«Non ci perderai, cazzone...». Mi posò una mano sul retro del collo e fece sbattere le nostre fronti, osservandomi dalla patina lucida stesa sopra il cielo azzurro nei suoi occhi. «Non ci perderai mai».

Chiusi gli occhi e per la prima volta nella mia vita lo abbracciai, come lui abbracciò me. Un abbraccio deciso, forte, proprio come il bene che ci volevamo. Poi ci staccammo e annuimmo a noi stessi, a qualcosa che solo noi sapevamo, qualcosa che non c'era bisogno di dire. Lo sapevamo. 

Mi seguì per tutto l'istituto, cercando quel pezzo di merda che aveva preso Nezha, anche se infondo lo sapevamo che si sarebbe nascosto dove mai nessuno avrebbe cercato: la palestra. La ragazza era legata ad una sedia con delle corde sul petto e stava inveendo contro il suo aguzzino, scalciando e cercando di colpirlo. 

Nivek fece cadere appositamente un peso a terra e Kyran si voltò di scatto con una faccia pallida, eppure non indietreggiò. Ma la paura nel suo essere per me, un demone, era come l'odore del cioccolato per gli umani, e io ne avevo un profondo bisogno. «Mi pare di averti detto che neanche Dio ti avrebbe salvato da me». Indicai il crocifisso sulla parte dietro di lui.

«Non ho paura di un demone del cazzo». Sputò acido. 

Osservai la reazione di Nivek, a cui ovviamente non avevo mai rivelato ciò che ero davvero a differenza di Melville, ma lui alzò le spalle e sorrise. «Ti sembra che non lo sapessi, amico? Ho vissuto con Melville, Samir e Thone per anni, non è stato difficile riconoscere il quarto».

Scossi la testa e tornai a Kyran. «Forse ti sei sempre chiesto perché io non ti sopporti dalla prima volta, anche se credo sia chiaro, ma te lo spiego in breve: ho sempre saputo chi fossi e che, di conseguenza, avresti spezzato il cuore della ragazza che amavo. E allora ho passato ogni giorno fino ad oggi aspettando il momento in cui io avrei spezzato le tue ossa per tutte le volte in cui tu hai finto di volerle bene».

«So che non mi crederai, ma io ad un certo punto mi sono davvero affezionato a lei». Abbassò lo sguardo in tempo per non vedermi saettare verso di lui, prendendolo dal colletto della divisa e sbattendolo al muro di specchi della palestra. 

Gli scossi il corpo con forza. «Cazzate!».

«È vero!». Strillò. 

Gli mollai un pugno, godendo nel sentire l'osso del suo naso spezzarsi sotto le mie nocche, ora sporche di sangue suo e mio. Lo tirai via solo per spingerlo sul pavimento. «Lei si fidava di te!». Tuonai, dandogli un calcio in pieno viso che lo fece stendere sulle piastrelle. 

Prima grugnì sofferente e dopo sputò a terra una parte del sangue che gli aveva riempito la bocca, macchiandogli tutti i denti di rosso. «Come si fidava di te, no? Non siamo poi tanto diversi, caro Dan».

«Noi non siamo uguali». Sibilai, afferrandolo per i capelli e avvicinandolo al mio volto. «Io ho fatto tutto quello che ho fatto, anche spezzarle il cuore, solo per lei. Tu l'hai fatto per te stesso».

Ordinai a Nivek di spostarsi e, ignorando la sua domanda confusa, presi il corpo dell'idiota sotto di me, issandolo in piedi e scagliandolo sulla parete di vetro. Essa esplose in mille pezzi, alcuni volarono via, alcuni caddero a terra, e altri si conficcarono su di lui, che scivolò verso il pavimento con lentezza e urlò di dolore. Rimase fermo, semplicemente fermo, a terra. 

Ma noi non avevamo finito. Oh no, non avevamo finito. 

Mi piegai in ginocchio dietro di lui e gli passai un braccio sul collo. Feci pressione sulla sua gola, assicurandomi che venisse stretta in una morsa decisa, e iniziai a stringere. Lui iniziò a dimenarsi, graffiandomi anche il braccio per cercare di salvarsi, e le sue gambe si mossero a velocità, come se volesse strisciare via. 

TecumWhere stories live. Discover now