«L'ho rotta... tempo fa. In un momento di rabbia». 

Spalancai gli occhi. «Quando? Perché?». 

«Successe quando ti vidi fra le gambe di Kyran, appoggiata al suo petto, a leggere un libro in camera tua. Vi vidi ridere, scherzare, parlare, e avere qualcosa che con me non avevi: la pace. Allora tornai in camera, buttai fuori Nivek e presi la collana, una delle poche cose di te che era ancora mia. La strinsi così forte che la pietra di cristallo si ruppe e mi tagliò». Si perse in un sorriso imbarazzato. «Quel giorno, in bagno, parlai allo specchio come se fosse un'altra persona».

Mi sedetti sul letto, con le mani in grembo. «Che cosa ti sei detto?».

«Che un giorno avresti avuto due bellissimi bambini, un maschio più grande per proteggerla come fa Erazm con te e una femmina più piccola, ma tosta, per proteggerlo a sua volta, e che non sarebbe importato a nessuno se non avessero realmente il tuo sangue, per loro tu saresti stata la loro mamma per l'eternità. Che saresti tornata ad essere una donna indipendente, con addosso sempre i tacchi alti, vestiti aderenti e pelle nera, che avresti avuto un lavoro che ti avrebbe finalmente soddisfatto, che avresti avuto molti amici, sempre festa, buon cibo e casa piena. Che ti saresti guardata allo specchio e avresti visto che il tempo alla fine ripaga tutto il dolore che la vita ti dà». Si piegò sulle ginocchia e mi osservò dal basso, tenendo le mani sulle mie cosce. «Che avresti creato la famiglia che non hai mai avuto, che avresti avuto una villa enorme sempre illuminata dal sole dove fare le riunioni di lavoro con gli dei e che i tuoi amici demoni in quei momenti avrebbero finto un conato, lì, a qualche passo di distanza. Che avresti avuto dei marmocchi che ti chiamavano zia, degli amici che avresti considerato fratelli e un marito che ti amava alla follia, accettando ogni tua scelta pur di averti accanto per sempre. Qualcuno la cui felicità dipendeva solo dalla tua, che ti avrebbe rotto solo per ripararti, che ti avrebbe fatto piangere solo per bere le tue lacrime e fare suo il tuo dolore».

Mi accarezzò le labbra. «Mi sono guardato allo specchio e sono venuto a patti con il fatto che tu avresti avuto tutto, dalla vita, e io niente, perché l'unica cosa che volevo non potevo averla...». Assunse il suo sorrisetto tipico. «Mi sono sbagliato su una piccolissima cosa».

«Su cosa?». Gli presi il viso fra le mani. 

Mi baciò il palmo. «Quell'uomo sono io». 

«Dan...». Sussurrai felice. 

Scosse la testa e mi zittì con un bacio. «Forse non sono perfetto, almeno caratterialmente, forse non sono sempre chiaro, etico, romantico, forse a volte mi faccio prendere la mano e rischio sempre di mandare tutto a fanculo, ma io sono quell'uomo, te lo giuro. E lo sarò finché vorrai».

«Sei perfetto». Gli strinsi le guance e gli lascia mille baci sulle labbra. 

Sorrise tristemente. «Sono molto lontano dall'essere perfetto».

Mi ci volle qualche secondo per decidere cosa fare, abbastanza da fargli sospettare qualcosa e farlo tornare in piedi in altrettanto poco tempo. 

«Che vuoi fare?». Assottigliò lo sguardo. 

Mi avvicinai a lui e lo abbracciai. Lo strinsi forte fra le braccia, come se fosse la mia ancora e lo era, così come mi strinse lui, posandomi una mano sulla nuca e stringendo fra le dita i miei capelli, dove seppellì anche la sua faccia. Ci eravamo dati pochi abbracci, forse si potevano contare sulle dita di una mano, ma erano tutti stati così intensi da essere molto di più di un semplice stringersi. Un'arresa, quasi. 

Stavo così bene che la nebbia all'interno cervello si fece ancora più fitta e le mie mani presero a vagare sul suo corpo scolpito come se avessero vita propria, salendo dai fianchi, sfiorando la pelle bollente con la punta delle dita, e avvicinandosi alla schiena nuda da sotto la maglia. 

Lui, però, si drizzò all'istante. «Per favore, dolcezza...». Mi lasciò un lieve bacio sulle labbra.

«Cosa?». Chiesi confusa.

Nascose il volto sul mio collo. «La schiena è una parte sensibile di me. Io... non me la lascio toccare da nessuno, troppi ricordi, troppo dolore».

Mi sfuggii un sorriso dalle note dolci. Io ero come lui, frantumata in punti invisibili per gli altri, ma macchiati di nero e marci per me. Loro non vedevano, ma io sì. Tutti non vedevano, tranne lui. 

Io vedevo le sue cicatrici e lui vedeva le mie, ma faceva qualcosa di ancora più importante: le odiava e le amava come se fossero sulla sua di pelle e non sulla mia. Ora toccava a me dimostrarlo.

«Sdraiati, Dan». Mormorai.

Tentennò, ma alla fine ubbidì e si distese a pancia in giù, sfilandosi la maglia nera dalla testa e lasciando la schiena scoperta, con una fiducia che un po' mi stupì. Presi un paio di acquarelli che Xim aveva rubato dal corso di arte per disegnare nei momenti di noia e salii a cavalcioni sul suo sedere. 

Lo sentii inspirare. «Che fai?».

«Disegno ciò che tu non riesci a vedere», citai le sue stesse parole.

Okay, forse non proprio identiche, ma il significato era lo stesso. L'amore in esso di sicuro era lo stesso.

TecumWhere stories live. Discover now