Heresy (Parte 2)

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Assalito di sorpresa da quella proposta, il ragazzo valutò numerosi scenari, tra cui quello remoto di terminare la serata tra le braccia di DIO, come nei sogni che lo tormentavano da più di un anno. Cercò di immaginare come gli piacesse farlo. Si immaginò mentre DIO, disteso sul letto, lo conduceva in un lento movimento ritmico sopra di sé, decidendo quando e come avrebbe provato piacere.

(Sì, DIO. Sì.)

«Ho detto al prete che sarei andato a casa, questa sera, ma non quando sarei tornato in canonica,» replicò Enrico. Usava un tono neutro, ma il suo sguardo era adorante. «È improbabile che telefoni per chiedere se sono lì veramente».

Essersi comportato da bravo ragazzo, da allievo modello, stava dando i suoi frutti.

«Bene,» rispose l'uomo, e gli passò distrattamente una mano sulle spalle, per poi subito ritrarla. «Continuiamo questo discorso da un'altra parte, che ne dici?»

Enrico annuì e lo seguì in camera da letto. A metà strada, DIO si fermò, come se avesse ricordato qualcosa all'improvviso.

«Non hai mangiato,» osservò. «Vuoi che ti ordini qualcosa?»

«No,» rispose subito Enrico, avvertendo una stretta allo stomaco. «No, grazie».

Attribuì il non voler cenare di DIO ai ritmi di vita differenti dalla massa che possedeva, essendo obbligato a dormire di giorno. Lui accettò il suo rifiuto con un cenno del capo ed entrò nella stanza.

Era piccola, dominata da un letto a due piazze e da un lungo comò d'ebano sul quale erano impilati dei volumi. Alcuni avevano il dorso rivolto verso chi li osservava, titoli a cui padre Flanagan avrebbe consigliato di non accostarsi, altri gli mostravano le pagine: Enrico ebbe l'impressione che nel loro impercettibile disordine, nel loro essere voltati l'uno rispetto all'altro ad angoli né congruenti né supplementari, ci fosse la chiave per comprendere il mistero della mente di DIO.

L'uomo prese un libro che aveva lasciato abbandonato tra le lenzuola e si distese mollemente, tenendolo con sé.

«Vieni, mettiti vicino a me,» disse a Enrico, che si stava guardando attorno: la sua mente, dopo aver sentito quella proposta, non riusciva più a processare gli oggetti che vedeva. Ne percepiva solo la forma.

Il ragazzo si sistemò nel punto più lontano da DIO, per quanto le dimensioni del letto lo permettessero. Dopo un breve ragionamento che catalogò come impossibile una posizione prona e troppo imbarazzante una supina, optò per il distendersi di lato, rivolto verso l'altro.

«Pensavo,» esordì lui, giocherellando con le pagine del libro.

«A che cosa?» domandò Enrico, che cominciava a sentire la stanchezza impossessarsi del suo corpo e lo sguardo che invece si dirigeva instancabile verso quello di DIO.

«Tra pochi giorni dovrò tornare in Egitto».

«Non ti piace?»

DIO gli rivolse una contenuta risata.

«Certo che mi piace,» replicò. «Ma sai, ogni tanto mi chiedo anche io come finirà».

«Che cosa?»

«Il mio viaggio. Anche la mia vita, se vogliamo».

«Non mi hai ancora detto di cosa ti occupi».

Calò un silenzio improvviso, durante il quale DIO sembrò assorto in un pensiero complesso.

«Voglio essere sincero con te tra tutti, Enrico,» disse infine. «Il mio The World può cambiare il mondo, guidarci verso un'epoca illuminata dove tutti coloro che governano sono portatori di Stand. Negli ultimi anni ho reclutato numerosi alleati, ma non mi interessa cercare la loro amicizia». Si voltò anche lui di lato, per trovarsi faccia a faccia con il ragazzo. «Invece mi interessa quello che pensi tu».

Istruzione di un ragazzo (JJBA)Where stories live. Discover now