Capitolo 16.

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La sveglia suonò alle sei in punto e fu come un proiettile che mi perforava la fronte.
Non avrei voluto alzarmi da quel letto per nessun motivo al mondo, soprattutto dopo quello che era successo: avevo davvero bisogno di dormire.
«Spegnila, per favore» piagnucolò una voce.
Sobbalzai.
«Ma che cazzo... mi hai spaventata. Perché sei qui?» «Perché non riuscivo a dormire, e ho deciso di salire» disse Alessio con voce assonnata.
Ed eravamo a tre. Era la terza volta che dormivo con lui.
«Dove vai?» chiese.
«Mi sto alzando»
«Perché?»
«Come perché? Vado a scuola»
«E dai, resta qui»
«No. Pensi che, solo perché ti ho fatto entrare stanotte, allora io ti abbia perdonato? Ce l'ho ancora con te»
«Ce l'hai con me ma ti va bene che io dorma qui, accanto a te» precisò.
«Tecnicamente, sei tu che sei venuto qui mentre dormivo»
«Non sembra che ti dispiaccia»
Smisi di rispondergli e scesi al piano di sotto.
«Aspettami, almeno» mi urlò dietro Alessio.
Non gli prestai attenzione e andai a lavarmi la faccia. Avrei voluto restare con lui, ma dovevo mantenere anche solo un briciolo di dignità, no? Non volevo che sembrasse che mi andasse bene ogni cosa che faceva, anche perché non era assolutamente così.
Ogni volta che volevo lasciar perdere quello che c'era tra noi- qualsiasi cosa fosse, non lo sapevo bene- lui veniva da me, o andavo io da lui. E non andava affatto bene.
«So che sei arrabbiata, e ti chiedo scusa»
«Indovina a che cosa servono le scuse? A niente. Vorrei solo sapere perché ti sei comportato come ti sei comportato, ma sono sicura che non riceverò risposta»
Sospirò.
«Non riceverai risposta perché il motivo non lo so nemmeno io. Non sapevo come comportarmi»
«Dovrei crederti?»
«Se non vuoi credermi non farlo, ma è la verità»
«Va bene. Ti credo»
Non ci restava nient'altro da dire.
Dopo qualche minuto se ne andò, lasciandomi da sola. Di nuovo.
Mi truccai alla perfezione- eye-liner compreso- per coprire quello che c'era sotto, ma non servì a molto; dopo qualche minuto le lacrime lo rovinarono.
Quel giorno non feci nemmeno colazione, e invece che indossare jeans, collane, anelli o top scelsi una misera tuta e una felpa nera, che si addiceva molto al mio umore.
Ero in ritardo, ovviamente.
Presi il bus e arrivai a scuola.
Nel cortile vidi Federica. Mi sentii abbastanza in colpa nel farlo, ma non la salutai nemmeno. Dopotutto, non avevo niente da dirle.
Per i corridoi qualcuno mi guardò male, e mi diede molto fastidio. Non avevano mai visto qualcuno con un po' di trucco colato?
Arrivata in classe mi scusai per il ritardo, mi sedetti al mio solito posto e infilai le cuffiette.

Quel ragazzo di San Lorenzo.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora