Capitolo 5.

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Ormai ero abituata a svegliarmi col mal di testa- soprattutto grazie alla movimentata estate appena trascorsa e al pomeriggio precedente- ma quella mattina mi sentii stranamente riposata, e la cosa mi insospettì.
«Fede» dissi, ma sembrò più un sussurro. Mi schiarii la voce.
«Che ore sono?» chiesi.
«Saranno le sette» disse sbadigliando, ma quando la vidi accendere il telefono e spalancare gli occhi capii che non era esattamente così.
«Che cazzo di ore sono?»
Girò il telefono verso di me. Mezzogiorno.
«Ma che... ti avevo chiesto di mettere la sveglia» piagnucolai.
«L'ho messa» disse, mentre io le prendevo il telefono dalle mani per controllare.
«Che c'è? Perché fai quella faccia?»
Presi un respiro e le mostrai il telefono.
«Non hai messo la sveglia» spiegai, «Hai scritto i numeri sulla calcolatrice»
Lei rise, ma si fermò quando vide il mio sguardo omicida.
«Stai scherzando»
«Magari»
«Scusa, io...»
«Non ti devi scusare, non è colpa tua. Abbiamo perso il secondo giorno di scuola... non ci posso credere»
«Lo so. Ormai è fatta però. Facciamo colazione?»
Le sorrisi.
«Va bene»
Scendendo dal letto inciampai su qualcosa che fece rumore e rotolò per terra.
Accesi la torcia.
Due bottiglie di birra.
«Abbiamo...bevuto ancora?» rabbrividii.
«Oddio» disse prendendosi la testa tra le mani.
«Dobbiamo davvero smetterla» ero più che seria.
Non mi rispose ed andò in cucina.
Due ore dopo non eravamo ancora uscite di casa.
«Mi passi il mascara?" disse Federica, mentre io mi stavo piastrando i capelli.
«Non vedi che ho da fare? Prendilo da sola»
«Come sei scontrosa»
«Di prima mattina sì»
«Camilla, è l'una e mezza del pomeriggio e ci siamo svegliate un'ora fa»
«Vabbè, fa' lo stesso...» borbottai.
«Quindi dove andiamo?» mi chiese.
«Non lo so, da qualche parte andremo»
In quel momento le squillò il telefono, e corse in camera.
«Dimmi Jess» la sentii dire, e collegai fosse sua sorella.
«Sono a casa con Camilla»
«Lo so»
«Non abbiamo sentito la sveglia»
«Cosa?!»
«Ma dobbiamo uscire!»
«No»
«Dove?»
«Non ci credo»
Sentii solo le risposte di Federica, quindi non capii che cosa le stesse dicendo sua sorella.
Lei sbuffò, prima di riattaccare.
Aspettai impaziente che tornasse in bagno per chiederle spiegazioni.
«Che succede?» chiesi, ancor prima che varcasse la soglia del bagno.
«Non te la prendere con me, per favore»
«Sì, se non mi dici che succede»
«Non posso uscire. Mia sorella sta venendo a prendermi. Devo accompagnarla»
«Come?!»
«Scusa»
«Ma io che faccio adesso? Non ho le chiavi di casa mia»
«Non credo che tu muoia se stai fuori un'ora. Fatti una passeggiata»
«Un'ora?»
«Sì» promise.
Ci pensai su. Non avevo bisogno di nessuno per divertirmi, e poi era solo un'ora.
«Uffa, e va bene»
Mi abbracciò.
Dopo quindici minuti scendemmo.
Lei salì sulla macchina di sua sorella, io le salutai e mi avviai in fermata, sapendo già dove ero diretta.

Dopo dieci minuti scesi a San Lorenzo.
Non sapevo cosa- o chi- stessi cercando, né perché mi fossi diretta automaticamente lì.
Dopo cinque minuti buoni che giravo in tondo mi resi conto che volevo rivedere Alessio, e che lo stavo cercando. Non sapevo perché.
Entrai in quel maledetto bar- mi ripromisi che era l'ultima, l'ultimissima volta che sarei entrata lì dentro- e lo cercai.
Non sapevo perché, ma non me lo chiesi nemmeno: volevo solo parlarci un po'.
Ovviamente, a quell'ora del pomeriggio era vuoto: c'era solo un ragazzo al bancone e uno che preparava i tavoli per la sera.
«Siamo chiusi» annunciò quello al bancone.
«Ah, scusa, stavo solo...»
Quando riconobbi la sua voce, mi bloccai.
«Alessio?»
Fece come per dire qualcosa, ma poi si fermò.
Gli avevo detto il mio nome? Non me lo ricordavo.
«Ciao» disse infine.
«Lavori qui?»
«No, ci vengo per passare il tempo»
«Ah ah, come sei simpatico» dissi avvicinandomi al bancone.
«Come mai qui a quest'ora?»
«Stavo... non lo so. Non so che fare»
Andai sul vago, evitando di raccontargli di Federica e del fatto che non potevo tornare a casa. E che lo stavo cercando.
«Non sei venuta a scuola» disse. Non era una domanda.
«E tu come lo sai?»
Non rispose.
«Come lo sai?» ripetei.
«Dei miei amici vengono nella tua stessa classe»
«Hai chiesto loro di me?"
Non lo stavo accusando, ero solo curiosa.
Fece spallucce.
«Sì, ma così, per salutarti» disse, senza un'espressione precisa sul viso.
Decisi di lasciar perdere.
«Quindi anche tu vieni in quella scuola?»
«Dovrebbero chiamarti Mrs. Domande Ovvie»
«Sei esilarante»
«Vero? Comunque sì, ma faccio il secondo»
«Che anno sei?»
«Duemilauno»
«Ma non dovresti fare il ter...»
Ah.
«Ah» dissi abbassando la testa, e mi sentii stranamente in imbarazzo.
«Scusa»
«Tranquilla, non mi dà fastidio»
«Sicuro?»
Annuì.
«Senti, io ho praticamente finito il turno, ti va di aspettarmi mentre mi cambio e poi... non so, andiamo da qualche parte?»
Quella richiesta mi stupì. Sicuramente non me lo aspettavo, e queste cose non avevano mai fatto per me, ma allora perché mi ritrovai con un sorrisetto stampato in faccia a dirgli di sì?

Quel ragazzo di San Lorenzo.Where stories live. Discover now