CAPITOLO 18 - 18.3 Luce d'ombra

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Letti i numeri della via sul cartello dell'incrocio, svoltò nei pressi di una cabina telefonica; e più si approssimava all'arrivo, più si sentiva mancare le forze. Com'è possibile che con tutto quello che ho passato mi debba scontrare di nuovo con questo senso di impotenza? Dove ho lasciato il coraggio e la determinazione che ho racimolato in questi anni?

Provò a scacciare quei fastidiosi pensieri con altri: fantasticò, ad esempio, che sua madre potesse aver ritrovato la felicità grazie al suo vecchio impiego. O al contrario, che le stesse costando molto trascorrere le giornate circondata da faccine sorridenti. Ricordava bene quando la forza per andare avanti l'aveva chiusa in un cassetto con le fotografie di Yami, ma ora...

L'asilo di fronte cui si fermò era un edificio basso e colorato: dalla ringhiera si intravedevano un grande giardino e diversi bambini correre felici. Suonò al citofono e pochi istanti dopo una figura si affacciò in lontananza, invitandolo a chiudere per bene il cancello e aspettandolo all'ingresso.

"Buongiorno, posso esserle utile?", domandò una signora di mezza età dalle maniere calorose.

"Buongiorno, mi scusi per il disturbo. Mi chiamo Kikuchi e sono un giornalista. Vorrei parlare con la signora Sasaki Yua, se fosse possibile. Ho saputo che lavora qui."

L'altra cambiò atteggiamento e lo guardò sospettosa.

"Mi dispiace, non è possibile. In ogni caso per parlare con un qualsiasi insegnante si deve prima interpellare la Preside."

"E potrei farlo in questo momento? Sa, sono venuto da lontano e..."

"Serve un appuntamento, è molto impegnata", balbettò la donna gesticolando nervosa.

Kujo fece un paio di passi avanti, abbassando il capo affranto.

"Non sapevo di questa prassi. Forse mio padre sì. Vede, è mancato da poco e si stava occupando di un'inchiesta importante", spiegò, estraendo l'articolo riletto fuori dalla stazione. "Mi ci è voluto del tempo per rimettere insieme i pezzi, teneva molto al suo lavoro e mi sono detto che sarebbe stato un peccato lasciarlo incompiuto. Se potesse aiutarmi gliene sarei davvero grato."

Forse colpita da quella inaspettata confessione la segretaria fece un sospiro.

"Mi aspetti qui."

Nell'attesa, Kujo si girò verso il giardino: alla sua sinistra una schiera di bambini stava ammirando una maestra che muoveva in modo buffo un coniglietto rosa. Non era una brava ventriloqua, ma tutti erano ammaliati dallo spettacolo e una di loro le saltò al collo ridendo felice. In quel momento, forse sentendosi osservata, gli occhi della donna incrociarono i suoi, perso a immaginare quanto sarebbe stato bello se quella maestra fosse stata sua madre.

Lei gli sorrise e quel piccolo gesto, non seppe perché, lo riscaldò.

La segretaria tornò, distraendolo dall'incanto.

"Signor Kikuchi, prego."

◾◾◾

"Ricapitolando: lei ha deciso di provare a concludere il lavoro di suo padre, perciò è venuto qui per parlare di persona con la signora Sasaki. Tutto questo le fa onore, non c'è dubbio, però non possiamo aiutarla. Si è licenziata il mese scorso. Ammetto di non averla conosciuta bene, ma era una donna strana. Non credo che tornare a lavorare con i bambini, quando non si è in grado di badare per prima cosa a se stessi, sia stata una mossa furba, non pensa?"

La preside, un'insipida donna dall'aria spocchiosa, porse quella domanda con alterigia mentre si aggiustava gli occhiali sul naso.

Kujo non rispose, aggrottò appena la fronte e si morse il labbro. Perché, insulsa umana, ti senti in diritto di fare affermazioni simili, senza avere idea di chi hai di fronte?

Zemlyan: RebirthOnde histórias criam vida. Descubra agora