Capitolo VI

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Il Santa Maria, anche se esternamente poteva dare l'impressione di essere lasciato a sé stesso, a causa della struttura evidentemente pericolante, in realtà era un luogo… accogliente.

Serena, però, lo considerava tutt'altro che accogliente. Bastava pensare alla sua compagna di stanza. Se chi sta leggendo queste parole ha un dizionario di italiano a portata di mano, potrebbe trovarvi dentro il contrario di 'accogliente', ovvero 'Anita'.

Oh sì, quella ragazza era proprio una persona odiosa, non abbastanza odiosa da essere paragonata ai compagni di classe di Serena con la puzza sotto al naso, ma abbastanza da rientrare nella sua top ten di persone da odiare.

Quella ragazza era fredda e scostante. E sì, di carattere, forse,  poteva assomigliare un pochino a Serena ma almeno quest’ultima non scrutava con aria di sufficienza ogni essere umano.

Per giunta, Serena non sopportava quando la sua compagna di stanza entrava nel bagno (quest'ultimo si trovava in una stanzetta dentro la stessa camera delle due ragazze) e non usciva più. Serena gridava e batteva i palmi della mano sulla porta chiusa a chiave, ma la maggior parte delle volte, meglio rettificare, tutte le volte, non riceveva nessuna risposta e soprattutto quella dannatissima  porta rimaneva chiusa per almeno venti minuti ogni volta.

Ma quanto era differente, però, l'ambiente di quel posto rispetto a casa sua.

Una volta, distesa sul suo letto, mentre fissava il letto di Anita, a non molta distanza dalla sua faccia, i suoi pensieri si focalizzarono tutti sul suo quartiere, lì dove era nata e cresciuta, dove tutti la conoscevano ma non la salutavano, no, non la salutavano più.

Lei era nata in un ospedale, dove le lenzuola, su cui dormivano i pazienti, non venivano cambiate da troppo tempo.

Lei era cresciuta correndo per i vicoli stretti e stando attenta a non essere investita da qualche motorino, perché lì, di marciapiedi non ce n'erano.

Era cresciuta andando a fare la spesa alla salumeria giù al suo palazzo, dove tutte le signore le passavano davanti non prestando attenzione alla fila quando bisognava pagare alla cassa.

Era cresciuta indossando i vestiti delle sue cugine più grandi, e quando i pantaloni le andavano troppo corti, lei se li metteva lo stesso, e quando le magliette si consumavano ai  gomiti allora lei se le infilava lo stesso, e quando i calzini si bucavano laddove bisognava infilare l’alluce, allora la madre prendeva ago e filo e glieli rammendava.

Quando il grembiulino per la scuola le andava troppo stretto sulle spalle, allora si chiudeva in queste camminando ricurva.

Era cresciuta sapendo, che semmai doveva chiedere alla madre di comprarle qualcosa per la scuola, allora doveva chiederglielo ai primi giorni del mese perché già, dopo i primi quindici giorni, nel portafoglio della madre si potevano trovare al massimo due carte di caramelle alla frutta.

Tutto sommato, viveva meglio in quella comunità che a casa sua, laddove dormiva troppo stretta, dove mangiava troppo poco, dove gridava troppo o troppo poco.

Serena non era mai andata molto bene nelle materie scolastiche, poiché a casa non riusciva a studiare per bene, a casua delle numerose liti che aveva con la madre: però tutto quello che ascoltava in classe dai professori se lo ricordava benissimo.

Se bisognava fare i compiti, allora lei non li faceva sempre, ma se l’insegnante di italiano suggeriva un libro da leggere, allora lei, con i suoi risparmi, correva a comprarsi quel libro e se lo leggeva, spesso in bagno, dove la madre non poteva scoprire che aveva speso del denaro inutile per comperare un libro.

“Serena, lo psicologo ti aspetta".
Valeria, la tecnica della riabilitazione, la venne a chiamare in camera, in un pomeriggio pieno di sole.

“Va bene”.

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