Ximena spalancò gli occhi e indietreggiò. «Nezha? Chi sei veramente?».

«Sono sempre Nezha, la tua sorellastra rinchiusa in un inferno terreno da quando è nata». Infornò il polpettone, mettendo anche le carote a bollire, tranne quelle sporche del mio sangue, e si pulì le mani. «Ma sono anche io figlia di Azazel, Ximena, e sembra che tu l'abbia dimenticato».

Mi aggiustai la giacca bordeaux e camminai in direzione della porta di uscita della mensa. «Credo sia il momento di parlare in sede privata».

«Ho sentito parlare dell'autorità sensuale di Arya Buras, ma mai avrei davvero creduto che fosse così come la descrivevano». Nezha, che aveva fatto cadere la maschera, ammiccò, sembrando più simile a me che alla propria sorella. «Non andiamo nei dormitori, so io dove portarvi. I muri qui hanno orecchie, occhi e aggeggi elettronici».

Ximena mi osservò indecisa, ma io annuii. Aveva ragione, nessuno meglio di le poteva conoscere i posti isolati. La seguimmo a passo calmo e mi resi conto che quella era la strada per andare in giardino, che passava davanti la palestra maschile. Lì c'erano tutti i nostri amici, compresi Rut e Dan, che furono gli unici a notarci, come se sentissero addosso la nostra presenza a qualche passo da loro.

Ci guardarono con la fronte aggrottata, entrambi a petto nudo e con delle gocce di sudore che percorrevano i loro pettorali scolpiti, entrambi dalla pelle abbronzata come qualsiasi demone. Io e Ximena annuimmo, in un impeto di fortunata telepatia, e fingemmo allegramente che andasse tutto bene, che non ci fosse nulla di diverso dal solito.

Rut fece l'occhiolino a Ximena e saltò per aggrapparsi ad una sbarra, tornando a calarsi e ad alzarsi usufruendo la forza delle braccia. Dan mi fece la linguaccia, decisamente meno ironica e più provocatoria, simulando un'azione che al momento mi sarebbe piaciuta molto, e poi, sorridendo, si tirò su come il suo amico demoniaco, facendo le sue stesse azioni.

Scossi la testa e tornai a seguire Nezha con Ximena al seguito, che ci portò all'interno del labirinto del giardino, molto simile a quello che avevo percorso molte volte all'Olimpo. Mancava il senso di pace, decisamente, ma adesso ne avevo un altro tipo addosso e mi andava benissimo così.

«Siete fortunate». La guardammo interdette. «Ad avere una persona che vi ami incondizionatamente, tanto da distruggere qualunque cosa, anche il mondo intero, pur di avere un briciolo di felicità con voi».

Annuii, ma non mi feci abbindolare. La vecchia me era morta, sepolta dalle macerie che avevano creato coloro che mi avevano colpito. Prima o poi, a forza di colpi, ci si frantuma. E risalendo dalle ceneri non si ritorna mai più gli stessi. «Dovremmo concentrarci su altro, però. Ad esempio su cosa sta realmente succedendo fra queste mura, su chi sei tu o sul fatto che sai chi siamo».

«Dimmi che almeno tu non sei diversa da ciò che sei stata fino ad ora, ti prego. Non posso perdere anche mia sorella, l'unica cosa che mi rimane della mia... vita». Mormorò Ximena.

Nezha abbassò lo sguardo, fino ad incontrare l'erba brillante sotto di noi, e i suoi capelli rossicci sembrarono animarsi, illuminati dalla luce calda del sole. «Denholm è anche peggio di ciò che pensate. Come si può chiamare un uomo che mantiene la vecchia crudele attività del fratello e, piuttosto che demolirla, la rende peggiore, al solo scopo di trovare qualunque cosa lui stia cercando con tanto impeto? Solo un mostro può fare ciò che ha fatto lui per anni. Le nascite che ci sono state qui, la solitudine di questo posto, le regole ferree, tutto riconduce ad una sola cosa e io l'ho capito quando ti ho vista entrare qui la prima volta, Arya».

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