«E io invece le ho prese come sfide...». Sorrisi imbarazzata.

Annuì, con un rimprovero nello sguardo. «Come sempre, mia cara. Ma il mio piano di base è rimasto pressoché lo stesso: entrare nel gruppo per scoprire di più sul conto di Denholm e avere la sua grazia al solo scopo di proteggerti. Nezha, per me, viene dopo, sappilo. Come chiunque».

«E il resto?».

Spostò lo sguardo sul bagno, poi sulla porta d'ingresso e poi sui muri della camera. «Il resto lo potrai scoprire solo quando succederà, Arya. Le colline hanno gli occhi, ma i muri hanno le orecchie».

Capii che si riferisse allo specchio finto e a qualunque telecamera nascosta potesse esserci in giro. «Mi va bene».

«Ti va... bene?». Mi fissò come un mostro a tre teste.

Mi strinsi nelle spalle. «Mi fido di te».

Fu difficile percepire il suo movimento improvviso, ma doveva esserci stato visto che adesso era a pochi centimetri dal mio viso, con il suo buon profumo di miele e qualcosa di simile alla lavanda. Mi stupiva riconoscere questo, adesso, come suo odore quando per anni mi era rimasto impresso l'odore di salsedine che gli aveva donato Vepo. I miei poteri, invece, erano quasi neutri su di lui, come odore, colori o sapori.

«Ripetilo». Il suo respiro caldo mi sfiorò le labbra.

Sorrisi, allacciandogli le braccia al collo. «Mi fido di te».

«Penso di aver trovato la mia cosa preferita da farti ripetere fino all'ultimo giorno su questa misera terra». Mormorò roco.

Ridacchiai. «È normale, insomma... non so per te, ma per me noi stiamo facendo qualcosa di serio. Nel senso che per me sei il mio fidanzato, noi siamo fidanzati, io sono-».

«Aspetta!». Inspirò, tenendomi il viso fra le mani. «Ripeti cosa hai appena detto».

Lo osservai imbarazzata. «Che per me è qualcosa di serio?».

«Dopo».

Mi schiarii la voce. «Che siamo fidanzati?».

Scosse la testa. «Prima di quello, bellissima dea».

«Che sei il mio fidanzato?».

«Ancora».

«Sei il mio fidanzato». Mi addolcii alla vista dei suoi occhi sorpresi, perché in profondità, dentro di essi, c'era altro. Ammirazione, devozione, amore.

Si avvicinò alle mie labbra. «Dillo ancora, flechazo. Ti prego...».

«Sei il mio fidanzato, Dantalian Zolotas, ma questa è solo una stupida e umana etichetta. Sei qualcosa di meglio...». Gli accarezzai dolcemente la mascella che portava perennemente contratta, come se dovesse quasi portare sulle spalle il peso del mondo, poi le sopracciglia che si rilassarono al mio tocco, le labbra, che si curvarono, le palpebre, che si chiusero.

Lo toccavo come lui toccava me, come una cosa che avevi perso e che non pensavi avresti ritrovato. Con speranza, fiducia, amore e cura.

Mi supplicò con lo sguardo. «Cosa sono?».

«Il mio compagno di vita...». Mormorai con la voce roca per l'emozione, come i miei occhi pieni di lacrime felici. «Il mio migliore amico, il mio unico amore, la mia fiducia totale, il mio demoniaccio, la mia notte senza stelle-». Mi fermai a causa di un singhiozzo che si unì ad una risatina.

Mi baciò ogni piccola lacrima, piano piano, assorbendo tutto di me, anche il mio dolore. «Preparati, Arya». Mi prese per mano e mi trascinò fuori.

«A cosa?». Mi preoccupai, ma lui mi trascinò per le scale e si fermò al piano inferiore per rispondermi.

«Adesso al pranzo, ho scoperto che Nivek ha cucinato una sottospecie di sformato alle carote. Santo Lucifero, è fissato con le carote quel dannato ragazzo...». Rabbrividì. «Nella vita, invece, al fatto che non uscirai di qui senza che io ti abbia chiesto di essere mia moglie. Di nuovo».

Lo disse come se fosse una cosa di poco conto, come se fosse scontata, ma per me fu un tripudio di farfalle e qualsiasi animale dello zoo sullo stomaco. «E me lo dici così?». Strillai.

Alzò un sopracciglio. «La prossima volta ti mando una strillettera? Un fax simile? Un'e-mail? Richiedo un appuntamento a tuo padre come ai vecchi anni, ovvero nel medioevo?».

«Sei terribile!». Scoppiai a ridere, ma mi fermai dopo qualche minuto, quando il suo sguardo fisso mi fece sentire a disagio. Troppo intenso.

Mi guardava come se il suo sguardo potesse trapassarmi fino a guardare la mia anima e non l'involucro di carne che la proteggeva.

«Che c'è?». Mi accigliai.

Respirò piano. «C'è che stavo pensando di baciarti e...».

«E?». Lo esortai.

Assunse un sorriso vero, sincero e così felice da far sorridere anche me. «E mi sono dimenticato che adesso posso farlo. Non solo perché non morirò, ma anche perché siamo fidanzati. Posso farlo, posso baciarti quando voglio».

Decisi di giocare con lui. «Fidanzati é un parolone, suvvia, poco fa non dovevi prendermi alla lettera. Ora non montarti la tes-» Come sempre, interruppe il mio flusso di parole con un bacio diverso da quelli degli altri.

Perché i suoi non erano baci da togliere il fiato.
Quando mi baciava, il fiato me lo ridava.

TecumDove le storie prendono vita. Scoprilo ora