa buona per me. Sapevo che significava soldi facili ma anche pesi sulla coscienza.

"Devi solo consegnare un pacco. Sigillato. Non saprai mai cosa contiene. Ti do la mia macchina e bum! Te ne vai a fare un giro e ti becchi duecento dollari. Amico, hai sentito bene?"
Urlò alzandosi in piedi per l'enfasi. Lui era esattamente così, sempre.

"Perché non ci vai tu?" Chiesi in tono scherzoso.
"Zitto bianco razzista che non sei altro. Siete degli egoisti cazzo! Ti propongo soldi facili senza fare nulla e ancora hai da lamentarti!"
Si avvicinò al mio frigorifero prendendosi una birra e scontrandola con la mia per brindare mi chiese mostrandomi i suoi denti bianchi e il suo canino scheggiato "Ci stai?"
E così ero finito in mezzo a tante case bianche con il giardino pulito e pieno di fiori. Avevo suonato il campanello e consegnato il pacchetto ad un ricco uomo di famiglia. Un medico forse? Un avvocato? Mi ero chiesto mentre questo guardava a destra e sinistra consegnandomi i soldi furtivo.
"Papà!" Aveva chiamato un bimbo attaccandosi ai suoi piedi arrivando all'improvviso dal corridoio.
L'uomo era sbiancato stringendosi forte il pacco contro il petto e guardandomi implorante.
"Mi scusi ho sbagliato indirizzo.." Avevo esclamato voltandomi e fuggendo via per non far capire a quell'anima innocente che il padre non era il super eroe che credeva.
Stavo per tornarmene a casa quando mi ero imbattuto in lei.

E ora era lì, davanti a me. Tremava dal freddo e mi sembrava piuttosto scossa da qualcosa.
"Dove devi andare? Ti accompagno." Mi offrii pentendomene subito dopo. Mi sarei preso a calci più tardi.
Sorrise.
"Sto andando da Lizzy." Rispose guardandosi i piedi intimidita.
Non sembrava troppo convinta di quell'affermazione. Non che fosse affar mio dove stesse andando, comunque.
La osservai meglio. Si era forse drogata?
Non sembrava essere così ma ci si poteva aspettare di tutto da questa gente.
Iniziai a camminare verso la macchina senza aggiungere altro e lei mi seguì sorridendo. Era molto bella.
Avevo posteggiato un poco più lontano così la polizia non avrebbe notato quel catorcio vicino a dove stavo facendo la consegna.
Le indicai la macchina con un dito e la guardai intimidito da una sua possibile reazione.
Questa girava in limousine e ora su quattro pezzi di ferraglia puzzolenti.
Mi domandai mentalmente se c'erano macchie dalla sua parte del sedile ma se non ricordavo male, doveva essere a posto.
Salì sulla macchina senza fare commenti per lo stato del mio mezzo e si strinse le braccia al corpo per scaldarsi.
"Non funziona il riscaldamento." L'avvisai. Lei mi guardò incerta.
"Se funzionasse lo accenderei. Vedo che hai freddo. Ma non va." Continuai io imbarazzato. Era stata una pessima idea chiederle se voleva essere accompagnata. Ora poteva vedere con i suoi occhi quanto me la passassi male e mi auguravo seriamente che non avrebbe spifferato tutto quanto ai suoi amici. Non volevo essere deriso ulteriormente.
"Oh. Grazie. Non fa nulla, avrei dovuto prendere la giacca. Colpa mia."

Mi ritrovai a sorriderle per un secondo prima di tornare in me e cercare di mettere in moto la macchina.
Una volta. Due. tre. Poi partì.
"Scusa. Non è nemmeno mia."
Mi morsi il labbro. Per qualche diavolo di motivo le avevo spifferato un dettaglio del genere.
Mary sorrise.
"Hai un telefono?"
La guardai sconvolto.
Era uscita pure senza telefono. Mi morsi un labbro evitando di commentare le sue stupide gesta.

Le indicai il cruscotto innervosito dal fatto che avevo poco credito e le stavo permettendo di usarlo a lei ma d'altronde, ormai la stronzata di chiederle se volesse aiuto l'avevo fatta.
Ascoltai la sua conversazione con Lizzy che mi confermò che non avesse idea di andare lì.
Era un continuo "dopo ti spiego." e così non avevo avuto grandi dettagli.
"Grazie." Disse rimettendolo nel cruscotto.

Guardò fuori dal finestrino per qualche minuto prima di riprendere a parlare.
"Come ti trovi a scuola?"
Mi voltai ad osservarla e non risposi.
"Già. Deve essere strano."
Si morse il labbro quando la fulminai con gli occhi.
"Nel senso, nemmeno io mi sento sempre a mio agio e con questa gente ci ho a che fare da una vita."
Mi rilassai un poco.

"Non so dove devo andare."
Le feci notare allora io facendola scoppiare a ridere.
"Che stupida. Dovresti tornare indietro e riprendere verso la città."
Mi morsi il labbro. Avrei consumata almeno una tacca di benzina per fare quel tragitto, sempre se il traffico della città non mi bloccasse per delle ore al suo interno. Perché non l'avevo lasciata congelare da sola?
"Puoi lasciarmi alla prima metro, così non resti bloccato nel traffico."
Feci un cenno d'assenso. Forse la mia espressione aveva tradito le mie emozioni di fastidio. Non ero bravo a nasconderlo.
"Non sei di molte parole."
Sbuffai.
"Mi piace tenermi per me gli affari miei."
Mary sorrise nuovamente a quell'affermazione. I miei occhi caddero sulle sue lunghe gambe e dovetti spostare velocemente l'attenzione sulla strada.
Mi rendeva nervoso. Io odiavo essere nervoso e sentirmi in soggezione.
Lei mi creava esattamente questo effetto.
"Anche a me piace essere riservata comunque."
Non si direbbe.

Cominciò a giocherellare con l'anello che portava al dito. Per lo meno, non ero l'unico che si sentiva in soggezione.
"Che ti è successo questa sera?"
Le chiesi allora non riuscendo più a trattenere la mia curiosità. Tanto, alla peggio mi avrebbe mandato a fare in culo.
Il suo viso si rattristò all'istante.
"Discussioni in famiglia."
Vedessi le nostre di discussioni. Ti hanno proibito di andare in vacanza alle isole Fiji questo inverno?

Forse non si meritava tutti quei pregiudizi e la mia cattiveria ma d'altronde, la rabbia è un emozione forte che ti ribolle nella pancia ed è difficile riversarla sul tuo vero bersaglio. Forse il mio vero bersaglio ero semplicemente io ma faticavo troppo per ammetterlo.
"Puoi lasciarmi scendere qui!"
Tuonò all'improvviso facendomi sussultare. Frenai un po' troppo bruscamente e la feci ridere di nuovo.
"Scusa."
Mi sentivo impacciato e stupido. Come se avessi dodici anni per Dio.
"Grazie Ash."
Si voltò a guardarmi e il suo sguardo mi colpì come un ceffone.
Quello sguardo.
Non lo sapevo che era solo l'inizio.

Che forma hanno le nuvoleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora