L'arresto di Denholm Cox era finito in tutti i giornali ed entrambi gli orfanotrofi di sua proprietà erano stati messi in vendita, anche se qualcuno ne era stato così interessato da comprarli entrambi a poche ore di distanza dall'annuncio. Eran molti soldi, moltissimi, e l'ansia che fosse un altro stronzo miliardario malato era alle stelle.

Dantalian nascondeva il suo dolore sotto l'amore per i suoi amici e per me, essendo presente nelle nostre vite come mai prima d'ora. Aveva perfino cucinato tutto quel ben di Dio presente a colazione, con l'aiuto di Honey e Nezha. Su quest'ultima, se avessi dovuto dire qualcosa, avrei detto solo che ne ero fiera. 

Si era presa "in custodia" Kyran, che ora si trovava nelle celle sotterranee, e attendeva solo qualche altro giorno. Al compimento dei suoi diciannove anni lo avrebbe portato con sé chissà dove e lì sarebbe iniziata la sua vera vendetta. Sinceramente non aspettavo altro che le foto che mi aveva poi promesso di inviarmi via sms.

Cercai Rut con lo sguardo, lungo quel tavolo enorme, ma non lo trovai e per questo aggrottai la fronte. Mi rivolsi alla sua fidanzata. «Dov'è finito quello stronzo del tuo ragazzo?».

«È andato a cambiarsi, si era sporcato con del burro di arachidi la maglia nera e sai quanto è precisino». Alzò lo sguardo al cielo. 

Scossi la testa e borbottai qualche insulto ironico al diretto interessato, ma il mio umore calò a picco quando la segretaria dell'istituto di Denver ci raggiunse in mensa e si fermò davanti a noi, che ormai eravamo diventati quasi i tutori di quei ragazzi. Dantalian aveva convinto la signora che noi non fossimo altro che spie mandate da un'agenzia sottostante al FBI, giustificando l'età umana che era presente nei nostri documenti "veri", e che il nostro compito era sempre stato quello di incastrare Denholm. 

L'aveva anche convinta che Kyran fosse scappato chissà dove, così che nessuno si sarebbe più chiesto dove fosse finito, e Melville aveva risposto ironicamente dicendo che se avesse avuto lui il potere di coercizione allora il mondo sarebbe stato capovolto da cima a fondo. Malgrado il dolore che portava da una vita, lo indossava egregiamente e lo nascondeva sotto una veste colorata di ironia e sorrisi taglienti. 

«Signorina Buras, signorino Zolotas... è arrivato». Iniziò a battere il piede sul pavimento con fare nervoso e a torcersi le dita. 

Ci scambiammo un'occhiata d'intesa e ci alzammo in piedi quasi allo stesso secondo, facendo indietreggiare le sedie con un rumore stridulo al contatto con il pavimento. Mi aggiustai la giacca nera di riflesso, così come l'orlo del vestito del medesimo colore, e sorrisi quando il mio unico amore mi si avvicinò all'orecchio per sussurrarmi quanto fossi bella. 

Lo seguii all'esterno dell'istituto, sentendo addosso il peso degli sguardi di speranza di tutti i ragazzi, e solo il ticchettio dei miei tacchi viola spezzava il silenzio quasi rispettoso dell'intero edificio. Ci seguirono poi anche i componenti dell'Élite ed Erazm e Med, che marciavano uno a fianco all'altro come due soldati pronti a tutto, ma senza più tenersi la mano. 

Erano insieme in un senso, ma distanti nell'altro. 

Quando la segretaria aprì le porte dall'aspetto gotico dell'orfanotrofio, la prima cosa che vidi furono due furgoni grigi che scaricavano merci molto moderne, quali televisori, tavoli di vetro, poltrone di pelle, frigoriferi e altri elettrodomestici da cucina. Poi vidi delle cameriere, che portavano fra le mani lenzuoli, cuscini e coperte, altre verdure e cibi già pronti, altri scope e prodotti per la pulizia. 

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