4 Lui

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La notte sopra il campo di Birkenau stava calando: il cielo era terso, e un vento gelido muoveva le foglia degli alberi.
Ero qui ormai da tre mesi, e le condizioni in cui ci costringevano erano precarie: Il cibo scarseggiava e non ci era permesso fare la doccia per questo il mio corpo si stava riempiendo di dolorose piaghe.

Così quella sera, mentre mi trovavo ancora nella baracca dove noi donne avevamo il compito di pulire e sbucciare gli ortaggi, assalita da forti crampi dovuti alla fame, un idea malsana mi balzò alla mente.

Mi accertai che non ci fosse più nessuno ne all'interno e ne all'estero della struttura,e così facendo iniziai a mangiare tutto quello che giaceva di fronte a me: una grande quantità di bucce e verdure andate a male.

Era una sensazione strana quella di poter mettere sotto ai denti qualcosa di consistente.

Non so per quanto tempo rimasi li, ma mi ingozzai così tanto da sentire lo stomaco tirare.

Questo momento di pura euforia però svanì nel giro di qualche istante, quando mi resi conto che qualcuno dietro a una pila di sacchi vuoti nella penombra mi stava osservando.

Era un uomo, che da lontano non riuscivo a identificare. Non so come avesse fatto a entrare o da quanto tempo fosse lì, ma quel che è certo è che non l'avrei passata liscia.

Schulz alzò lentamente lo sguardo verso l'alto emettendo un rumoroso sospiro, e dopo essersi passato una mano nei capelli biondi, iniziò a camminare nella mia direzione, fermandosi solo a qualche centimetro dal mio corpo. Non ebbi nemmeno il tempo di realizzare quanto stava accadendo che un colpo nel ventre mi fece cadere sulle ginocchia. Avevo il capo chino verso il pavimento mentre con le braccia mi fingevo la pancia, sperando che tale gesto di sottomissione bastasse per lo meno per arrestare la sua ira ma quando sentii la sua mano calda afferrarmi la parte posteriore del collo, capii che non si sarebbe fermato così presto. Mi tirò all'indietro, facendomi rovesciare sulla schiena e obbligandomi così ad avere un contatto diretto con lui, che nel mentre però continuava a tacere.

"wer bist du?" Disse improvvisamente.
Era la prima volta che sentivo la sua voce: aveva un tono severo, che non lasciava trasparire alcuna emozione se non disprezzo, in quel momento, nei miei confronti.
"wer bist du?" Ripeté nuovamente, questa volta con tono più alto.
In questi mesi non avevo imparato molto del tedesco, ma ero sicura che mi stesse chiedendo chi fossi, o qualcosa del genere.
"ich bin Ro..."non mi fece nemmeno iniziare la frase che subito mi azzittì dicendo:" il numero, Ich will deine Nummer wissen, häftling"
Avevo capito, voleva sapere il mio numero, non il mio nome.
"19887" risposi abbassando nuovamente la testa, quasi imbarazzata.
Ero seduta sullo sporco pavimento, immobile, con le spalle rivolte nella direzione opposta alla sua, in attesta di qualcosa, che a dire la verità non tardò ad arrivare quando mi resi conto che mi aveva colpito di nuovo, questa volta alla schiena, probabilmente con un altro calcio.
Avrei pagato le conseguenze della mia stupida azione; ma il rumore dei suoi passi che si faceva sempre più lontano mi fece tirare un sospiro di sollievo.

Il bosco di betulle Where stories live. Discover now